Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Ricordi di uno chasseur francese


    È certo che il mio soggiorno presso la Scuola Militare Alpina di Aosta nel giugno 1975 rimane come uno dei migliori ricordi della mia vita di soldato della montagna. Mi recai alla SMALP con il capo della Section d’etudes des Troupes de montagne , il colonello Talon, del quale ero il vice (in rappresentanza della Divisione alpina francese di Grenoble, ndr).
    Fu quella la prima volta in cui accertai lo straordinario spirito alpino degli italiani e in cui apprezzai l’alto valore alpinistico e sciistico del Corpo, in un ambiente in cui bisogna aver vissuto per descriverne le difficoltà. Fummo accolti come fratelli dal comandante della Scuola, generale Peyronel, e dal capo ufficio Studi, esperienze e valanghe, il ten. col. Di Dato, (oggi generale, direttore de L’Alpino, n.d.r.) ancor oggi mio ottimo amico. Grande cortesia, simpatia naturale da parte dei Quadri, rispettosa dedizione e bell’aspetto militare degli alpini semplici con i quali ci siamo incontrati; queste le caratteristiche che hanno accompagnato questa accoglienza.
    Il massimo fu la salita alla vetta del Gran Paradiso con le pelli di foca agli sci, con un tempo eccezionalmente bello; indi la bellissima discesa, guidati dal colonnello Garavelli, comandante del reparto sciatori della Scuola.
    L’anno dopo ho avuto il grande piacere di accogliere a Grenoble il ten. col. Di Dato e il suo secondo, capitano Battù. Toccava a noi guidare i nostri ospiti nelle nostre montagne. Tra le tante attività, la miglior giornata fu quella consacrata allo sci, con la discesa dal Dome de la Lauze, Vallon de la Meije, cioè la Vallèe Blanche del Delfinato. Penso che i nostri ospiti abbiano apprezzato questa discesa, più modesta per quota rispetto al Gran Paradiso, ma splendida e interessante. Posso dire che le due discese hanno durevolmente fissato (nel mio animo) il mio affetto per gli Alpini d’Italia. Sono tornato altre due volte in Italia, nel 1977 per l’esercitazione Superga 77 , dove ho ritrovato il generale Peyronel e per l’esercitazione Volpe bianca al Col Bousson, nonchè nel 1978 per l’esercitazione Chisone ’78 , anche qui calorosamente accolto dalla Taurinense.
    Conservo con cura sul mio scrittoio la medaglia e il distintivo della SMALP e nella mia biblioteca il cappello alpino con la penna bianca offertomi dalla Taurinense.
    Infine, sono fiero di aver apposto l’adesivo dell’ANA sul parabrezza della nostra (mia e di mia moglie Théresè) Peugeot!


    Col. (della riserva) Jean Emile David Draguignan (Francia)



    I nuovi soldati


    Vi sono parole ed espressioni che devono la loro fortuna a quel tanto di strano, o di nuovo che possiedono, e che riescono tanto meglio quanto più appaiono semplici a realizzarsi. Così è avvenuto per la parola volontari , esercito di mestiere e esercito professionale . Il guaio grosso è costituito dalla convinzione che il professionismo militare sia la condizione sufficiente per l’eliminazione della leva obbligatoria. Tutto questo ha finito per confondere le idee anche a coloro che il servizio militare lo avrebbero dovuto difendere per mestiere o per politica.
    È così che la parola professionista ha assunto un valore a dir poco esagerato, e di conseguenza, forza armata professionale (o forse: professionista) è diventata sinonimo di modernità, efficienza, coscienza di categoria.
    La cosa più curiosa è che, improvvisamente, le precedenti generazioni di militari sono diventate inutili orpelli di una nazione vecchia e superata. Oggi, la parola d’ordine è professionalità o professionismo , con le sfumature che ognuno vuole intravvedervi. L’attuale visione professionistica, tuttavia, non deve essere il punto d’arrivo del reclutamento militare, bensì l’avvio di un sistema di partecipazione popolare alla strategia, al tempo stesso politica e militare dello Stato, volta alla difesa degli interessi del Paese e alla preparazione in tal senso delle sue forze economiche, sociali, politiche. Queste peculiari attività non sono per nulla diverse o in contrasto rispetto a quelle dei tempi andati; sono le stesse. Per cominciare, cosa significa avere un soldato professionista se poi ci dobbiamo preoccupare del suo inserimento nel mondo del lavoro civile?Se un soldato è professionista è sperabile che lo sia per tutta la sua vita lavorativa (volontariamente scelta), mentre se è un volontario a ferma limitata ritengo che quest’ultimo sappia fin dall’inizio che arruolandosi sarà un soldato addestrato professionalmente , e per questo pagato, ma solo fin che sarà soldato. Successivamente, dovrebbe essere semplicemente un bel gesto dell’organizzazione militare aiutarlo nel suo reinserimento nella vita borghese ma non un dovere o una condizione per l’arruolamento. Credo di poter comprendere lo smarrimento di molti vecchi soldati, effettivi o di leva, che vedono le enormi differenze che le unità delle nostre forze armate presentano rispetto agli anni passati, e non afferrano completamente il fatto che non ci fosse altro da fare, per così dire, per adeguarsi ai tempi correnti . Restano sospese alcune domande. Qual è lo spirito di adattamento e di servizio di questi nuovi aspiranti professionisti ?Quale sarà la loro sopportazione alle retribuzioni minime offerte, prima di concretare un sistema di rivendicazioni?Uno dei problemi che ritengo possano derivare dalla nuova situazione, è che in alcune specialità (Alpini, per esempio) si verificherà una perdita netta dello spirito particolare della specialità e delle caratteristiche del Corpo. Con la decantata professionalità militare, si potrà
    senz’altro diventare un buon soldato di montagna ma Alpino forse no. Avremo dunque ottime truppe da montagna, ma probabilmente NON ALPINI: che resti almeno il nome e forse si trascinerà anche il cuore.


    Flavio Battù Torino