Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    TRICOLORE E CALENDARIO

    A giugno si sono svolti i campionati europei di calcio in Austria e Svizzera. Gli stadi erano completamente pieni e traboccavano dei colori delle rispettive nazionali. La nostra ha fatto la sua parte e quando giocava tutto lo stivale italiano si è sintonizzato sul canale televisivo. È stato anche altrettanto interessante vedere come la gente che riempiva i bar, i locali pubblici o le piazze con i maxi schermi si fosse dipinta la faccia o soltanto le guance di tricolore e le bandiere verdi, bianche e rosse fossero sbucate come funghi. Ogni partita è stata una festa e in tutte le città, guardando i balconi e le finestre, si sono visti appesi questi tricolori. Tutto molto bello e patriottico. Però non si è riuscito a capire perché tutto questo proliferare di bandiere e italianità accade soltanto in occasione di Mondiali o Europei di calcio (e non dimentichiamo però che ad agosto ci sono state le Olimpiadi a Pechino). Per scelta mia, in questo periodo di Europei calcistici non ho esposto alcuna bandiera (l’avrei fatto solo se avessimo vinto), non per mancanza di senso patriottico, ma perchè non ritengo che un torneo di calcio sia da paragonare alle vere occasioni, quelle più importanti, in cui bisogna esporre il tricolore alle finestre e cioè: 25 aprile, festa della Liberazione; 2 giugno, festa della Repubblica; 4 novembre, festa delle Forze Armate, date che rappresentano veramente la Nazione Italia. Infine, è mai possibile che il 25 aprile ed il 4 Novembre diventino ogni anno un acceso argomento di discussione politico, e che gli opposti schieramenti si contendano non si sa bene cosa e invece che essere tutti uniti sotto le bandiere tricolori ci si divide sempre sotto bandiere di partito?E con le bandiere anche certi discorsi?

    Dario Bignami gruppo alpini Lodi

    GRAZIE, ALPINI

    Ci sono presenze così silenziose che quasi non te ne accorgi. Associazioni, ma prima di tutto uomini, che ritrovi dappertutto al punto che ti sembra normale, di più NATURALE, che siano lì, in quel momento, in quell’occasione, in quella manifestazione. Così naturale da non farci quasi più caso. Poi, ad un tratto, li vedi. Con le loro facce belle, pulite, sobrie. Con quel modo di essere, di stare, di partecipare che è allo stesso tempo senso di appartenenza al proprio ideale e alla propria comunità. Con quel modo unico, come unico è il loro cappello, di essere soldati anche in tempo di pace, nelle battaglie quotidiane sul grande fronte della solidarietà. Di perseguire con rispetto e quel senso di responsabilità di cui spesso, in questo nostro disastrato Paese, si perdono le tracce. Di essere gente di fatica e di buon senso, pronti a stendere la loro mano per aiutare chi ne ha bisogno, chi soffre, chi è in difficoltà. È un modo di essere soldati, dicevo, ma prima di tutto uomini. E viaggio dopo viaggio, come responsabile di un assessorato così delicato come quello ai Servizi Sociali ho cominciato a vederli anch’io. Apprezzando, incontro dopo incontro, la straordinarietà di una presenza positiva e operativa. Ed il coraggio di chi, con il suo cappello con la penna sul comodino, combatte ogni minuto una battaglia silenziosa e fiera per la Sua di vita. Senza farlo pesare agli altri. Ecco, questi brevi pensieri li voglio dedicare proprio a loro, a quegli Alpini che, come sentinelle solitarie sulle cime di un’esistenza fattasi improvvisamente impervia, non mollano la propria posizione e sono pronti a contendere centimetro dopo centimetro al terribile nemico. Sono per Tiziano, un vicentino costretto alla sedia a rotelle. E sono per mio marito, costretto all’inattività da un male cattivo. Entrambhanno vissuto i giorni dell’adunata di Bassano del Grappa attraverso le immagini delle televisioni e i racconti degli amici, ma senza staccarsi un attimo dal loro prezioso cappello. Entrambi affrontano con dignità incredibile un dolore fisico, prima che umano e morale, lancinante. Ancor più irrispettoso di fronte a quella capacità di sapersi mantenere integri mentre tutto attorno e davanti a te diventa più incerto, aleatorio, sfumato. Loro non potranno più rispondere presente alle chiamate di aiuto e neppure alle adunate annuali, ciò nonostante l’esempio che trasmettono con la semplice testimonianza ne fanno un insegnamento ancor più importante. E confermano che certi valori sono insiti in questo Corpo perché nel Dna di ogni suo membro. E viceversa. Erano lì, come si dice in questi casi, con lo spirito, ma lo spirito della gente di montagna è qualcosa che diventa quasi materia, che va al di là della corrispondenza di amorosi sensi che lega ogni soldato ai suoi commilitoni, alla sua bandiera al suo Corpo. Io credo che gli alpini siano davvero la parte più bella e sana della nostra Terra. Ne sono ancor più convinta e non importa se sembra una affermazione più che retorica, quasi ruffiana. Da assessore ai servizi sociali ma anche da donna, moglie e amica, non smetterò mai di ringraziarli per quella grande fiammella di vita che riescono ad accendere ogni volta in persone come Tiziano o mio marito. Per quella lezione di civiltà che sa sconfiggere il buio, le tenebre, la Morte con il silenzioso eroismo della presenza. E con loro voglio ringraziare il sindaco Giampaolo Bizzotto e tutta la nostra bellissima Bassano del Grappa. Li ringrazio per il sorriso che hanno fatto accendere sui volti di ognuno di noi e di quelle persone che la Vita sta sorpassando. Il loro viaggio continuerà. Con noi e dentro di noi. Sia benedetta Bassano del Grappa. E siano benedetti gli Alpini.

    Maria Nives Stevan

    FIERO DI ESSERE AMICO DEGLI ALPINI

    Sono un ‘amico degli alpini’. E tanti alpini sono miei amici. Con loro lavoro, condividendo la passione per la storia, per le loro gesta, per le montagne, sacre montagne, dove hanno combattuto. A volte porto altre persone a percorrere gli alti sentieri della storia e cerco di trasmettere loro la passione per un Corpo militare che è qualcosa più di un’arma di guerra. Sono soldati che conservano e tramandano i valori propri della gente di montagna, volontà di lavorare, di sacrifìcio, di solidarietà per chi soffre, di aiuto a chi è in difficoltà. Ma anche rispetto per la natura, per la montagna, da affrontare sempre con preparazione e consci dei limiti umani. Essere amico degli alpini vuol dire anche tenere vivo il legame con la terra d’origine, ricordare da dove vengo, chi è la mia gente. Ho avuto parenti alpini e anch’io ho avuto la fortuna, se così si può dire, di ‘fare la naja’, di sapere cosa vuol dire guardie, ronde notturne, picchetti, marce. A volte entro in punta di piedi nei loro pensieri nascosti, so che in una grande famiglia si discute, si brontola, più spesso si costruisce, e poi si beve e si canta assieme. E, devo ammetterlo, mi spiace non poter sfilare alle Adunate, soprattutto quando vedo tra loro majorette, bande musicali variopinte, figuranti che alpini lo sono solo di riflesso. E fra loro sarebbe invece bello veder sfilare una rappresentanza degli ‘Amici degli alpini’, essere invitati alla grande festa, proprio come si usa fra amici. Ma so anche che non sono un alpino, e non voglio usurpare nessun titolo, nessun cappello. Per ora vado fiero della camicia con lo stemma della mia sezione.

    Paolo Volpato Roma

    Pubblicato sul numero di dicembre 2008 de L’Alpino.