Keren: silenzio colpevole

    0
    639

    Visita pellegrinaggio di una delegazione di alpini in Eritrea, al Cimitero militare italiano degli Eroi , dove riposano 12mila nostri Caduti, troppo a lungo dimenticati.

     

    La cerimonia a Dogali.

     

    Giovedì 20 febbraio, ore nove del mattino, scalo della Malpensa. Più di un centinaio di Alpini occupa militarmente un’ampia area dei voli internazionali, attirando l’attenzione degli indaffarati viaggiatori. Un bimbetto quasi trascinato dalla madre ci guarda con gli occhi stupiti. Viaggio tranquillo con tappa a San’a, in omaggio alla compagnia aerea yemenita che ci ospita e arrivo ad Asmara la sera sul tardi. In questa missione anche il vicepresidente della Regione Lombardia Gianni Prosperini, col suo cappello alpino un po’ sbuferato e l’aria dell’eterno ritardatario che arriva sempre in tempo.
    Il giorno dopo, con un sole tra il primaverile e l’estivo, partenza per Adi Quala, alla volta del sacrario di Daro Ghunat. Lì riposano 3.025 soldati italiani e 618 indigeni, dei 6.345 caduti ad Adua nel 1896. In quella località più di 100.000 Abissini riuscirono a sopraffare gli uomini del gen. Barattieri. Oggi ricorda l’evento una piramide tronca sormontata da una stele bianca, situata su un promontorio che s’incunea su un’ampia vallata segnata dal profilo dei monti etiopici.
    Ad accoglierci, oltre alle autorità locali, governatore e sindaci, ci sono il rappresentante dell’Ambasciata italiana dottor Serra, l’addetto militare gen. Silvestro Leone, i maggiorenti della regione vestiti con gli antichi e sfarzosi costumi da cerimonia, protetti da ombrellini riccamente lavorati con ricami e broccati. Le donne, a formare ala, lanciano pop corn in segno beneaugurante ed emettono quel grido gutturale e ritmato che crea un’atmosfera indefinibile.
    Vicino al sacrario una decina di ascari ritti sull’attenti ci saluta militarmente e risponde in perfetto italiano. Ricordano tutto e tutti. Sono Gheroncel, della 4ºcompagnia, 49º btg, 12º brigata.
    Ci comandava il capitano Dominici, morto in combattimento , dice con fierezza un anziano dalla faccia scavata dal sole e dal vento. Vorrebbe raccontarci mille storie, anche degli alpini che ha conosciuto, ma l’inizio della cerimonia interrompe la conversazione. Deposizione di corone, per gli Eritrei e per gli Italiani, suono del Silenzio, brevi parole di saluto delle autorità. Ritualità semplice e coinvolgente, pensieri in libertà alla ricerca di un senso della Storia, che alla fine si traduce sempre in storie di uomini.
    Siamo invitati sotto un enorme tendone costruito appositamente per la nostra visita, dove con incredibile celerità viene offerto kuskus, frutta e birra del posto. È una festa. Gli uomini seduti sulle lunghe panche intingono, nel grande recipiente comune su cui è stato versatoun grumo di carne e sugo di capretto, bocconi succulenti e le donne fuori, sotto il sole, cantano, danzano e lanciano gli ultimi grani di pop corn, circondate da nugoli di bambini eccitati dalla novità. Più di una bimba, di età non superiore ai quattro cinque anni, porta appeso alla schiena un fratellino e gioca disinvolta con le compagne, come se quel fagottino fosse un accessorio ininfluente per la sua gestualità.

     

     

     

    Sabato mattina, omaggio ai cimiteri eritreo e italiano di Asmara. Alla presenza delle più alte autorità civili e militari: il ministro della Difesa generale Sbaterfrem, l’ambasciatore italiano dottor Emanuele Pignatelli, l’addetto militare, il sindaco. La banda alpina e quella locale suonano insieme il silenzio, creando una sensazione unica.
    Lasciato, dopo la breve cerimonia, il settore riservato ai Caduti, ci spargiamo per l’ampio spazio riservato ai civili a leggere nomi familiari, storie lontane, sogni spenti.
    Nel pomeriggio ammassamento davanti alla cattedrale, fanfara in testa e sfilamento per il bel viale Indipendenza, fino a piazza Mesken. Due ali di folla attenta e silenziosa accompagnano lungo le vie della città i nove vessilli, la quindicina di gagliardetti, il centinaio di alpini e una ventina di ascari che avanzano inquadrati.
    Davanti ad una grandiosa tribuna tutti ascoltano l’esibizione della banda Val del Garda che si alterna con il coro Val di Sella (Trento). Bel concerto, bravi tutti, meritato successo, serata indimenticabile. Dopo tanti anni, sembrava che Eritrei ed Italiani avessero ritrovato, nel rispetto delle loro culture, tradizioni, identità, un denominatore comune nell’amicizia. In nessun Paese del continente africano è possibile vivere esperienze simili e trovare un’accoglienza paragonabile.
    La cena offerta dal Governo eritreo a tutti gli ospiti nel salone del municipio della città, presenti numerosi ministri, ambasciatori, in particolare quello russo, un gigante che dice di conoscere la storia dell’asilo di Rossosch, ufficiali superiori, suonatori e ballerini si è conclusa con un bellissimo discorso del responsabile della Difesa, che ha sottolineato i punti di convergenza tra i nostri Paesi. Ha auspicato che gli alpini portino in Italia le testimonianze di amicizia e la volontà di collaborazione che hanno avuto modo di cogliere viaggiando attraverso l’Eritrea, suggellando il tutto con un regalo all’A.N.A. di un grande quadro raffigurante le due bandiere nazionali, il copricapo degli Ascari e il cappello alpino.
    Il giorno seguente tutti, o quasi, a messa in cattedrale. Il celebrante, un cappuccino eritreo dal sorriso contagioso, nell’omelia ha sottolineato che la matrice culturale del suo paese è in certa misura riconducibile anche ai contributi italiani e auspicato un dialogo solidale tra i due popoli. In serata incontro con gli Asmarini nella Casa degli Italiani all’insegna dell’allegria, dei canti e dei ricordi.
    Keren. Una bella strada asfaltata s’insinua tra valli profonde, burroni, selve di cactus, rari esemplari di mango e qualche gigantesco baobab. Lo spettacolo è inedito per originalità, fascino, luminosità. Sfilano in continuazione villaggi, terrazzamenti, mandrie di capre, pecore, asini, dromedari e qualche ringhioso babbuino. Per non dimenticare la nostra civiltà, di tanto in tanto s’intravedono le carcasse di carri armati arrugginiti che puntano le inutili bocche da fuoco contro le gole che li hanno intrappolati.
    Quasi improvvisamente, all’incrocio di quattro vallate, compare la città di Keren dove, nei mesi di febbraio e marzo 1941, 40mila soldati italiani opposero una disperata resistenza all’azione di annientamento delle forze britanniche e indiane. Il Duca d’Aosta respinse qualsiasi proposta di resa e quando finirono le munizioni e le speranze di rifornimenti, si contarono sul campo 12mila morti e 20mila feriti. Lo stesso Churchill riconobbe, parlando ai Comuni, che la noce di Keren è dura da schiacciare .
    Quella battaglia, sembra che gli storici e la memoria collettiva l’abbiano rimossa. Eppure, per valore e sacrifici, non ci sembra meno importante di El Alamein o di Cefalonia. Tra quei magnifici soldati c’erano anche gli Alpini del battaglione Uork Amba chiamati dagli Inglesi stambecchi di montagna per la loro agilità nel muoversi sulle creste circostanti; e c’era anche il sottotenente di complemento del 10º Reggimento Granatieri di Savoia e medaglia d’Oro Bortolo Castellani. Cadde l’11 febbraio. Sessantadue anni dopo, il figlio Manlio, ora residente in Canada, alpino, era lì con la tromba a suonare il silenzio. Nessuno di noi ha osato chiedergli qualcosa. Vicino al sepolcreto, denominato Cimitero Militare Italiano degli Eroi , una donnetta minuta, con un bel viso sorridente, vuole parlarci.
    Si chiama Maria Vittoria Anrabam. Nacque durante i combattimenti e fu trovata abbandonata dai militari italiani che la accudirono per qualche settimana. È felice di vederci e l’espressione del suo volto e
    sprime una riconoscenza incondizionata. Dogali registra il primo massacro di un contingente italiano in Africa Orientale. La colonna di De Cristofori, assalita da ingenti forze abissine nel 1887, fu oggetto di un’autentica carneficina, con 435 soldati e 22 ufficiali morti. Li ricorda a Roma la piazza di Stazione Termini, intitolata, appunto, ai Cinquecento . Gli 87 sopravvissuti, compreso un solo ufficiale, devono la vita al fatto che, feriti, furono creduti morti. Oggi su quella collina si erge una colonna e lì il nostro ambasciatore, accompagnato dall’addetto militare, depose una grande corona, con gli onori di rito. Poco lontano, il cimitero italiano con oltre 1500 tombe e 435 ignoti quasi si affianca a quello eritreo detto degli Eroi , con pochi caduti, ma destinato a riempirsi quando saranno recuperate le salme delle ultime battaglie. Purtroppo l’Eritrea ha sopportato trent’anni di guerra per la sua indipendenza, raggiunta nel 1991 e altri tre a cavallo del secolo. Massawa, con le sue bellissime spiagge, la posizione felice su un’ansa del mare, le sue vie con i segni di tanta storia e tante civiltà che si sono sovrapposte, cancella in breve le malinconie delle guerre e apre al visitatore la speranza sul suo futuro.
    Prima o poi anche il turista per caso scoprirà le bellezze che si possono incontrare aprendo quella porta. L’ultimo giorno asmarino della comitiva comincia con l’alzabandiera nella residenza ufficiale dell’ambasciatore: Villa Roma. È un bell’edificio, non appariscente ma di buon gusto, che a mezzogiorno ci accoglie per una colazione all’insegna della cucina e soprattutto dei vini italiani. Fa gli onori di casa la Signora Pignatelli, discreta e gentile, che ci fa degustare il miglior caffè di Asmara. Partecipano anche autorità di governo e diplomatiche. È il momento per scambiarci qualche impressione e riflettere sulle prospettive future dell’Eritrea. Molti di noi hanno in tasca piccoli progetti, dai libri di lettura per gli istituti italiani, alla scuola da ampliare, all’ospedale da attrezzare, ma il problema è la crescita, in libertà e indipendenza, di un Paese che, dopo traversie storiche e ambientali sfavorevoli, guarda alla solidarietà dell’Italia come Stato amico. Noi Alpini ci sentiamo comunque vicini a questa gente che ricorda ed onora i nostri Caduti e ci guarda con simpatia.
    Siamo una forza morale, non una potenza economica, ma abbiamo l’abitudine di non dimenticare.

     

    Vittorio Brunello

     

     

     

     

    Gli onori ai Caduti ad Asmara.