Gli alpini nella storia d’Italia (1 puntata)

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    Questa è la prima puntata di una serie che ci accompagnerà nel corso di quest’anno, dedicata al 150º anniversario dell’unità d’Italia e al contributo dato dagli alpini nel corso della storia patria. L’autore è Gianni Oliva, storico, docente di storia del risorgimento all’università di Torino e autore di numerosi saggi nonché, aggiungiamo noi, grande ammiratore degli alpini

     

    Quando gli alpini nascono, nel 1872, l’Italia è già fatta. Undici anni prima, il 17 marzo 1861, è stata proclamata l’unità; due anni prima, il 20 settembre 1870, è stata conquistata Roma. Eppure non si riesce a pensare alla storia d’Italia senza pensare agli alpini: anche se non hanno partecipato direttamente alle guerre di indipendenza, anche se non hanno attraversato di corsa la breccia di Porta Pia, gli alpini sono indissolubilmente legati alla storia nazionale, di cui rappresentano parte integrante e costitutiva. Che cosa, dunque, hanno fatto gli alpini per penetrare tanto profondamente nell’immaginario collettivo e per permeare così a fondo la memoria nazionale? La risposta non è difficile: se sono nati quando l’Italia era ormai fatta, gli alpini sono però nati in tempo per fare gli Italiani . È celebre la frase con cui Massimo D’Azeglio fotografava il primo problema che la classe dirigente del nuovo stato si trovava di fronte: Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani .

    Era il ritratto di un Paese che proveniva da storie diverse, che parlava lingue diverse, che aveva economie diverse, un Paese che era diventato stato prima di diventare nazione . Ecco, gli alpini hanno dato un contributo importante in questa direzione: sono stati uno degli strumenti attraverso cui è stata veicolata l’idea di Italia. Per capire come e perché questo è avvenuto bisogna ripercorre la storia del Corpo a partire dalla sua costituzione.

    All’origine di tutto vi è l’intuizione di un brillante ufficiale di Stato Maggiore, il capitano di fanteria Giuseppe Domenico Perrucchetti, che sulla Rivista Militare del maggio 1872 scrive un saggio intitolato Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini e proposta di un ordinamento militare territoriale della zona alpina . Perrucchetti è un esponente di quella classe dirigente nazionale che negli anni del Risorgimento guarda a Torino come guida della nazione: lombardo, originario di Cassano d’Adda (e come tale cittadino austriaco), egli nel 1859 lascia ventenne la Lombardia e si arruola volontario nelle truppe del regno di Sardegna: nel 1861 diventa sottotenente di fanteria, nel 1866 partecipa alla terza guerra di indipendenza e ottiene la promozione a capitano.

    Pur non essendo cresciuto in montagna, Perrucchetti coglie bene le esigenze poste dai nuovi confini nazionali, che corrono in gran parte sul crinale alpino. In caso di attacco nemico, la mobilitazione prevede che le truppe si concentrino nei depositi di pianura, si inquadrino nei diversi reggimenti e poi vengano mandate verso i passi alpini per fermare l’aggressione: la complessità della mobilitazione è però tale che, con un attacco di sorpresa ben congegnato, i nemici possono arrivare all’imbocco della pianura prima che il Regio Esercito abbia il tempo materiale di inquadrarsi e di raggiungere i passi. Dunque, scrive il Perrucchetti, occorre disporre di truppe specializzate nella difesa alpina, abitualmente dislocate nelle alte valli di collegamento, pronte a contrastare il nemico respingendolo o, quanto meno, rallentandone l’azione.

    Stabilito il principio della difesa in quota, si tratta però di individuare i soldati più idonei. La montagna della seconda metà dell’Ottocento non è un paesaggio abituale come oggi, percorso da strade comode e disseminato di centri turistici: all’opposto, è una montagna severa, in parte ancora inviolata, coperta da ghiacciai, attraversata solo da sentieri o da mulattiere. Mandare in quell’ambiente giovani cresciuti in pianura sarebbe militarmente fallimentare: in quota servono soldati abituati a muoversi sui terreni accidentati, a resistere alle temperature rigide, ad arrampicarsi su pendii impervi.

    Di qui la proposta di Perrucchetti (che oggi sembra logica e banale, ma che al tempo risultò rivoluzionaria): affidare la difesa alpina a soldati nati e cresciuti in montagna, pratici dei luoghi sin dalla giovinezza, e sicuramente motivati nel caso in cui dovessero difendere da un’aggressione nemica i propri cari e i propri beni. Il ministro della guerra in carica, il generale Cesare Ricotti Magnani, legge con interesse il saggio del Perrucchetti. Egli è un piemontese appassionato di montagna (nel 1864, insieme a Quintino Sella, ha fondato il Club Alpino Italiano), sa che i nuovi confini richiedono un aggiornamento del modello di difesa e sa che in materia militare le decisioni devono essere tempestive.

    Senza frapporre indugi, il ministro inserisce la costituzione di 15 nuove compagnie distrettuali permanenti (per un totale di duemila uomini) negli allegati del Regio Decreto n. 1056 del 15 ottobre 1872, che prevede l’aumento dei Distretti Militari: una proposta avanzata in primavera trova così realizzazione già nell’autunno successivo. I nuovi reparti vengono chiamati compagnie alpine ed hanno due padri fondatori : un politico efficiente come il generale Ricotti, uno studioso intuitivo come il capitano Perrucchetti. (1 continua)

    Gianni Oliva

    Pubblicato sul numero di gennaio 2011 de L’Alpino.