Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    ASPETTANDO UNA QUASI NAJA

    L’articolo 52 della Costituzione italiana così recita: La difesa della patria è sacro dovere del cittadino . Ma al giorno d’oggi ha qualche significato per le nuove generazioni?Com’e noto, il servizio militare obbligatorio per il momento è stato sospeso, non abolito. Ma oggi sarebbe ancora attuale ed opportuno il servizio militare obbligatorio? Sembrerà una domanda retorica, invece bisognerebbe dare una risposta significativa al quesito proposto. I nostri giovani sembrano soffrire per la mancanza di ideali, di valori, di solidarietà e socialità che invece erano prerogative delle generazioni passate. Forse è il momento di offrire loro la possibilità di essere effettivamente utili alla Patria attraverso lo svolgimento di un servizio nazionale obbligatorio, magari su reclutamento regionale, al compimento della maggiore età. Non sarebbe la reintroduzione in forma capziosa del vecchio servizio militare, ma sarebbe un modo per riscoprire le nostre migliori qualità e tradizioni, prima di affrontare i problemi veri della vita: il lavoro e la famiglia. Il ripristino dunque della leva obbligatoria della durata variabile dai sei ai nove mesi, preferibilmente attuata su base territoriale, dopo una selezione dura e scrupolosa, dovrebbe essere un’opportunità da non perdere per i nostri giovani. Il vecchio servizio militare è stato un tassello molto importante per la formazione delle generazioni passate, perché non dovrebbe esserlo per le future?È un modo perché siano educate al concetto di avere sì dei diritti, ma anche e soprattutto dei doveri, mentre sembra che quest’ultimi siano del tutto trascurati.

    Ruggero Bellotti capogruppo di Torbole (Trento)

    ALPINO MANCATO, SOLO PER CASO

    Mi auguro che questa mia lettera sia letta da Stefano Camplani, in quanto vuole essere una riflessione in riferimento alla nota pubblicata su L’Alpino n. 8 del 2008 nella Zona Franca dal titolo Essere Alpini . Riguardo alle osservazioni relative alla Istituzione e alle regole di appartenenza fissate dai reduci 90 anni fa, con tutto il rispetto per la ratio che in quegli anni ha permesso la nascita dell’Associazione, vorrei esprimere anche il mio punto di vista. È vero che bisogna essere alpini, aggiungerei che bisognerebbe anche agire e sentirsi alpini e condividere quello che è lo spirito fondatore dei nostri veci, contemperando però anche le attuali esigenze, esperienze e vicissitudini, che hanno forgiato molti degli uomini che si sentono appartenere all’associazione. Sono un amico perché per essere alpino bisognava che un capitano al distretto militare valutasse in pochi minuti in quale caserma mandarmi, senza riguardo alla mia storia, alla mia ambizione e alle mie aspettative, al pari di tutti gli altri destinati che a fine naja hanno buttato il cappello ma che degnamente potrebbero sfilare e fare festa, ed essere. Ho raccolto in una bancarella alle pendici del monte Grappa, in uno dei tanti meravigliosi convivi che animano anche i luoghi più tristi in onore dei nostri nonni e padri, uno di quei cappelli, amareggiato del trattamento che gli aveva riservato quell’alpino a tutti gli effetti, deluso dal mio non essere e arrabbiato per non poter aver scelto io la fanteria d’arresto, nonostante condivida l’amore per la montagna e tutte le altre cose che ho appreso leggendo, frequentando e vivendo con gli alpini. No, non si nasce alpini, non lo decide un altro, non è una casta, bisogna diventarlo, prenderne consapevolezza con voglia e determinazione, non può essere la naja fatta a vent’anni con tutti i desideri e pensieri dell’età per la testa e magari vivendo a Rovigo senza una compagine familiare cosciente di esserlo (alpino) che ti culla nell’aspettativa di diventarlo, con le giuste raccomandazioni in tutti i sensi che però riescano a superare le valutazioni del distretto, a decidere che sei alpino. Porto da vent’anni, con il coro del CAI di Padova, le cante e le storie di guerra, davanti a quelle persone che devo evitare di guardare negli occhi lucidi, persi nei ricordi della sofferenza e della memoria, della perduta dignità umana, per non sentire il groppo alla gola che sale e che mi tronca la voce, solo al pensare alla millesima parte di quelle storie, raccontate e lette, ma mai abbastanza condivise. È vero, non sono un alpino e pur con tutti i miei buoni propositi, non mi sento di appartenere all’Associazione; per rispetto alle regole di 90 anni fa, perché la mia scuola ben più lunga dei dodici mesi è stata rappresentata dagli alpini conosciuti nel coro, per tutti due che sono già andati avanti , Bepi Chiampo ed Enzo Canali: mi danno motivo di stima e ammirazione. Ma, attesa la riforma del servizio di leva e il progressivo depauperamento delle Forze Alpine, quando le regole della vita faranno venir meno le regole dell’associazione, è giusto che questa si estingua con i fondamenti che l’hanno generata?Quale futuro lascerà?Un ricordo, quello delle lapidi, dei campi di battaglia e della gioventù stroncata, che già oggi purtroppo sbiadisce. Gli altri, quelli che non sono, non potranno ereditare la storia e il nome poco importa, se sentiranno di non avervi mai appartenuto: potranno associarsi agli amici della montagna ma è tutta un’altra cosa.

    Massimo Zanardi Cadoneghe (Padova)

    IN AUSTRALIA, CON NOSTALGIA

    Su L’Alpino di qualche mese fa ho rivisto con immenso piacere la foto della caserma di Pontebba, sede della 22ª batteria dove sono stato anch’io dall’aprile ’53 a maggio ’54. Ringrazio di avermi dato la possibilità di rivedere allo stato originale la mia caserma dopo 54 anni. Sono un artigliere, classe 1931, giunto alle armi nel gennaio del ’53 dopo il CAR a Belluno ed il corso R.T. a Tolmezzo e in seguito trasferito alla 22ª batteria, gruppo Belluno fino al congedo il 30 aprile del ’54. Della 22ª sono ancora vivi nel mio cuore tanti bei ricordi della mia lontana gioventù: il campo estivo, il periodo trascorso ai confini con l’ex Jugoslavia, il corso sciatori e il campo invernale. La 22ª era come una grande famiglia, tutti uniti. Ricordo il comandante, capitano Bonesi, i tenenti Vianello e Gregorati, i marescialli Boer e Bisicchia, il sergente Fantin e il sergente Parisotto che per punirci ci faceva fare i salti di rana. Quante risate di nascosto. Erano tutti bravi ufficiali e sottufficiali veri maestri di vita con i loro insegnamenti ci hanno trasformato da quello che eravamo in veri artiglieri da montagna, degni di servire la patria in quel glorioso Corpo, ed in veri uomini capaci di affrontare tutte le avversità della vita. Dopo il congedo sono emigrato in Australia, nelle zone rurali del North Queensland fra canne da zucchero e coltivazioni di tabacco e da oltre 35 anni sono socio di questa sezione alla quale dedico il mio tempo. Tengo vivo ed attivo il faro dell’alpinità in questo sperduto angolo del mondo, lontano dalla nostra amata Patria.

    Vittorio Pellizzer North Queensland Australia

    Pubblicato sul numero di gennaio 2009 de L’Alpino.