Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    MONTAGNE E ASFALTO

    Vorrei riprende il problema sollevato da Pierangelo Nota di Bra (CN) sul numero di novembre de L’Alpino riguardo le vecchie strade militari. Se è vero che questa viabilità, non solo da oggi, ha reso fruibile la montagna, è altrettanto scorretto trasformare queste strade in vere e proprie autostrade. Porto come esempio la superstrada creata al monte Galbiga in provincia di Como: quella che era una pista sterrata che conduceva al rifugio ten. Cornelio Venini e ad alcuni alpeggi è stata asfaltata e cementificata. Ciò, a detta degli amministratori locali, per rendere più agevole l’accesso, quindi il lavoro, degli alpigiani. Il risultato ottenuto, manco a dirlo, non è quello di veder transitare dei trattori o al limite qualche jeep di allevatori ma di vedere parcheggiate a 1.576 metri, al rifugio Venini, nei fine settimana, centinaia di Suv per la gioia di trekkers, bikers e amanti della montagna. Faccio quindi l’invito a tutti i lettori e alla rivista di segnalare questi abusi, di sollecitare un censimento dei manufatti militari e di adoperarsi per una normativa specifica che tuteli la memoria ed al tempo stesso il territorio.

    Federico Zanotta San Fedele Intelvi (Como)

    LA LUNGA E TERRIBILE BATTAGLIA DL PLEVLJA

    Il 1º dicembre 2007 cadeva il 66º anniversario delta battaglia di Plevlja, piccola città della Jugoslavia. Nell’agosto 1941 erano qui dislocati: il comando divisione Pusteria, il battaglione Trento dell’11º Alpini con le compagnie 94 144 145, la 72ª compagnia battaglione Belluno del 7º alpini, la 24ª batteria del gruppo Lanzo, la 16ª batteria del gruppo Belluno, il 3º battaglione misto genio alpino. Il 1º dicembre, alle ore 2.20, il gruppo Montenegro (partigiani di Tito) forte di 3.690 combattenti, inquadrati in 9 battaglioni, attaccò il nostro presidio. La notte era fredda (40ºC sotto zero) e buia, nevischiava, la fucileria crepitava accompagnata dalle raffiche delle mitragliatrici. Si sentivano, vicini e lontani, gli scoppi delle bombe a mano, dei piccoli mortai brixia e dei mortai che eseguivano tiri di sbarramento. Il tutto era intercalato dalle grida di hurrà e zivio dei partigiani. Il combattimento era frazionato, ravvicinato; divampava nella città stessa dove una parte degli abitanti, che si era unita ai partigiani, attaccava carabinieri e portaordini. Il primo attacco avvenne al posto di sbarramento del ponte sul Ceotina. Da quel momento tutti i reparti entrarono in azione. I partigiani, forti del loro numero, si lanciarono all’assalto con decisione ed incuranti delle perdite. In qualche punto meno munito riuscirono ad infiltrarsi fino in città dove in seguito attaccarono anche il comando divisione. Molto è stato detto e scritto su questo combattimento, mai comunque abbastanza. In quella tremenda notte ogni uomo si è comportato da eroe ed innumerevoli sono gli episodi di valore che si potrebbero raccontare. La battaglia è durata 16 ore con la ritirata del nemico.

    Mario Cerati Legnano (MI)

    VIVA GLI ALPINI

    Cosa può succedere durante la raccolta del banco alimentare. Ventiquattro novembre, giornata del banco alimentare. Atrio di un supermercato. Uomini e donne del banco con gli alpini a promuovere la raccolta e a ritirare l’aiuto. Gente che entra e che esce. I più dicono sì e, sacchetto in mano, spariscono tra gli scaffali. Qualcuno ti passa davanti senza guardarti, qualche altro bofonchia. Tra le folate di gente, qualche sosta. E all’improvviso eccoti davanti due ragazzi, meno di vent’anni. Quattro occhi che mi squadrano tra lo stupito ed il perplesso, nessun commento, però sacchetti in mano e via anche loro. Gente che va e che viene. I due ragazzi, ormai dimenticati, eccoli all’uscita. Porgono un sacchetto, negli occhi un misto di timidezza e cameratismo. Poi, mentre la porta si chiude alle loro spalle, una voce squillante (come simile alla mia da recluta!): Viva gli alpini . In gola un groppo e mi sembra che tutti gli alpini andati avanti, in quel momento, siano lì con me, a spartirsi quel Viva gli alpini .

    Piergiorgio Serpini Vedano Olona (VA)

    IN RISPOSTA ALL’ANONIMO FIGLIO DI UN ALPINO

    Caro anonimo ‘figlio di un alpino’, ho letto con interesse la tua lettera su ‘L’Alpino’ di novembre 2007, dal titolo Contrario, ma anonimo in cui parli di antipatia nei confronti dell’ANA per la posizione presa sull’abolizione della leva, e voglio risponderti. Mi presento, mi chiamo Dario, ho quasi 34 anni e ho svolto il servizio di leva nel 1993 1994 tra Merano, Boves e Pinerolo (agli ordini dell’attuale comandante delle Truppe alpine generale Armando Novelli). II giorno del mio 19º compleanno ho compiuto anche il primo mese di naja. Alla fine di quell’anno ero dispiaciuto di avere lasciato tanti amici ma ero contento perché, nonostante tu dica che il servizio di leva è ‘un sequestro di persona legalizzato’, mi sono divertito molto nonostante dovessi sottostare a regolamenti e ordini. Si potrebbe dire che io soffra della ‘Sindrome di Stoccolma’, secondo cui il sequestrato è attratto dal proprio sequestratore. Non è vero. Una volta congedato mi sono iscritto subito al gruppo alpini della mia città, di cui sono oggi consigliere e alfiere. Partecipo alle manifestazioni dei vari gruppi e delle sezioni e, ovviamente, alle Adunate nazionali. Il servizio militare è servito per farmi crescere come persona e a farmi capire quali sono i veri valori morali della vita. Non è che, siccome ho svolto la naja, io sia allora un militarista convinto. Anzi. E se tu oggi vivi in un Paese libero lo devi a quei ragazzi, poco più che ventenni, che diedero la loro vita, ragazzi che sicuramente non avevano nessuna voglia di fare due guerre mondiali, ma che con alto senso del dovere (e qui sta la moralità) hanno obbedito agli ordini. Questa è una cosa che sicuramente anche tuo padre, alpino, ti avrà detto, e dovresti ringraziarli con una preghiera. Cosa che io faccio a ogni manifestazione alpina. In tutti questi anni con la penna nera non mi sono mai sentito un sequestrato, e men che meno mi sono sentito tale nell’anno di naja. Io, come tanti altri alpini, cerco di portare avanti gli insegnamenti e i valori morali di chi mi ha preceduto. Per me portare il cappello alpino è un onore, un dovere, un piacere e una gioia, così come lo è per tuo padre. Non accusare ingiustamente l’ANA per la posizione presa. Lo ha fatto perché è composta da persone coerenti, che credono in ciò che fanno e fanno ciò in cui credono. Guardati intorno. I valori morali al giorno d’oggi stanno sempre più scadendo e tra i pochi che stanno tentando di difendere quelli veri in tutte le maniere possibili ci siamo noi alpini, che siamo proprio partiti dal principio del fare il nostro dovere con il servizio di leva obbligatorio.

    Dario Bignami Gruppo alpini Lodi