Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Sri Lanka: ritorno da Kinniya dopo lo Tsunami

    I numeri grandi fanno notizia, quelli piccoli sono quelli che (si) contano. II medico dagli occhi tristi ci accompagna a vedere quel che resta dell'ospedale: trentadue sono i pazienti morti e sei tra medici ed infermieri, suoi colleghi. Lui c'era quel giorno. Quando ha percepito il pericolo ha inforcato la moto ed è scappato verso l'entroterra. Nella scuola accanto sono invece morti 44 bambini, in quella casa altri 4, … lunga teoria di piccoli numeri, quelli che non si rimarginano facilmente. I grandi fanno notizia, ma sono anonimi, chi si ricorda ora dei 300.000 morti? Oggi l'ospedale sotto le tende è vivo, pieno di gente che affolla in confuso ordine la veranda di ingresso. Angeli con la penna nera osservano che tutto si svolga nell'ordine, pronti ad intervenire per un qualsiasi aiuto, foss'anche un bicchier d'acqua. Poi i medici, e le infermiere, nei cui occhi si riflette l'azzurro del cielo. La violenza della natura si é accanita su una povertà che ha ridotto a miseria. Ma non ferma chi ha già da tempo inaridito l'animo e può ancora gettare bombe contro la popolazione inerme (i guerriglieri Tamil n.d.r.). In tre giorni sei granate hanno prosciugato a qualcuno le poche lacrime non ancora piante. È strano, in questo paese, ad ogni angolo, si può trovare un altare davanti al quale pregare il proprio dio: una stupa buddista, un tempio induista, una moschea o una piccola edicola cattolica. Chissà quali preghiere vengono proferite davanti a questi altari, se di pace o di intolleranza. L'unico che sembra capire, dalla sua posizione privilegiata dall'alto della croce, è quel Cristo che ci ricorda che un giorno anche Lui ebbe a soccombere al male.

    Renato Corrado

    Brava, Michela

    Amici pellegrini della ‘Marcia della memoria dal Don a Nikolajewka’ dell'agosto 2003 vi ricordate di Michela Guarise?La bella ragazza di Rossano Veneto (VI), che ha voluto venire a conoscere personalmente i luoghi dove suo nonno, alpino, ha combattuto e sofferto e che le raccontava quando lei era bambina? Ebbene, Michela si è arruolata volontaria nell'Esercito e, dopo il periodo di addestramento iniziale, ha chiesto ed ottenuto di essere trasferita alla Scuola Militare Alpina di Aosta. Ed è entusiasta. È entusiasta del suo cappello alpino che ora può portare con pieno diritto. Mi ha confessato che siamo stati noi, come lei pellegrini in Russia, a farle amare ancora di più gli alpini e ad invogliarla a fare questa sua scelta di vita, lasciando la sua attività civile ed anche la sua passione sportiva quale arbitro di calcio. Credete che si possa definire ‘alpinità’ la scelta di Michela?Penso che non ci possano essere dubbi. Credo che dobbiamo essere orgogliosi di aver contribuito ad una tale scelta. Brava, bravissima, Michela! Con i nostri complimenti hai ancora di più il nostro grande affetto.

    Claudio Tubini Castel d’Azzano (Verona)

    Ma quei trabiccoli, proprio…

    Oggigiorno una più relativamente diffusa disponibilità economica, la facilità e celerità di spostamenti hanno spalancato le porte dell’annuale Adunata Nazionale a tanti; ad Alpini e non, ai portatori di alti valori ed ai collezionisti di medaglie commemorative. Ma non basta un cappello alpino (più o meno guadagnato) per poter affermare di essere degno protagonista del più importante appuntamento annuale della nostra associazione. Non tutti sanno affidarsi alla propria sensibilità e dignità di alpino (e, perché no, di amico degli alpini) per mostrare, a chi ci osserva, quale sia il reale significato della nostra presenza in quel giorno, in quella città. Molti, troppi, esibendo il cappello alpino in testa nel ridicolo tentativo di mascheramento con gli alpini autentici, vanno per la città di turno millantando falso credito. Molti, troppi (con l’aggravante di un rilevante numero di alpini fra di loro) infestano le vie cittadine scorrazzando a bordo di demenziali mezzi che solitamente recano a traino un rimorchio stracarico di individui. Perché tutto questo viene tollerato?E non mi si venga a dire che non è possibile fare altrimenti, perché sarebbe come dire che non è possibile eliminare la violenza dagli stadi calcistici. Molto più realisticamente …non lo si vuole. Dopo 41 Adunate nazionali mi verrebbe voglia di dire: Basta, non ci vado più! Ma ecco che, come d’incanto, arriva la domenica, ecco la grande sfilata aperta dalla fanfara militare, i reparti alpini con le gloriose bandiere, il Labaro con le tante medaglie d’Oro, ecco infine avanzare la straripante maggioranza silenziosa . Ordinata ed orgogliosa della propria identità, mostra chi veramente siano e cosa rappresentino gli alpini e coloro che meritatamente ne stanno al fianco (senza cappello alpino) condividendone l’impegno oggi com’è stato ieri e come sarà domani. Così eccomi qui ansioso dell’arrivo del maggio 2006 con la 79ª Adunata nazionale. Però, quei trabiccoli proprio…

    Gigi Ceva Valenza (Alessandria)

    Da padre a figlio

    Stazione di Parma, domenica sera: dopo la sfilata gli alpini affollano le sale e i marciapiedi della stazione, in attesa di rientrare alle rispettive residenze. Osservo il via vai, ascolto la chiassosa, ma non scomposta, allegria. E, quasi come un richiamo, mi torna alla mente un altro momento, in un’altra stazione. Brescia 1960: nel tardo pomeriggio di un giorno di novembre, attendevo un treno: dovevo raggiungere Verona per iniziare il mio servizio militare come alpino. Era con me mio padre, niente amici, o altri, solo mio padre. Ricordo il nostro parlare pacato, quasi lento; ma c’era qualcosa di diverso dalle conversazioni precedenti. Mio padre combattente della Grande Guerra non versava su di me raccomandazioni o istruzioni per l’uso ; sembrava che stesse passando le consegne serenamente, con convinzione; sentivo che voleva farmi capire con gli occhi l’importanza di quel momento. Ci salutammo e salii sul treno, dal finestrino lo seguii con lo sguardo fin che la distanza ci fece perdere di vista. Ho ripensato tante volte a quel saluto; mi sono spesso rimproverato di non aver manifestato calorosamente il mio grazie per quel gesto, per la sua presenza in quel momento, importante per me, importante per lui. Mio padre, alpino del Pasubio con il Monte Berico , alpino tutto d’un pezzo, mi passava il testimone orgogliosamente. Ho pensato a mio padre tutto il breve tempo del viaggio. Quando, a Montorio, ho varcato il cancello della caserma, ho percepito qualcosa di familiare . Poi la naja è naja!

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