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lunedì, 30 Giugno 2025

Doppia gioia

Dopo mesi di attesa e intensi giorni di organizzazione si parte. C’è qualcosa di prezioso che ho messo nello zaino. È importante, mi servirà. Non andremo alla ricerca dell’arca, ma salire l’Ararat, perché questa è la nostra meta, significa cercare le radici di un passato lontano in una terra antica, la Turchia, ancorata alle sue millenarie tradizioni.

Maratoneta Alpino

Dalla sua prima maratona di New York, qualche anno fa, non si è più fermato: Michele Orlando, classe 1971, soprannominato “Chel di Fasan” (quello dei fagiani), dal 2010 continua a correre in giro per il mondo con il cappello alpino in testa e sventolando, orgoglioso, il tricolore. Ogni arrivo, per lui, come per gli amici del gruppo di Carpacco (sezione di Udine) che lo sostengono a distanza, è un’apoteosi di valori alpini: determinazione, tenacia, coraggio e resistenza.

Sotto le Tre Cime

Il giorno della cerimonia il sole ha mostrato tutto il suo fulgore e in uno scenario stupendo, tra le montagne più belle del mondo, i Pionieri della Tridentina e i numerosissimi ospiti hanno raggiunto il rifugio Auronzo, proseguendo poi per la chiesetta. Quassù i militari italiani schierati nella zona durante la Grande Guerra nel 1916, costruirono una cappelletta votiva che, al termine del conflitto, non ricevette i necessari interventi di manutenzione per cui le condizioni complessive divennero piuttosto precarie. Nel 1964, su iniziativa del CAI di Auronzo e del Comune, con l’intervento della manodopera militare della Compagnia genio Tridentina, questo piccolo gioiello fu completamente ricostruito.

Tornare cambiati

Il cuore palpitante, la mente vuota e inebetita, la canna di una pistola russa puntata. Il tamburo gira lentamente, uno scatto sordo e un attimo che dura un’eternità. “Clic”, a vuoto… E se i tedeschi da giustiziare fossero stati di meno? E se l’ultimo per morire non avesse dovuto essere colpito da più di un proiettile? L’attimo tra la vita e la morte è come una raffica di vento sferzata dal caso.

A Cuneo per ricordare

«Quaranta gradi sotto zero ma siamo riusciti a tornare »: questo hanno detto i quattro reduci presenti alle celebrazioni del 72º anniversario della battaglia di Nowo Postojalowka sostenuta dalla divisione Cuneense in terra di Russia. La ricorrenza è stata celebrata in forma solenne dalla sezione di Cuneo nei giorni 17 e 18 gennaio. Sabato pomeriggio, nella caserma Cesare Battisti di Cuneo, già sede del 2º reggimento Alpini CAR e ora sede del comando provinciale della Guardia di Finanza, si è svolta la cerimonia dell’alzabandiera, dell’accensione del tripode da parte della staffetta partita dal Santuario degli Alpini di Cervasca e della deposizione di una corona ai Caduti all’interno del sacrario del 2º Alpini.

I reduci insegnano

Un sole splendente ha gratificato, il 24 gennaio, la celebrazione nazionale del 72º anniversario della battaglia di Nikolajewka, affidata com’è tradizione, alla sezione di Brescia. In ricordo del tragico ed epico evento che il 26 gennaio 1943 aprì agli italiani, circondati dalle truppe sovietiche, la strada del “ritorno a baita”, si sono ritrovati a Brescia a fianco del Labaro dell’ANA, scortato dal vice presidente nazionale vicario Renato Zorio, i vessilli di 30 Sezioni e i gagliardetti di 152 Gruppi, accompagnati da quasi duemila penne nere.

Lo spettro del Don

Era in prima linea, la notte del 23 dicembre 1942, quando si scatenò la furibonda battaglia del Don. Pochi rammentano quei momenti terribili, ma lui, “Giovan dla Piana”, all’anagrafe Giovanni Ghigonetto della frazione Piana di Calcinere (Valle Po) era al suo posto di combattimento. Da appena cinque giorni aveva compiuto i suoi 21 anni. A tutt’oggi ricorda con sorprendente lucidità ogni minimo particolare: «La situazione di là del Don accennava a qualcosa che sarebbe potuta accadere: non c’era proprio da stare tranquilli, al massimo dell’allerta allora.


Sulla strada per Nikolajewka

Nikolajewka evoca la battaglia di fine gennaio, il generale Reverberi che nella mischia incita i suoi, i superstiti che puntano il sottopasso gettandosi verso la salvezza nell’ultimo disperato tentativo di tornare a baita. Eppure dietro a questa parola, a questo sparuto villaggio russo fatto di neve e di isbe isolate, c’è il sacrificio di moltissimi uomini che combatterono, si spostarono, raggiunsero nuove località e di nuovo imbracciarono fucili e mitragliatrici nel comune, strenuo tentativo di sfuggire all’implacabile avanzata dell’Armata Rossa. Il 26 gennaio 1943 fu fine e inizio.

Avanti così!

Caro Direttore, ho davvero gradito il tuo “Buon Natale senza retorica” nel numero di dicembre. È da tanto tempo che non leggo su L’Alpino qualcosa che verrà certamente catalogata come “politicamente scorretta”.

L’emotività della rabbia

Con riferimento alla lettera al direttore del n. 10/2014 novembre, “Camminare insieme”, vorrei esprimere il mio pensiero. Mi sorprende che Maurizio Gorza, autore della lettera, si definisca “ingenuo”.

La Madonnina del Grappa

Il 4 agosto 1901 il patriarca di Venezia S.E. Giuseppe Sarto, divenuto qualche anno dopo Papa Pio X, benediceva la statua della Madonna con Bambino collocata sopra un sacello eretto sulla cima del Monte Grappa: una testimonianza religiosa che, come tante croci che dominavano le più importanti vette dell’arco prealpino, aveva anche lo scopo di contrastare l’anticlericalismo che dilagava tra la borghesia dei principali centri pedemontani, in questo caso Bassano.

Vogliamoci bene!

Sono Tiziano Bertè, abito a Brentonico in provincia di Trento. Sono nato a Marco, dove venne posizionata la prima linea austro-ungarica dal 18 maggio 1916. Ho abitato più di 30 anni a Serravalle all’Adige dove, in conseguenza della Strafexpedition dal 17 maggio 1916, venne posizionata la prima linea italiana. Il 29 ottobre 1918 i parlamentari austro-ungarici partirono dalla periferia sud di Marco per portarsi verso le prime linee italiane di Serravalle, dove chiesero di intavolare trattative armistiziali che portarono alla fine delle ostilità dalle ore 15 del giorno 4 novembre 1918.

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