Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    COME SAREBBE BELLO, SE

    È l’alba di un sabato in cui potrei starmene a letto, invece sono qua alla finestra che aspetto il sole sorgere tra i meravigliosi colori dell’autunno. La giornata promette molto bene; guardo il mio paese un po’ più in basso: Campotamaso, a 500 metri di altitudine, con la sua chiesa, la canonica, ora vuota perché l’attuale parroco ha due comunità da accudire e abita in quella più grande la Casa della Dottrina Cristiana dove andavo al catechismo, le scuole elementari dove adesso c’è la sede del mio gruppo. Con gli alpini ci troviamo tutti i giovedì sera, a volte per decidere cosa realizzare, chi aiutare, per fare i conti di come è andata, a volte solo per chiacchierare del più e del meno. In queste riunioni, capita, spesso, che gli animi si agitino a tal punto da mandare a quel paese qualcuno solo per il fatto che non ci si capisce esprimendo quasi sempre la stessa idea. Si discute animatamente anche per i 10 pezzi di pane in più o in meno da prendere per i panini della festa del giorno dopo. Poi però, passata la bufera, sembra che niente sia successo. Partecipo ormai da nove anni agli incontri con i presidenti sezionali e consiglieri nazionali e l’atmosfera che si respira oggi nelle prestigiose sale ben organizzate con le autorità locali, è pesante e distaccata. Mi capita di dover scegliere tra due città candidate all’adunata nazionale facenti parte del mio raggruppamento; sono costretto a decidere dove fare il prossimo raduno del Triveneto, sentenzio dove sarà il prossimo incontro dei presidenti. Mio malgrado, la mia decisione rende felice, o infelice, un presidente che con grande entusiasmo e passione vuole che una tale manifestazione venga fatta nella sua città, nella sua sezione, nel suo gruppo. Poi mi rammarico per le ire dell’alpino presidente sconfitto che impreca all’ingiustizia e al tradimento di altri alpini. Com’è bello il mio paesello di 400 anime perso nella valle dell’Agno tra i colori dell’autunno! Sono colori bellissimi, scale cromatiche di giallo, di rosso, di verde e marrone che ricoprono la valle, i ruscelli, le strade e i prati. In lontananza vedo un cacciatore che aspetta la sua preda. Tra noi alpini, chi sarà mai il cacciatore e chi la preda?Cacciatore sarà colui che ha vinto la lotteria dei voti e la preda quell’alpino che dopo avere provato di candidare la propria città è stato sconfitto?Come sarebbe bello se si arrivasse a queste riunioni con la decisione già presa, dopo una discussione tra i candidati stessi. Come sarebbe bello se la candidata fosse una sola, meritevole della motivazione che le permette di essere la prescelta. Come sarebbe bello se gli elettori fossero coesi e decisi, umilmente e unanimemente. Ma questo, come diceva un mio grande maestro di vita alpina, succede solo tra alpini.

    Luigi Cailotto

    VAGLI SOPRA E LA CUNEENSE

    Reduce della campagna di Russia e in visita al mio paese di nascita, Vagli Sotto (Lucca), nel cuore della Garfagnana già tradizionale distretto di reclutamento alpino per la divisione Cuneense, ho trovato, finalmente edificato in frazione Vagli Sopra, un monumento in memoria dei tanti alpini nati nella nostra valle e in quelle confinanti di Lunigiana e Versilia. Fra quei Caduti, insieme con tanti compaesani e commilitoni, anche mio fratello Giuseppe. La commozione che ho provato davanti a quel monumento si è subito velata di amarezza e di delusione. Fra i cippi realizzati ai piedi dell’opera con il nome e i simboli delle divisioni alpine, manca quello della divisione Cuneense, cioè quella cui appartenevano quasi tutti i Caduti ai quali il monumento è dedicato. Un errore, frutto della scarsa conoscenza della nostra storia militare di quei giorni tristi?Una omissione figlia di superficialità? Chiedendo in paese le ragioni di questa che mi pare una mostruosità, fra i tanti che mostravano di cadere dalle nuvole, qualcuno mi ha detto che siccome la Cuneense non figura più nell’organico delle nostre Forze Armate, è stato ritenuto giusto non nominarla e non ricordarla insieme ai suoi morti e ai suoi eroi. Non trovo parole da aggiungere a commento. Ho fiducia però che una autorevole puntualizzazione da parte della nostra Associazione, possa porre rimedio a questa situazione che altrimenti perpetuerebbe una ingiustizia storica imperdonabile.

    Cesare Bertelli Pontedera (Pisa)

    IL SACRARIO AL PASSO DEL TONALE

    Alcune domande sul sacrario del passo del Tonale: perché il complesso ha sempre l’aspetto abbandonato e perché d’inverno la neve viene ammassata proprio al suo ingresso?Perché l’interno del sacrario è in genere sporco e mal tenuto?Perché anche l’area esterna è sempre sporca e piena di lattine, bottiglie e cartacce?Perché tutti possono sedersi indisturbati semi nudi proprio sui gradini del sacrario, allegramente mangiando e bevendo, senza remore, senza soggezione e senza limitazioni?Perché sono consentiti atteggiamenti così disinvolti e pare che proprio nessuno sia incaricato del controllo e del rispetto dovuto a questo monumento e al ricordo di tanti eroismi e tante morti?Perché intorno a questo luogo sacro sostano perennemente le bancarelle dei venditori di ogni cosa, oltre a quelle del mercato settimanale: perché quindi, non esiste una normale tutela del luogo, resa possibile da una adeguatta quanto opportuna area di rispetto che nulla toglierebbe alle altre attivtà visti i circostanti enormi piazzali disponibili? Perché gli alpini della vicina caserma Tonolini non sono mai presenti sul luogo?Perche’ non sventola nessuna bandiera?

    Fabio Falco Bergamo

    MULI E AFFINI

    In risposta all’alpino che ha scritto a proposito di Muli e affini , vorrei estendere il concetto anche agli alpini e quindi rivolgere alcune domande. Seguendo il concetto dell’amico, anche per gli alpini dovrebbe valere la stessa regola che, peraltro, ho sentito più volte esporre durante i raduni: Finiti gli alpini della naja di leva, finito tutto . Speriamo che non sia così, invece speriamo che i congedati alpini professionisti nonché gli Amici degli alpini tengano sempre in piedi la nostra Associazione anche quando noi saremo da papà Cantore, in modo che i grandi valori che hanno sempre animato il Corpo e l’ANA, non tramontino mai. L’osservazione che mi sono sentito muovere spesso dagli scettici riguardava soprattutto il luogo di nascita degli alpini professionisti, che di solito, sono meridionali. Sono fermamente convinto che l’alpino non lo crea solo il luogo di nascita ma la montagna (in tempo di pace: viverci a stretto contatto, fare due mesi di campi estivi mobili con ascensioni ai quattromila e manovre a fuoco in alta quota, campi invernali di durata di circa un mese sempre sugli sci o sulle racchette in terreni montuosi, ecc.). Senza contare che la leva è stata solamente sospesa e già si parla di ripristinarla almeno in parte. Anche negli anni Cinquanta e Sessanta molti alpini provenivano dalle città o dalle pianure e la montagna non l’avevano mai vista, mentre occorre ricordare che l’arruolamento valligiano è finito con la seconda guerra mondiale. Quindi chiedo: è meglio ricordare i muli con una struggente nostalgia o allevarne un piccolo numero a ricordo ma, se serve, anche impiegabili per la Protezione civile?Io opterei per la seconda ipotesi ed auspico che qualche alpino di buona volontà vada presso il gruppo di Cappella Maggiore, della sezione di Vittorio Veneto, a fare ogni tanto una piccola vacanza
    per imparare che il governo dei muli non è poi così difficile e che questi nostri amici (quanti alpini sono tornati a casa grazie a loro) si possono utilizzare non solo per arricchire le nostre feste ma anche per aiutare la Protezione civile.

    Luciano Bridi Alpino e capitano