Gli alpini nella storia d’Italia (ultima puntata)

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    Versatilità, la risposta moderna

    Nel corso degli anni Settanta le Forze Armate italiane sono state oggetto di un processo di ristrutturazione destinato, da un lato, a snellire l’apparato riducendo il contingente di leva e le strutture eccedenti, dall’altro a rendere l’istituzione militare più efficiente e moderna. In questo quadro le Truppe alpine sono state riorganizzate, in omaggio ad un principio di flessibilità operativa e di mobilità che nel terreno montano trova il suo ideale ambiente di applicazione. La ristrutturazione ha stimolato un approfondimento teorico che nel corso degli anni si è arricchito di numerosi contributi (tra gli altri, vanno ricordati quelli di Luigi Poli, Carlo Jean, Domenico Innecco, Benedetto Rocca, Patrizio Flavio Quinzio).

     

    I termini della riflessione erano chiari: trasformare i reparti alpini in unità adatte al combattimento in pianura, oppure dotarli di versatilità operativa? Le risposte sono state concordi in quest’ultima direzione: “Disponiamo di uno strumento alpino sovradimensionato rispetto alle effettive esigenze di impiego riferite all’ambiente classico e istituzionale – ha scritto il generale Innecco – ma è uno strumento che è bene conservare nella sua interezza perchè depositario di valori che, lungi dall’attenuarsi nel tempo, si alimentano dell’entusiasmo e della tradizione e rappresenta quindi una riserva di valori morali e di capacità operativa che non è lecito alienare”. Il dibattito si è polarizzato attorno a due diversi concetti: “bivalenza” e “versatilità”.

    Il primo, eccessivamente schematico, prevede la duplice possibilità di realizzare una “bivalenza assoluta”, dotando gli alpini di armi e mezzi idonei in egual misura per l’impiego in montagna e in pianura, o una “bivalenza integrata”, con la creazione di reparti alpini differenziati nell’ordinamento. Entrambe le ipotesi sono però apparse impraticabili: “È utopistico – ha scritto il generale Rocca – pensare alla bivalenza assoluta per evidenti ragioni di costi dell’apparato, ma anche alla bivalenza integrata per l’insorgere di riflessi negativi sulla coesione spirituale e addestrativa dei reparti”. Alla bivalenza si è così sostituito il più elastico concetto di “versatilità”, intesa come capacità di assolvere i compiti istituzionali in ambienti operativi sostanzialmente diversi: “I tempi sono maturi – è stato scritto – per aggiornare la figura dell’alpino.

    Occorre vederne l’immagine non più abbarbicata al classico spuntone di roccia che intende difendere staticamente con caparbietà montanara ma, per restare in ambiente, paragonarla a quella del cacciatore di camosci che ricerca e individua la preda con tecnica e determinazione, ne studia le mosse e, con calcolato dinamismo, la intercetta nel momento voluto e nel posto giusto”. Con queste caratteristiche, l’alpino può essere impiegato con successo nell’assolvimento di svariati compiti operativi, dall’interdizione di aree vaste ma dotate di scarsa viabilità alla condotta di azioni diversive, alla neutralizzazione di forze aviolanciate o elisbarcate da realizzare con i procedimenti specifici dell’agguato o del rastrellamento.

    La versatilità è così diventata la caratteristica del Corpo, il che ne ha permesso e sollecitato l’impiego operativo nel momento in cui il crollo repentino dell’Impero sovietico e la fine del bipolarismo hanno mutato le esigenze militari. Nel momento in cui l’esplodere di microconflittualità locali ha costretto gli Stati più avanzati a intervenire con missioni di peace-keeping o di peace-enforcing, gli alpini si sono rivelati tra i reparti più idonei per l’impiego all’estero: nelle missioni internazionali servono infatti uomini ben preparati fisicamente, militarmente abituati a muoversi per piccoli gruppi, capaci di autonomia.

    Da qui la presenza di alpini nell’operazione “Provide Confort” del 1991 in aiuto alle popolazioni del Kurdistan iracheno dopo la fine della guerra del Golfo; nell’operazione “Onumoz” del 1993-94 con le brigate Taurinense e Julia inquadrate nel contingente “Albatros” in Mozambico; nelle operazioni “Joint Guard” e “Costant Guard” in Bosnia; e poi ancora in Kosovo, in Iraq, in Libano, in Afghanistan. Una storia antica di coscritti montanari che continua anche oggi con il reclutamento volontario: e, come tutte le storie, con tanti capitoli nuovi ancora da scrivere. (fine)

    Gianni Oliva

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