I panni sporchi in piazza
C’è un dato incontestabile che indica il grado di salute de L’Alpino. Ed è la montagna di lettere che arrivano sul tavolo del direttore, puntualmente ogni mese. Lettere che qualche volta hanno alle spalle cultura storica e grande capacità comunicativa. Altre volte sono lettere più semplici nello stile, ma dietro alle quali si sente il cuore vero degli alpini e il profumo della loro genuinità. Sono scritti che si leggono sempre con piacere, se non fosse a volte per l’eccessiva lunghezza, che obbliga a maratone della mente, finendo per precludersi la possibilità di essere pubblicate, per ovvi motivi di spazio. La cosa bella di questi scritti è che ormai spaziano in ogni ambito della vita sociale.
Pericolose rivendicazioni
Caro direttore, ho letto su L’Alpino di febbraio 2015, come spesso mi capita di fare, la rubrica “Lettere al direttore”, sempre puntuale e schietta nelle tue risposte. Mi colpisce però la lettera di Tiziano Bertè, mio caro amico, collaboratore stimato e appassionato del Museo della Guerra di Rovereto.
Scelte in autonomia
Egregio direttore, diventare mamma è un dono di Dio che tutti dobbiamo apprezzare e custodire. Era molto importante che la redazione dedicasse su L’Alpino di febbraio, evidenziato in celeste, che la signora Nadia Seccia il 6 gennaio aveva dato alla luce il piccolo Gioele.
La nostra Preghiera
Caro Bruno, consentimi prima di tutto di chiamarti così, perché se ti dò del monsignore perdo tutta la spontaneità alpina che invece vorrei fosse la chiave di lettura principale di questa riflessione. La lettera di Aldo Lanfranchini, sezione Valsesiana (L’Alpino gennaio 2015 pag. 5) mi ha fatto riflettere.
Alpini di mare
Leggendo il numero di gennaio trovo l’articolo “Alpino… in mare” e per me, “Alpino... di mare”, ligure, nativo di una regione dove iniziano le Alpi che in diversi casi si “tuffano” letteralmente in mare e, dove nell’immediato entroterra vi sono picchi rocciosi che sia pur a quote più basse, nulla hanno da invidiare ai massicci più importanti, nelle ultime righe dove si scrive: “Nonostante il Corpo degli Alpini sia abituato alle creste vertiginose e sia l’espressione geograficamente più lontana dagli ampi orizzonti del mare…” per quanto mi riguarda, la frase suona un po’ stonata!
La virtù dei forti
Egregio direttore, devo dire che ammiro la Sua pazienza, senz’altro è pari se non superiore a quella del mitico “Giobbe”. Non c’è giornale L’Alpino, in cui Lei non dia spazio alle lettere che Le arrivano da alpini che si arrovellano il cervello, con accostamenti di ogni genere e critiche, per dire o trovare qualcosa di negativo o addirittura spregiativo sulla nostra preghiera, vedi anche L’Alpino di febbraio.
In politica senza cappello
Caro direttore, Le scrivo per chiederLe alcune considerazioni. Non è la prima volta che mi capita di vedere sui Tg nazionali signori che partecipano a manifestazioni politiche, portare distintivi partitici, sfoggiando il nostro cappello alpino.
La prima di Cevoli
Il film ha già cominciato a scatenare discussioni prima ancora di essere uscito nelle sale (dal 2 aprile). Da un lato quanti lo considerano dissacrante a prescindere per il solo fatto di essere una commedia e dall’altro quanti, invece, pensano cha si possa affrontare il ricordo della Grande Guerra anche con un sorriso. Sinceramente credo molto nella potenza dell’umorismo e non ho mai trovato dissacrante l’ironia profusa a piene mani da Paolo Monelli e Giuseppe Novello, due che la guerra l’avevano conosciuta davvero, ne “La Guerra è bella ma scomoda”.
Il nostro Inno
Spettabile redazione, sono “solo” un amico degli alpini della Sezione Marche, avendo fatto il militare nel glorioso reggimento Lancieri di Montebello, con l’onore di aver fatto la guardia al Presidente della Repubblica. Voglio farvi i miei complimenti per aver pubblicato nel numero di febbraio 2015 il testo completo del nostro Inno Nazionale con la relativa parafrasi; molti, troppi, italiani ne ignorano i versi ed il loro vero significato.
Il sacrificio di Selenyj Jar
Ancora una volta San Gabriele dell’Addolorata ha fatto il miracolo. La devozione verso il Santo patrono d’Abruzzo è stata più forte della paura del maltempo e decine di migliaia di alpini provenienti da tutto il territorio regionale, e non solo, si sono riversati a Isola del Gran Sasso e, dopo aver reso gli onori al vessillo della Sezione Abruzzi, hanno iniziato la sfilata verso il santuario di San Gabriele.
Una grande medaglia
Cosa vuol dire essere stato un alpino in guerra? Vuol dire il pianto soffocato di una mamma o quello disperato di una sposa, che ti hanno visto partire...Vuol dire un treno pieno di soli uomini, che cantano e ridono ancora, un treno che ti porta lontano in terre sconosciute, assolate e deserte di sabbia, che ti brucia la pelle e ti confonde la mente, fredde e desolate di neve, che ti si incrosta sul viso e ti rovina i piedi...
La cruda realtà della Guerra
Stimatissimo direttore, sentiamo quotidianamente parlare di ragazzi cresciuti ed educati nelle nostre comunità che decidono di andare in guerra. Al di là della loro scelta di campo, ciò che mi colpisce maggiormente è la freddezza con cui vanno incontro ad una possibile morte. In altri tempi ed in altre situazioni avrei pensato a degli eroici difensori dei propri ideali; oggi mi sorge il dubbio che questi gesti siano soprattutto legati ad una deformata percezione di cosa sia realmente la guerra.