Gli alpini nella storia d’Italia (9ª puntata)

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    Grecia: la folle “guerra parallela”

    Se l’aggressione alla Francia del 10 giugno 1940 era nata dall’ipotesi di un’imminente conclusione della guerra e dalla volontà del fascismo di garantirsi una parte del bottino, l’aggressione alla Grecia era il risultato delle sorde gelosie fra gli alleati dell’Asse e dell’ambizione di Mussolini di condurre una guerra parallela a quella tedesca: la reazione attribuita al Duce alla notizia dell’occupazione nazista della Romania (“questa volta Hitler saprà dai giornali che ho occupato Atene!”) è illuminante sull’atmosfera in cui maturò la decisione.

     

    Il 15 ottobre 1940, in una riunione a Palazzo Venezia, la decisione dell’attacco alla Grecia venne presa da un consiglio di guerra presieduto da Mussolini: due settimane dopo, il 28 ottobre, le truppe iniziavano l’attacco partendo dalle basi in Albania. Il piano di operazioni prevedeva che un Corpo d’armata di fanteria si impossessasse dell’Epiro, mentre la divisione “Julia” (che si trovava in Albania sin dalla primavera 1939) doveva presidiare le zone montane più aspre per impedire che le truppe elleniche provenienti dalla Tessaglia potessero congiungersi con quelle dell’Epiro.

    Il piano, predisposto in modo affrettato e avallato da generali come Visconti Prasca, troppo proni ai voleri del regime, non teneva in alcun conto nè la consistenza delle truppe greche (assai più numerose di quelle italiane), nè le difficoltà di trasporto e rifornimento in un terreno accidentato e pressoché privo di strade, nè, infine, la rigidità del clima balcanico in una stagione che ormai si avviava verso l’inverno. I primi a fare le spese di queste leggerezze furono gli alpini della “Julia”. “Non era ancor l’alba del 28 ottobre – ha scritto Emilio Faldella – quando, sotto una pioggia torrenziale, tutte le colonne superavano il confine. Nelle zone più alte del Gramos, neve e tormenta flagellavano gli alpini del ‘Tolmezzo’.

    Il ‘Gemona’ e il ‘Cividale’ avanzavano con estrema fatica a causa della piena dei ruscelli e dei torrenti. Il Sarandaporos, la Vojussa e tutti i loro affluenti si presentavano come fiumane vorticose e muggenti, praticamente inguadabili”. In queste condizioni, l’avanzata dei battaglioni alpini fra le montagne del Pindo fu lenta e faticosa, mentre i battaglioni greci concentravano il tiro di artiglieria nei passaggi obbligati e sui tratti scoperti. A rendere tutto più difficile, era l’assoluta mancanza di rifornimenti: tutto ciò che risultava indispensabile (viveri, munizioni, armi, tende) doveva essere portato a spalla dagli alpini perchè i muli, già di per sè in numero inadeguato, difficilmente attraversavano i torrenti sulle passerelle improvvisate dai reparti genieri. A metà novembre, un vigoroso contrattacco greco segna le sorti della Campagna.

    Il Visconti Prasca, constata l’impossibilità di mantenere i 40 chilometri di territorio nemico conquistati nei giorni precedenti, ordinò un ripiegamento manovrato, assegnando alla “Julia” il compito di sbarrare la vallata della Vojussa. Le due settimane che seguirono furono per gli alpini le più tragiche dell’intera Campagna: truppe esauste per i disagi, il maltempo, la scarsezza di cibo erano costrette a retrocedere a stretto contatto del nemico, ad aprirsi il varco con ripetuti assalti alla baionetta, a contrattaccare per svincolare i reparti investiti e alleggerire la pressione, col rischio incombente di un accerchiamento totale.

    Il 18 novembre la difesa era ridotta a quella diretta sul ponte di Perati, passaggio obbligato per attraversare la Vojussa. Quattro giorni di scontri e di morti, sinchè il 22 novembre il comando generale ordinava alla Julia di ripiegare facendo saltare il ponte. Nasceva in quei frangenti la “leggenda Julia”, una leggenda spontanea, nata non per retorica di inviati speciali, ma in mezzo ai combattimenti, tramandata da alpino ad alpino: il ponte di Perati e la resistenza della “Julia” diventavano il simbolo di una capacità di lottare che avrebbe meritato ben altra direzione politica e ben altra direzione militare.

    Mentre le truppe del Regio esercito ripiegavano verso l’Adriatico, si diffondeva una canzone piena di tristezza e di malinconia, destinata ad immortalare il sacrificio della Divisione: “Sul ponte di Perati bandiera nera / è il lutto de la Julia che fa la guera / la mejo gioventù che va sotto tera”. (9 – continua)

    Gianni Oliva

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