I motti e la loro epoca
Leggo con stupore la lettera di Riccardo Gismondi, al quale vorrei ricordare che il motto Dio-Patria-Famiglia risale al laico Giuseppe Mazzini, non certo al ventennio fascista. Chi ne vuole conferma può compiere una modesta ricerca, anche su internet. Inoltre ricordo bene che in molte nostre Adunate degli anni passati, vi erano cartelli con la scritta “Dio, Patria, Famiglia”. “Pro aris et focis” (l’equivalente, in latino, del motto Dio-Patria- Famiglia) è un detto usato dagli antichi autori per esprimere attaccamento a tutto quello che è caro e venerabile. Aggiungo che è il motto di molte famiglie e anche di reggimenti militari.
Orgogliosi custodi
Brescia e Nikolajewka. Una storia lunga settantacinque anni, ormai. Una storia di cui le Penne Nere bresciane si sono fatte custodi ed orgogliose testimoni a livello nazionale. Proprio a Brescia, nel gennaio 1946, infatti, a soli tre anni dal doloroso epilogo della Campagna di Russia, alcuni Reduci della Tridentina si ritrovarono in un’osteria, per ricordare. Le centinaia di chilometri percorsi a piedi all’andata, tra i campi di girasole e quelli della ritirata sulla neve, avevano lasciato un segno profondo: mille storie tragiche e i volti degli amici visti scomparire, senza poter fare nulla.
Tracce del passato
Un pubblico numeroso e attento ha affollato, nella mattinata del 22 ottobre, il salone del Centro culturale “La Società” per assistere alla consegna dei riconoscimenti ai vincitori di “Alpini Sempre”, il premio nazionale letterario di narrativa e ricerca scolastica sugli alpini. Arrivare alla 15ª edizione è un risultato di non poco conto per una comunità periferica e per un piccolo gruppo Ana e dimostra l’interesse della gente e il valore degli scrittori che hanno posto al centro dei loro lavori la montagna e il ruolo degli alpini sia in pace che in guerra.
Con le gambe della mente
A forza di sentir parlare dei miracoli in termini strabilianti e spettacolari va a finire che ci sfuggono quelli veri che ci passano sotto gli occhi tante volte in un giorno. Fatti straordinari vissuti nell’ordinarietà del quotidiano. Quando entro in casa di Riccardo Cerantola a Cartigliano, comune del vicentino di 3.800 abitanti, i miracoli che si presentano sono almeno due. Il primo è tecnologico. A parte le varie macchine che consentono le funzioni vitali non più autonome, colpisce il computer oculare con il quale il padrone di casa comunica col mondo.
La legge Mancino
Caro direttore, cosa ne pensi della proposta di legge attualmente in discussione al Senato che estende la condanna da due a sei anni della legge Mancino anche a chi “distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza materiali razzisti o xenofobi”? Se la proposta diventasse legge, su denuncia dell’immancabile antimilitarista, qualche zelante Procuratore della Repubblica potrebbe accusare di xenofobia chi canta pubblicamente l’inno del Piave che recita “…non passa lo straniero” e “…indietro va straniero”, straniero, non nemico.
La solidarietà del fare
Nel cuore martoriato di Campotosto l’Ana ha voluto realizzare una struttura polivalente antisismica per offrire alla popolazione un punto di aggregazione sicuro in seguito ai gravi eventi sismici del 18 gennaio, che hanno drammaticamente sottratto al paese edifici pubblici, abitazioni private e attività commerciali.
Il 3 agosto 2017 sono iniziati i lavori per la costruzione di questa “Casa della comunità” di Campotosto, donata al Comune dall’Associazione Nazionale Alpini come struttura definitiva e antisismica progettata sulla base di tre esigenze cardine: sicurezza, funzionalità e armonia con il territorio.
Scritti… con la divisa
Siamo di nuovo con il nostro artigliere alpino del Gruppo Pieve di Cadore, giunto a “metà del campo mobile ed ora s’avvicina la fine”, come scrive alla mamma.
Una voce fuori dal coro
Mi scuso da subito se questa mia può sembrare “cattiva” ma trovo giusto anche fare sentire una voce un po’ fuori dal coro. Sono un militare, ora in pensione, che ha dato allo Stato ben 44 anni effettivi della sua vita. Ho fatto quasi due carriere complete prima da sottufficiale poi da ufficiale, e vengo con la presente a esporre il mio punto di vista circa il cappello alpino visto che anche su L’Alpino di ottobre se ne parla.
Per gli Alpini non esiste l’impossibile
Un altro anno ormai sta giungendo al termine con il suo fardello di problemi risolti e non, riguardanti ciascuno di noi singolarmente, ma anche la nostra Associazione. È con soddisfazione e con orgoglio che oggi posso comunicare a voi tutti che il primo intervento, voluto dal Consiglio Nazionale e interamente finanziato con i soldi provenienti dai nostri Gruppi, dalle nostre Sezioni e da enti e privati che hanno fiducia in noi, è stato consegnato alla popolazione di Campotosto sabato 25 novembre scorso. Altri interventi, almeno quattro, sono già avviati e pensiamo di poterli completare e consegnare entro la metà del prossimo anno.
Il coraggio di essere diversi
Da qualche tempo si sente: l’alpino non è più quello di una volta. È vero l’alpino di oggi non è più quello di una volta perché ha una cultura e una attività professionale ben diverse da quelle degli alpini di ieri. Deve rimanere però in noi alpini di oggi sempre ben impressa nel nostro spirito l’alpinità, espressa nel sociale con il nostro profondo senso del dovere e della solidarietà umana, quella solidarietà che ci deve portare al di fuori dai limiti dei nostri Gruppi, deve portarci in mezzo alla gente perché è la gente che ce lo chiede, quella gente che alle nostre Adunate e alle nostre manifestazioni ci applaude, ha bisogno di noi, della nostra lealtà e del nostro dare senza chiedere niente in cambio.
Il ponte dell’amicizia
«Avanti alpini, avanti, di là c’è l’Italia, avanti!». C’è chi racconta che fu questo uno degli ultimi incitamenti del generale Giulio Martinat prima di gettarsi nella mischia con i suoi uomini ed essere colpito a morte. Medaglia d’oro al Valor Militare, morì il 26 gennaio 1943 quando i resti delle gloriose Divisioni alpine superarono faticosamente il terrapieno della ferrovia di Nikolajewka uscendo dai sottopassi e si lanciarono a ovest, attraversando il ponte sul fiume Valuy, che si trova a circa 1 km. L’inferno sembrava alle loro spalle e “casa” una parola che avevano nuovamente l’ardire di sussurrare. Oggi quel ponte è un ammasso di ferraglia infestato dal muschio e dagli arbusti e i passeggeri che vi transitano a bordo dei veicoli non sanno se la loro meta sarà l’altra sponda o le sottostanti acque paludose.