Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Quell’oro di Garmisch

    Leggo su L’Alpino di ottobre, nelle lettere al direttore, quanto scrive Benito Mazzi circa l’Oro alle Olimpiadi di Garmisch 1936. Fu vero oro?Si, è una vera medaglia d’Oro olimpica: ne ho la testimonianza diretta. Sono un artigliere alpino classe 1915, recluta presso la 6ª btr. del gruppo Aosta comandata dal tenente Corrado San Giorgio, poi comandante, negli anni sessanta, dell’Arma dei carabinieri. A fine campo estivo, nel 1936, fui inviato a Roma presso l’Ispettorato delle Truppe alpine per mansioni di ufficio. Ne era direttore il gen. Canale, con il col. Girotti, poi comandante della Julia in Grecia e il ten. col. Molinari, poi capo di Stato Maggiore della Julia in Russia, dove morì. Vi era, tra altri ufficiali inferiori, il capitano Silvestri, capo del quartetto che vinse a Garmisch il titolo per pattuglie militari grazie anche alla gara di tiro a segno con zero penalità. Come faccio a essere certo che si trattava di un titolo pienamente meritato?Perché il resoconto ufficiale dello svolgimento della gara fu da me battuto a macchina sotto dettatura del capitano Silvestri. Dopo settant’anni ho ancora ben presente la figura del capitano, con due occhi che ti bucavano tanto erano vivaci che si riempivano di lacrime ogni volta che parlava della sua Olimpiade.

    Umberto Cardini Genova

    Rifugi chiusi

    Spesso si parla dell’alpino, della sua naia, del suo cappello e della sua penna. Ora che la leva obbligatoria è stata abolita è quasi necessario riflettere su questa figura. L’alpino nasce, e non potrebbe essere altrimenti, in montagna e per la montagna. È la passione e l’amore per il piacere dell’andare per sentieri che muovono l’uomo ad essere un alpino. Questo è ciò che è successo a tanti come me, anni fa, e che accade ogni giorno a nuove persone. Le mete delle escursioni però nascondono spesso dei disincentivi a questa passione. La meta è di fatto il rifugio e, anche quando non lo è, riveste sempre un ruolo centrale. È infatti un luogo dove si possono trovare facilmente accoglienza, ristoro, buoni consigli e suggerimenti sui percorsi. Il problema però è che, ormai troppo spesso, capita che i rifugi siano chiusi, senza alcun preavviso o indicazione. Quando al termine della via ci si trova di fronte a una porta serrata ci si sente traditi. Ho l’impressione che i rifugi non funzionino nel modo adeguato, se fossero davvero gestiti bene, da gente attenta e ligia, basterebbero poche migliorie per venire incontro alle nostre modeste esigenze. Basterebbe, ad esempio, un cartello all’inizio del sentiero che ne segnalasse l’apertura. Curare questi posti è quindi un segno di rispetto e di incentivo verso l’alpino col cappello e anche verso quello che, senza cappello, lo è nell’animo.

    Federico Manzini

    Un’occasione mancata

    Hanno fatto scalpore e hanno sollevato un polverone da non credere le dichiarazioni di papa Ratzinger, fatte presso l’università di Ratisbona, durante il suo ultimo viaggio in Germania. Dico subito che si è trattato di un’opportunità mancata. Prima di tutto per il mondo dell’informazione. Quello che è accaduto nel mondo islamico, con manifestazioni violente di protesta, attentati ad alcune chiese, fino all’assassinio di suor Leonella in Somalia, pesa anche sulla coscienza dei cattivi informatori. Valga per tutti l’aggressione morale al Papa da parte del New York Times, che lo ha accusato di attaccare l’islam , trasformandosi così da giornale liberal ad avvocato difensore di Al Jazeera e di tutti i suoi accoliti Questo è un momento storico nel quale è necessario assumersi una precisa responsabilità. La guerra non si fa soltanto in Iraq o nel Libano. Nel tempo della globalizzazione, una cattiva informazione o un’informazione emotiva e scandalistica possono avere ricadute drammatiche nel disegnare gli equilibri internazionali. Sarebbe un errore madornale credere che le notizie riguardanti le grandi religioni siano marginali rispetto allo scenario politico. Lo scontro di civiltà, che nessuno vuole e che molti temono, potrebbe scatenarsi proprio a partire da una cattiva informazione in ambito religioso. Ma cosa aveva detto il Papa di così grave, da scatenare la reazione rabbiosa di tanti musulmani?Parlando della guerra santa, la famosa Jihad, le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, aveva citato un imperatore bizantino del Trecento, Manuele il Paleologo, riportandone le parole: La violenza è in contrasto con la natura di Dio e quella dell’anima. Dio non si compiace del sangue e non agire secondo ragione è andare contro la natura di Dio. Chi vuol condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlar bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia. Per convincere un’anima religiosa non è necessario disporre di strumenti per colpire, né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare un altro di morte . Cari lettori, a questo punto faccio una domanda; chi può non trovarsi d’accordo con queste affermazioni? Partendo da questa convinzione, penso che anche il mondo musulmano abbia perso una grande occasione. Sarebbe stata una singolare opportunità per isolare l’integralismo fondamentalista. I Paesi islamici moderati dovevano levarsi uniti e concordi nel sottoscrivere le parole del Papa. Dire con grande determinazione: noi siamo contro la violenza, siamo per il riconoscimento delle libertà individuali e dei diritti universali dell’uomo. Diciamo al mondo intero che anche noi vogliamo misurarci con la modernità, presentando un Corano tollerante e al servizio dell’uomo. Non vogliamo più che ci scambino con i tagliagola, con quelli che vanno a fare gli agguati agli innocenti e che dicano che i musulmani mandano la gente a far morire gli altri, mentre i cristiani, per gli altri, danno la vita fino a morire. Vogliamo che tra islam e cristianesimo ci sia dialogo e rispetto, fondato sulla possibilità di autocritica e di fraterrnità condivisa. Questo poteva dire il mondo islamico e sarebbe stata una stagione di primavera per l’umanità. Purtroppo l’integralismo più intollerante, ha messo paura anche ai governi moderati dei Paesi dove è presente, lasciando intendere che la violenza ha un linguaggio più forte della ragione. Esattamente quello che condannava il Papa. Che piaccia o non piaccia.

    Bruno Fasani (da Il Montebaldo, giornale della Sezione di Verona)