La Tridentina vive
Si addestrarono sulle Alpi Occidentali prima di affrontare la Campagna di Russia, raccontata in pagine memorabili da scrittori del calibro di Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli e Giulio Bedeschi: erano gli alpini della divisione Tridentina, che sarebbe stata mandata al massacro dal regime fascista e dalla monarchia sabauda tra le steppe dell’Unione Sovietica, insieme alla Cuneense e alla Julia.
Il maggiore Piva
Ho seguito i vari interventi relativi alla Divisione partigiana italiana Garibaldi e ho letto la lettera di Carlo Danda, bella ed esaustiva. Onore e riconoscenza a tutti i soldati italiani che hanno fatto parte di quella Divisione. Leggendo la storia della “Garibaldi”, mi è venuto in mente un vecchio episodio. Nel giugno 1991, con gli alpini di Venezia abbiamo visitato il santuario di Oropa sopra Biella, passando naturalmente per la sede della Sezione di Biella e per il museo storico dedicato al Corpo degli alpini.
Senza futuro
Nei giorni scorsi ho assistito ad una interessante presentazione di una serata circa i temi alpini. Pacche sulle spalle agli organizzatori e soddisfazione di tutti per la sala gremita, anche se pochi hanno notato che la quasi totalità dei partecipanti erano alpini, mogli o parenti. Sorge spontaneo allora il pensiero se stiamo facendo abbastanza per lasciare una forte traccia dietro di noi o peggio, se abbiamo maturato tutti il fatto che siamo gli ultimi di una grande tradizione. L’autocelebrazione e le pacche sulle spalle vanno benissimo, ma per tramandare, diventa sempre più indispensabile aprirsi verso chi alpino non è, o che peggio, guarda a noi con un misto di divertita ironia, come a dei nostalgici cucinieri di salamelle.
Il generale Ravnich
Ho letto l’articolo “Una precisazione sulla Garibaldi” su L’Alpino di gennaio scritto da Carlo Danda. Il comandante della Garibaldi, il futuro gen. Carlo Ravnich è stato il primo comandante della appena costituita brigata Cadore a Belluno alla quale fui assegnato (6º da montagna) come giovanissimo ufficiale nel dicembre del 1952.
Gli Auc che sfilano
Sono uno di coloro che, nonostante i periodici rimproveri su L’Alpino, si ostinano a sfilare con la Smalp, dove sono stati “forgiati” da sei indimenticabili mesi di corso, piuttosto che con la Sezione di appartenenza.
Alpini, nonni speciali
A mio figlio Ettore che ha quattro anni e frequenta la scuola materna gli è stato chiesto dalla maestra che lavoro fa il nonno. Ettore ha risposto: “Fa due lavoli. Giusta i ascensoli e… fa l’alpino!”. Mi è parso bello segnarvelo perché non c’è di meglio degli occhi e del cuore di un bambino per vedere e capire la realtà.
Valore all’onestà
Non sono affatto d’accordo con quanto scrivi nell’editoriale di marzo “In attesa del nuovo Governo”. A parte il chiaro orientamento a favore di partiti che non hanno nel loro dettato la parola onestà, credo che più che non sapercene fare di onesti ma incompetenti dovremmo temere i competenti ma disonesti.
L’impossibile degli alpini
Mentre stendo queste riflessioni, la cronaca ci consegna le note amare dello scandalo Facebook, dopo che il colosso web ha ceduto i dati privati di cinquanta milioni di navigatori. Persone ignare del fatto d’essere finite nelle spire del mercato e dei manipolatori di consenso politico. Una frontiera, quella dei partiti, entrata più di recente in questa perversa strategia, ma già in grado di orientare le consultazioni elettorali servendosi del digitale. Basta elogiare o denigrare sul web in maniera mirata per spostare milioni di voti. Alla faccia della democrazia!
Il discorso di Mattarella
Ho atteso con trepidazione l’arrivo de L’Alpino per vedere se ci fosse qualcosa sul discorso del Presidente della Repubblica Italiana di fine anno, dove Mattarella paragonava i diciottenni partiti e morti al Fronte per l’Italia ai diciottenni che sarebbero andati a votare alle ultime elezioni.
La manichea volontà di dividersi
Quando arriva L’Alpino è una festa. Un grazie a tutta la redazione. Bruno, la tua onestà intellettuale ti farà restare “don”. Ma va bene così, intendiamoci. A proposito del Tricolore italiano con la stella rossa al centro, posso dire anch’io, però come l’alunno dell’ultimo banco, che quelle bandiere io le ho proprio viste sfilare (avevo sei anni) qui per Gorizia, nel 1945 ed erano le bandiere dei partigiani italiani della zona, per la maggior parte comunisti e socialisti, che vagheggiavano la Venezia Giulia come 7ª Repubblica federativa della Jugoslavia.
L’illacrimato
Mi riferisco alla lettera di Damiano Rech uscita su L’Alpino di febbraio 2018 per aggiungere che Umberto I era molto immeritatamente soprannominato “il re buono”.
Il solito disservizio
Nel fare i complimenti per il nostro giornale che sembra sempre giovane anche se leggendo gli “auguri ai veci” o la rubrica “incontriamoci” capiamo che non è così, non certo per colpa nostra, vorrei segnalare, cosa peraltro nota, che il giornale arriva sempre in ritardo. Anche i numeri di dicembre 2017 e gennaio 2018 mi sono arrivati assieme giovedì 30 gennaio e non è la prima volta.