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Una famiglia, un mentore, un riferimento. Per i ragazzi di vent’anni, in guerra lontano da casa, era questo il loro cappellano. Pregavano insieme alle Messe, celebrate al fronte davanti ad un altarino da campo poco prima dell’attacco, restituiva loro uno sguardo di tenerezza ed era accanto nel momento dell’addio. E una volta a casa, portava una parola di conforto per alleviare la disperazione di genitori e fratelli. Nel loro servizio in guerra i cappellani militari furono uno dei più alti esempi di carità cristiana, uno spirito che sopravvive forte anche oggi, nella loro missione in tempo di pace. Lo sono in modo differente perché diversi sono gli scenari sociali, culturali e di riferimento.
Nei Paesi cristiani, specie in Italia, li chiamarono direttori di spirito, poi preti al campo e infine, cappellani militari. Padre Generoso da Pontedecimo era uno di loro. Beffardo il destino che nel 1934 indica “rivedibile per debole costituzione” quel chierico, frate cappuccino, con il naso sottile e aguzzo a sostenere piccoli occhialetti tondi.
È sempre più un momento di raccolta, oltre che di raccoglimento, la Messa che dal 1956 viene celebrata a dicembre di ogni anno in Duomo, a Milano. Fu una iniziativa di Peppino Prisco, in memoria dei Caduti del “suo” battaglione L’Aquila del 9° reggimento, poi estesa a tutti i Caduti. Con gli anni la Messa ha coinvolto un sempre maggior numero di Sezioni, Gruppi, alpini e cittadini. È divenuta un evento importante nella storia della nostra Associazione, rappresenta uno dei cardini della vita associativa: il ricordo di quanti hanno pagato con la vita il “dovere pericolosamente compiuto”.
I trent’anni di missioni Italiane all’estero sono celebrati dal Calendesercito 2013 con le belle foto in bianco e nero di Mauro Galligani.
L’obiettivo è puntato sul “cuore delle missioni” che è quello degli uomini e delle donne dell’Esercito, raccontati lungo i dodici mesi dell’anno. La preparazione alla missione, gli affetti, l’attività operativa e umanitaria, i rischi, l’amicizia.
Costruire una struttura sul territorio per la popolazione, come è accaduto per l’Abruzzo terremotato. E’ questa la nuova sfida per l’Associazione Nazionale Alpini a favore l’Emilia una volta terminata l’emergenza che ha visto al lavoro, nei campi d’accoglienza, oltre 6000 volontari da maggio a novembre.
Undicimila Babbi Natale, tutti rigorosamente vestiti con l’abito rosso e barba posticcia d’ordinanza, hanno invaso piazzale Polonia a Torino per partecipare alla terza edizione della manifestazione promossa dalla Fondazione Ospedale Regina Margherita Onlus il cui ricavato andrà per acquistare una TAC portatile per l’Infantile di Torino. Gli alpini della sezione ANA di Torino hanno nuovamente “adottato” la Fondazione, contribuendo in modo esemplare all’organizzazione logistica dell’evento, con circa 500 alpini volontari e della Protezione Civile sezionale.
Quest’anno il raduno riveste particolare importanza per la ricorrenza del 70° anniversario di Quota Cividale e sarà coronato dall’inaugurazione di un monumento all’8° Alpini a Cividale.
Nel 2010 ho aderito alla richiesta di un amico che mi chiedeva di aiutarlo a rivolgere un appello, attraverso l’Informatore che dirigevo all’epoca, a tutti gli alpini del nostro Comune allo scopo di creare un Gruppo locale. Ho aderito volentieri all’iniziativa anche per l’affetto che ho sempre nutrito nei confronti degli alpini, sia perché numerosi nel mio ambito familiare, sia per la conoscenza delle loro gesta.
La commemorazione del 4 Novembre al sacrario militare di Redipuglia è un appuntamento d’obbligo della nostra storia contemporanea perché rappresenta il sacrificio del popolo italiano nel travagliato cammino dell’unità nazionale. In questo che è il più grande cimitero militare d’Italia giungono ogni anno le massime autorità a rendere omaggio ai centomila Caduti nella prima guerra mondiale che qui sono raccolti e, per estensione, agli altri cinquecentomila e a quelli del secondo conflitto.
Tra poco sarà Natale. Un tempo, quando l’innocenza accompagnava i primi passi dell’esistenza, eravamo soliti mettere i nostri sogni dentro una letterina da consegnare al Bambin Gesù. Per lo più erano promesse d’essere migliori, spesso accompagnate da qualche timida richiesta, avanzata tra le tante frustrazioni di una vita in salita. Diventati grandi, anche l’innocenza s’è pian piano sfilacciata, ma i sogni hanno continuato a farsi largo popolando di speranze il nostro quotidiano.
San Benedetto dei Marsi (L’Aquila) e i suoi cittadini hanno partecipato numerosi al raduno sezionale degli alpini organizzato dal gruppo “Morroni” in collaborazione con la sezione Abruzzi. L’appuntamento è stato arricchito da un convegno su “Don Gnocchi e la solidarietà alpina”, disposto in collaborazione con l’Amministrazione comunale e allietato dal coro di Isola del Gran Sasso. Erano presenti il sindaco Paolo Di Cesare, il presidente della sezione Abruzzi Giovanni Natale e il vescovo dei Marsi, mons. Pietro Santoro.
Accanto a me, sull’aereo che mi portava in Australia dove avrei incontrato i presidenti di quelle Sezioni, c’era un giovane lombardo che mi ha raccontato di aver lasciato l’Italia per andare a cercare lavoro in questo paese a 24 ore di volo da casa. Aveva il visto d’ingresso, sperava poi nella fortuna. Secondo i dati forniti dal presidente delle associazioni italiane costituite nel Western Australia solo quest’anno sono arrivati migliaia di giovani italiani, molti con il visto turistico ma in effetti per rimanere.