VICENZA Arsiero Una adunata nel segno del 90 e della cittadinanza al 7 Alpini

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    Arsiero è una cittadina che raramente appare sui giornali. Non c’è delinquenza, sembra vuotarsi al mattino perché molti si spargono nel fondovalle e si ripopola la sera. Le ore vengono scandite dalla bella piazza del paese, sulla quale si affacciano negozi e bar, più simili alle osterie d’un tempo. Al centro della piazza, il monumento ai Caduti rimesso a nuovo dagli alpini del gruppo; e poi la chiesa, sopraelevata e solenne, a strapiombo sulla scarpata, domina la valle come un punto di riferimento.

    Ma a leggere il nome delle strade si rivela la storia di questo paese, che ha dato molto alla storia dell’Italia, con cittadini contadini, artigiani decorati di Medaglia d’Oro o d’Argento. E poi c’è un grande cimitero di guerra, forse il più grande dopo il Sacrario del Grappa, dove sono sepolti migliaia e migliaia di soldati della Grande Guerra: Arsiero fu l’ultimo baluardo, ai piedi dell’Ortigara, resse l’urto dell’offensiva austro ungarica, con gli alpini che furono comandati a ripiegare, dopo una strenua difesa.

    Sovrastano il paese cime come il Cimone con il suo ossario il Cengio, il Priaforà, lassù la ferita della cima saltata in aria per una mina che uccise più di mille fanti, là la parete del tragico salto dei bersaglieri’, più in là la montagna di scontri dall’eco mai spenta Sulle croci del cimitero ci sono i nomi di decine e decine di battaglioni di fanteria, di alpini, genieri, finanzieri, l’Esercito che marciava, combatteva, mescolava i dialetti, le regioni, latitudine e longitudine, tutti uguali. Prende il cuore questa lezione di storia patria, si ha la dimensione di cosa sia stata la guerra, di quante vite abbia strappato, dell’assurdità, della crudeltà di tutto questo che ancora ci sembra impossibile.

    Si esce dal questo Sacrario all’aperto a testa china, come se uscissimo da una cattedrale di dolore. Ed è proprio ad Arsiero che Giuseppe Galvanin, presidente della sezione Vicenza (88 anni di vita, 17.300 soci alpini e 2900 aggregati, 136 gruppi, 550 volontari inquadrati nella protezione civile con 20 squadre), ha voluto il raduno dei suoi alpini, che hanno risposto all’appello sfilando compatti come in una adunata nazionale nel paese imbandierato come mai.

    Si respirava un’aria gioiosa e solenne insieme, come sempre è quando ci sono gli alpini. Un’adunata preceduta da una serata di bellissimi cori, una mostra storica e una conferenza stampa nella sala consigliare messa a disposizione dal sindaco Tiziano Busato, che ha concesso al gruppo guidato da Giorgio Dal Castello una bella sede nell’edificio attiguo allo storico palazzo comunale. E poi, il giorno del raduno vero e proprio, con migliaia di alpini che al suono della fanfara di Vivaro Dueville e del Corpo Musicale di Arsiero hanno sfilato per due ore, un fiume di penne nere che la grande piazza stentava a contenere.

    Tanti applausi hanno accolto gli alpini della compagnia con il gruppo di ufficiali e sottufficiali del 7º reggimento Alpini comandato dal col. Fabio Majoli, reggimento al quale sabato pomeriggio il consiglio comunale al completo aveva concesso la cittadinanza onoraria. Gianni Periz ha consegnato la gavetta di Domenico Piceni, caduto a Selenj Jar, nel ’43, ai figli Alberto e Giorgio.

    Il sindaco, ricordando il 90º anniversario della fine della Grande Guerra, ha reso omaggio ai Caduti ed elogiato gli alpini che ne onorano la memoria; il col. Majoli ha ringraziato il sindaco per l’altissimo significato simbolico della cittadinanza al reggimento, una cittadinanza che ci riempie di orgoglio ; il consigliere nazionale Silvano Spiller ha portato il saluto del presidente Perona ed ha ricordato che dopo il Grappa, l’Ortigara e il Pasubio, quello del Cimone è il quarto ossario della Grande Guerra ed ha invitato gli alpini alla celebrazione a Trento, la sera del 3 novembre.

    Ogni italiano ha qualche caro che ha combattuto e ha lasciato la vita su queste montagne , ha detto infine il presidente Galvanin che ha esortato a non permettere mai di lasciar cadere nell’oblio né la memoria di tanti sacrifici, né il richiamo costante alla pace.

    Pubblicato sul numero di novembre 2008 de L’Alpino.