Con le gambe della mente

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    A forza di sentir parlare dei miracoli in termini strabilianti e spettacolari va a finire che ci sfuggono quelli veri che ci passano sotto gli occhi tante volte in un giorno. Fatti straordinari vissuti nell’ordinarietà del quotidiano. Quando entro in casa di Riccardo Cerantola a Cartigliano, comune del vicentino di 3.800 abitanti, i miracoli che si presentano sono almeno due. Il primo è tecnologico. A parte le varie macchine che consentono le funzioni vitali non più autonome, colpisce il computer oculare con il quale il padrone di casa comunica col mondo. 

     

    Sono i suoi occhi vivacissimi, unico organo che riesce ancora a muovere, che fissano lo schermo raccontando quello che gli passa nella mente e che una voce impostata ci riferisce, come se fosse il commento a un documentario dell’animo. Racconti concisi, come succede quando la retorica delle tante parole lascia il posto alla fatica di esporre l’essenziale. Il secondo miracolo è Riccardo stesso, la sua forza morale e soprattutto la forza di una mente che il corpo ha deciso di non servire più, ma che da sola cammina scavalcando le nude rocce e i perenni ghiacciai di una vita tutta in salita.

    A portarci da lui è Mario Baggio, Capogruppo degli alpini di Rosà, dove ha preso la tessera anche Riccardo. Mario, che è pure consigliere della Sezione di Bassano del Grappa, è alla guida di 450 iscritti, di cui 25 nuovi solo nell’ultimo anno. Quando si dice la differenza che fanno gli uomini! Del resto per descrivere un certo tipo di persone le parole non servono. È solo vivendo loro accanto che si respira il profumo della loro carica umana. Ed è entrando a casa di Riccardo Cerantola, che si capisce quanto Mario Baggio sia orgoglioso di questo socio alpino, da anni inchiodato su un letto, senza alcuna autonomia di movimento.

    Una storia, quella di Riccardo, cominciata con le migliore premesse, come dovrebbe essere la vita di ogni giovane che si affaccia al futuro. Nato il 10 gennaio del 1974, lo ritroviamo alpino mortaista a Tai di Cadore nel ’93. Poi il ritorno a casa, il posto sicuro in una fabbrica dove si producono macchine per tagliare l’erba. Nel 2003 il matrimonio con Jenny Bresolin e la nascita di Kristel e Samuel di lì a poco. Nel 2006 i primi segnali del dramma che avanza. Come accade nel 75% dei casi, i primi sintomi della malattia iniziano da un arto, nel suo caso da dolori muscolari e dalla perdita di forza in un braccio. Da subito fai finta di niente, tendi a rimuovere, ti dice Riccardo. Ma basta poco perché l’evidenza si imponga. È il febbraio del 2007 quando viene emessa la sentenza: Sla, sclerosi amiotrofica laterale. Ha solo 33 anni e non vuole crederci. Soprattutto non vuole arrendersi.

    «Ho continuato a lavorare fino a quando non ho iniziato a cadere in cantiere », ci confida, aprendo la nostra chiacchierata. Sei sereno, Riccardo? «No». Cosa ti inquieta maggiormente? «Non poter esserci per la famiglia». I tuoi figli come vivono questa situazione? «Penso che manchi loro la figura paterna ». Ascolto queste risposte calate come sentenze e mi viene il groppo. Gli ricordo che l’educazione non è mai questione di parole ma di vicinanza e testimonianza. Gli racconto della mia famiglia e delle relazioni essenziali delle famiglie povere, dove anche i rapporti umani conoscono i parametri ridottissimi della povertà. Eppure rapporti pieni di significato e di amorevolezza. Questa volta sono i suoi occhi che lasciano intravedere il groppo che c’è dietro.

    Riccardo, molti nella tua condizione, chiederebbero qualche soluzione sbrigativa, magari presso qualche clinica, oltre confine… «La vita va vissuta ogni attimo. Io sono fortunato». Mi sembra quasi una provocazione. Dove sta tutta questa fortuna? «Avere una moglie meravigliosa, che mi ama per quello che sono e due figli che amo. Capisco quelli che desiderano la morte perché sono soli». Stai dicendo che la solitudine è peggio di una malattia? «Assolutamente sì». Cosa ti ha spinto a iscriverti agli alpini in queste tue condizioni? «La forza che trasmettono». Ma tu quali possibilità hai di frequentarli? «Sono loro che vengono qui. E vengono anche i miei fratelli di naja. E devo dirti che quando vengono è un grandissimo conforto». So che Mario, il capogruppo, è un fedelissimo tra i tuoi visitatori… «Mario è un uomo intelligente, molto. E poi è un uomo dal cuore grande e generoso ». So che è venuto a farti visita anche il Presidente, Sebastiano Favero.

    «So che mi vuole bene e gliene sono grato, così come a lui va tutta la mia stima e il mio affetto». Qual è il ricordo più bello legato agli alpini? «L’Adunata di Treviso. Ho sfilato con mia moglie e i miei figli accanto, assistito dalle macchine che mi servono per respirare e tenere vive le funzioni vitali». Sarai anche a Trento? «Assolutamente sì». Sei credente, Riccardo? «Alla morte di mia madre avevo perso la fede. Nella malattia mi sono aggrappato a Dio con tutte le mie forze».

    Pensi che Lui ti stia aiutando? «Assolutamente sì. Mi aiuta a sopportare ». Agli alpini che ti leggeranno da queste pagine cosa vorresti dire? «Di crederci. Di credere ai valori di cui sono portatori e alla missione che hanno davanti. Loro possono e devono fare moltissimo, per gli altri e per la società».

    Bruno Fasani
    bruno.fasani@ana.it