Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    MIA FIGLIA ALPINA IN AFGHANISTAN

    Sono la mamma di una ragazza che si trova in Afghanistan, a compiere il suo dovere di militare nel Corpo degli Alpini. In questi mesi di lontananza di mia figlia ho avuto la possibilità di capire esattamente il vero compito che hanno questi nostri ragazzi in quelle terre d’inferno. Sto molto male quando sento alcune persone che non interpretano correttamente i loro compiti molto difficili o addirittura esaltano il denaro che forse possono portare a casa, pensando che il loro valore più importante è la pelle. Anche un pastore ha messo in discussione la loro “missione di pace”. Premetto che io sono cristiana praticante e come me anche tutta la mia famiglia, ma non posso in alcun modo perdonare a un presule una così grave mancanza di sensibilità verso i suoi fedeli. Ma cosa sta succedendo? Stiamo toccando veramente il fondo. Ho portato mia figlia per nove mesi nel mio grembo, poi l’ho seguita passo passo mentre cresceva e, diventata donna, pienamente cosciente di quanto sta facendo, si è arruolata nel Corpo degli Alpini, pur avendo un lavoro sicuro e tranquillo vicino a casa. Al momento io mi ritengo una madre fortunata: mia figlia rientrerà da Baqwa fra pochi giorni. Altre madri, purtroppo, non potranno mai più provare questa gioia, bensì tanto, tanto dolore. Sono talmente entusiasta che mi sembra di dover partorire un’altra volta mia figlia, sebbene lei continui a dirmi: “Mamma, sì, sto rientrando dalla mia missione, ma finché i miei piedi non toccheranno terra in un aeroporto in Italia, non posso sentire di averla interamente compiuta”. Missione che non è assolutamente di guerra. Sono orgogliosa perché tutti quei meravigliosi ragazzi sono partiti con uno scopo ben diverso dalla guerra e hanno portato le armi solo per difendersi, ma non allo scopo di attaccare e uccidere. Risultati: zone un tempo infestate dagli insorti oggi pacificate e ripopolate di vita, decine di progetti di sviluppo realizzati in zone remote della regione, migliaia di poliziotti e soldati afgani addestrati, centinaia di ordigni disinnescati dal genio ovvero centinaia di vite salvate.

    Milena Dall’Olio – Pianezze (VI)

    17 MARZO: UNITI, PER…

    Il 17 marzo festa nazionale, per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia deve essere un momento bello, d’entusiasmo, di grande orgoglio, di essere italiani, di appartenenza ad una comunità unita e ad un’Italia meravigliosa. Dobbiamo essere uniti nel riconoscere gli immensi sacrifici, ed il grande lavoro che hanno fatto tanti personaggi della politica, della cultura e tanti cittadini comuni, nel portare avanti grandi ideali, nel percorso della storia, per costruire il valore, la cultura, sociale, civile, umana dell’unità d’Italia, del territorio e degli italiani. Noi tutti insieme dobbiamo continuare questo percorso, portando dentro ognuno di noi, il grande valore dell’Unità d’Italia, di stare uniti, di stare bene insieme. Dobbiamo essere uniti nel difendere, migliorare, la nostra bella costituzione, che è un patrimonio di ottimi principi e di contenuti civili positivi. Uniti nel difendere, migliorare, il nostro servizio sanitario nazionale, i suoi principi universalistici, di uguaglianza di trattamento, e di solidarietà. Uniti nel difendere, migliorare la scuola pubblica, la cultura, la formazione, il sapere, la ricerca, una scuola che deve essere di tutti e per tutti. Uniti nel risolvere i tanti problemi che hanno i nostri giovani, precariato, incertezza, insicurezza, mancanza di lavoro, il 30 per cento di loro sono disoccupati. È estremamente urgente dare delle risposte ai loro problemi, ai loro bisogni, creare velocemente posti di lavoro per dare speranza al loro futuro. Uniti nel rispettare e difendere l’ambiente, il territorio dalle speculazione edilizia e dagli inquinamenti. Uniti nel fare di più per aiutare i cittadini più deboli, anziani, bambini, diversamente abili, fare pressione sul Governo, perché sposti di più l’impegno, l’attenzione ai loro bisogni, per costruire una rete di servizi socio assistenziali su tutto il territorio italiano. Lor signori sarebbe meglio se pensassero un po’ meno ai loro interessi personali e al potere. Uniti nel difendere l’acqua, perché resti un bene pubblico, sia di ottima qualità e ad un costo accessibile a tutti i cittadini.

    Francesco Lena – Cenate Sopra (BG)

    ALPINI DA NORD A SUD

    Mi sono indignato per la proposta di “incentivare il reclutamento dei giovani padani” tra le penne nere. Partendo dal presupposto che troppi “terroni” «incidono profondamente sull’efficacia operativa delle unità alpine». È infatti passato il tempo in cui il nemico si trovava al di là delle Alpi, e i soldati reclutati nelle vallate di montagna combattevano meglio perché era come se difendessero la loro casa, le loro famiglie. Se si pensa alle necessità di una guerra moderna c’è anzi da chiedersi che senso abbia, oggi, una frammentazione così spiccata tra i Corpi dell’Esercito. Se non appartengano al passato i granatieri, o i bersaglieri, ma anche gli stessi alpini. E se l’Esercito di oggi non abbia piuttosto bisogno di una fanteria adatta all’impiego in tutte le realtà geografiche, dalla pianura alla montagna. Queste, però, sono disquisizioni che lasciano un po’ il tempo che trovano. Torniamo perciò alla questione del luogo di nascita. I famigliari di un malato si preoccupano di trovare un chirurgo bravo, oppure pretendono di sapere se è nato a nord del Po? Perché, professionisti, assai poco si nasce, e molto si diventa: medici e alpini compresi. Per cui, terrei ben separata la politica da ciò che è più serio: inclusi gli alpini (o i carabinieri: ma qui l’elenco si allungherebbe troppo). Perché, per quel che ne so, nel “fare” un alpino, la città d’origine è quel che conta meno. Ed è per la stessa ragione che non vedo di buon occhio chi partecipa a raduni politici, portando il cappello con la penna nera.

    Enrico Bassignano – Chieri (TO)

    Pubblicato sul numero di maggio 2011 de L’Alpino.