Pastori con le stellette

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    Una famiglia, un mentore, un riferimento. Per i ragazzi di vent’anni, in guerra lontano da casa, era questo il loro cappellano. Pregavano insieme alle Messe, celebrate al fronte davanti ad un altarino da campo poco prima dell’attacco, restituiva loro uno sguardo di tenerezza ed era accanto nel momento dell’addio. E una volta a casa, portava una parola di conforto per alleviare la disperazione di genitori e fratelli. Nel loro servizio in guerra i cappellani militari furono uno dei più alti esempi di carità cristiana, uno spirito che sopravvive forte anche oggi, nella loro missione in tempo di pace. Lo sono in modo differente perché diversi sono gli scenari sociali, culturali e di riferimento.

     

    Le lamentazioni dei detrattori dei preti in stellette, che tempo fa hanno trovato sfogo in una proposta di legge, e che ricorrono soprattutto in tempo di crisi, riguardano principalmente il dio denaro. Un costo per lo Stato da abbattere secondo un calcolo meramente aritmetico, ragionando però poco sul ruolo e sul significato della figura del cappellano. Egli è inserito nel mondo militare – e non è un’idea dei giorni nostri poiché esistevano già dall’VIII secolo – proprio perché diverso è quel mondo da quello civile. È retto da regole e leggi diverse, ha esigenze e pretende attenzioni differenti.

    Diciamolo senza che si offenda alcuno: un Don di una parrocchia di campagna sarebbe pio quanto basta, ma sarebbe avulso dal contesto su cui intenda sviluppare la propria azione pastorale. Ed è per questo i cappellani sono inseriti nell’ambiente militare ma hanno anche diritti e doveri dei parroci e giurisdizione cumulativa con le parrocchie locali. Un di più, quindi, non una distinzione.

    Lo spartiacque ideologico è anche molte volte legato ad un pregiudizio sul mondo militare, che per molti non fa rima con mondo solidale, trascurando il fatto che nella maggior parte dei casi sono gli stessi soldati che nelle zone più delicate del mondo possono garantire alla solidarietà di sviluppare i suoi frutti e che sono spesso essi stessi i promotori, come testimoniano i tanti interventi umanitari di enti legati alle Forze Armate in Afghanistan e in Libano. Un prete, poi, non può benedire le armi – si dice – dimenticando che benedice coloro che portano quella responsabilità. È il mettere l’uomo davanti a tutto che muta la questione militare in questione sociale.

    Uno dei più begli esempi dell’opera dei cappellani è quello di mons. Gabriele Teti, vice presidente della sezione ANA Molise e oggi in servizio presso la Guardia di Finanza. Ovviamente è rimasto legato al suo primo amore, quello alpino, “quello non lo si scorda mai”. L’incontro con le penne nere avvenne nel 1996, nel mezzo del cammin della sua vita, quando fu nominato cappellano militare del 9° reggimento de L’Aquila. Ricorda con l’emozione di una recluta il giuramento davanti al Tricolore e poi il giorno successivo, nel pieno dell’inverno, la salita con i reparti sul Gran Sasso d’Italia per il campo. Due anni con gli alpini vissuti intensamente da vero pastore di una grande e unica comunità. “È notorio il forte legame che si instaura tra il cappellano e l’alpino – racconta monsignor Teti. È nel DNA del Corpo questo legame indissolubile!”.

    E una volta terminato l’incarico, anche a distanza di tempo, avere “l’orgoglio di quanto sia bello sentire ancora dire: ‘Il mio cappellano!’. In montagna, con i miei Alpini, ho visto i pastori portare il gregge e ho compreso cosa significa veramente l’affermazione di Gesù: ‘Io sono il buon Pastore!’. Perché l’attenzione e la premura per il proprio ‘gregge’ devono essere alla base del servizio che il cappellano dedica ai suoi alpini. E cosa dire della bellissima tradizione ancora conservata che al termine della scalata il cappellano militare celebra la Messa e il Comandante legge la Preghiera dell’Alpino? Quanta emozione nel ricordare le celebrazioni sulle vette alpine, nel piazzale della caserma, in treno con centinaia di giovani che nessun parroco potrà mai avere!”.

    L’esperienza con gli alpini si è riverberata negli incarichi successivi dove oltre a svolgere le funzioni ordinarie di un parroco ha maturato un approccio più attento verso la cura dell’incontro personale e diretto che si fortifica nel tempo e diventa unico e irripetibile. In questa opera si inserisce non solo l’attenzione nel seguire le Associazioni Combattentistiche e d’Arma presenti sul territorio, ma soprattutto quella di stare accanto alle famiglie dei nostri militari caduti nelle missioni internazionali.

    In alcuni casi ciò si traduce anche nell’aiutare i parenti di quegli alpini, combattenti nella seconda guerra mondiale, che non hanno mai fatto ritorno a casa: “Sono rimasto colpito – dice mons. Teti – da alcune richieste di alpini per ottenere il rientro in Patria dei loro genitori morti in Russia. In due casi in cui ci sono riuscito, mi hanno profondamente segnato perché ho toccato con mano la fede dei nostri alpini e la tenacia nell’attendere questo momento. Sembrava di accompagnare al camposanto una persona morta il giorno prima, che non si era mai allontanata da casa. Rimangono impresse nel cuore e nella mente i gesti e le parole affettuose dei figli, dei parenti, delle comunità: quanta fede, quanto amore!”.

    Quell’amore e quella fede, favorite dalla presenza di una guida, hanno maggiore possibilità di ripercuotere il loro effetto positivo nel sociale. Né è convinto mons. Teti: “Gli alpini e i loro valori incarnano lo spirito cristiano con una fede viva e tenace, con un forte legame alla propria tradizione religiosa vissuta con sincera adesione alla condivisione delle difficoltà e alle necessità dei fratelli bisognosi. Caratteristica universalmente riconosciuta è proprio la presenza dell’alpino dove c’è il bisogno di soccorso e d’aiuto alle popolazioni nell’immediatezza e nell’urgenza! Inoltre, soprattutto in occasione dei vari Raduni, traspare netto il valore della vera fratellanza e del generoso e gratuito donarsi al prossimo”.

    “Sono certo – prosegue Teti – che i valori di solidarietà, generosità e altruismo (che non sono di moda!) dei nostri soci spesso riescono a contagiare positivamente l’ambiente in cui vivono; perché il modo efficace per coinvolgere gli altri è, prima di tutto, testimoniare con la propria vita quello in cui si crede, impegnandosi con onestà e spirito di sacrificio. Questo vale molto più di tante prediche e parole inutili e, pian piano, noto che fa breccia anche nel cuore dei più duri”.

    Matteo Martin

    GABRIELE TETI

    Nato a Chieti il 15 febbraio 1958, è laureato in giurisprudenza, scienze politiche e sacra teologia. E stato ordinato sacerdote il 1° aprile 1985. Dal 30 gennaio 1996, per due anni, è stato cappellano militare del 9° Alpini a L’Aquila. Fa parte del Consiglio presbiteriale dell’Ordinariato Militare, è nella diocesi di Civitavecchia-Tarquinia e attualmente è cappellano al Comando regionale Molise della Guardia di Finanza. È cappellano e vice presidente della sezione Molise. Il 23 settembre 2011 è stato nominato Postulatore generale dell’Ordinariato Militare ed è anche Postulatore della causa di beatificazione del Servo di Dio Salvo D’Acquisto, M.O.V.M. Giornalista pubblicista, è decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Civile e Cavaliere della Repubblica Italiana.