La Granda, molto di pi d'una semplice provincia

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    Articoli aspettando l’adunata.

    La chiamano la Granda , ma non si tratta solo dell’estensione geografica. La grandezza di Cuneo è qualcosa che si può avvertire facendo due parole in piazza Galimberti con la commessa del banco formaggi in un martedì di mercato, che si respira salendo di buon mattino ai duemila metri del santuario più alto d’Europa a Sant’Anna di Vinadio, che si gusta all’ombra fresca di un salice mangiando una fetta di salame nel cuore di un pomeriggio estivo sotto il porticato d’un cascinale di campagna, che si vede d’autunno camminando in silenzio fra i filari ora morbidi ora scoscesi delle colline della Langa e del Roero.

    Per non dire della storia: dai sette assedi a cui ha resistito il capoluogo nei suoi otto secoli di vita, alla presenza costante e rassicurante dei Savoia nella piana su cui troneggia il Castello di Racconigi o nella valle fresca e lussureggiante delle Terme Reali di Valdieri. E poi c’è il cuore, alla cui grandezza i cuneesi non hanno mai posto dei limiti: i 5 alpini della Taurinense che hanno lasciato la loro vita a Kabul sono solo l’ultima goccia del sangue che hanno iniziato a versare i più di 6000 soldati della Divisione Cuneense che non sono più tornati dalla Russia nel secondo conflitto mondiale.

    Un’adunata si fa anche, soprattutto, per questo. Per non dimenticare. Ma come è più difficile raggiungere una cosa quanto più questa è preziosa, anche arrivare a Cuneo non è poi così facile. Bisogna guadagnarselo. Non c’è un’autostrada (per ora), la ferrovia ci arriva come ad un capolinea, l’aeroporto di Levaldigi è un aereo che non decolla mai, mentre sui confini della Granda vigilano per buona parte alte e invalicabili le cime delle Alpi, dal Monviso al Mongioie, e dove non ci sono le montagne un tappeto di colline quelle di Fenoglio e Pavese rende a chiunque tortuosa la via, obbligando ad andare piano e a godersi il paesaggio. A dire il vero una scappatoia ci sarebbe, verso nord, ma si sa, in pianura arriva già l’ombra lunga della Mole.

    Non per nulla la Granda è anche la provincia senza metropoli. Cuneo, Alba, Bra, Fossano, Mondovì, Saluzzo e Savigliano sono le sette sorelle di una terra che non vanta grandi centri urbani e che distribuisce i suoi 600 mila abitanti in 250 comuni e 5 diocesi. Una provincia a misura d’uomo, dove quando si esce per strada non si corre mai il rischio di non incontrare qualche faccia nota sotto i portici, dal panettiere, al bar o al cinema, anche quando si è al di fuori del proprio quartiere.

    È la filosofia del bògianen (in dialetto piemontese, colui che non si muove ), che porta il cuneese a lamentarsi di continuo ora del suo isolamento, ora della neve che quest’anno è arrivata troppo presto, ora di un’estate che ci manca poco secchi anche le sorgenti del Po (che naturalmente nasce da queste montagne, sotto lo sguardo imperioso del Re di Pietra) e, nello stesso tempo, lo rende orgoglioso e geloso di un’intimità con la vita, con il mondo, con la natura, che non invidia a nessuno.

    D’altronde basta un’ora di macchina per bagnarsi i piedi nella riviera ligure, mentre aggiungendo un’altra mezz’ora di tornanti nella valle della Roja ci si può mettere il costume per tuffarsi nel turchese della costa Azzurra. Ma il cuneese, al mare, ci va solo perché sa di poter tornare a casa in giornata, magari sopportando di buon grado qualche ora di coda sulla Torino Savona, ma con la sicurezza di poter dare uno sguardo alle stelle sopra le cime delle Alpi prima di chiudere gli occhi. Ma queste sono cose che capitano solo in provincia.

    Fabrizio Pepino