A Trento celebrata la pace e l’unità d’Italia

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    e indietreggiò il nemico fino a Trieste e fino a Trento /e la vittoria sciolse le ali al vento . Così recita La leggenda del Piave e ben sintetizza la drammatica epopea attraverso la quale è stata raggiunta l’unità d’Italia. È stata una conquista costata 650 mila morti, quasi un milione di feriti e 600 mila tra prigionieri e dispersi. Il solo Trentino ebbe diecimila caduti, quattordicimila feriti, 42mila prigionieri o dispersi e centomila tra sfollati e internati nei campi dell’impero, dove morirono a migliaia.

     

    Trento, dunque. Erano le tre e quindici minuti del 3 novembre 1918 quando il col. Ernesto Tarditi, alla testa del 14º reggimento Cavalleggeri Alessandria entrava fra un tripudio di folla nella città finalmente liberata. Il giorno prima i bersaglieri avevano portato il Tricolore a Trieste. La guerra era finita e l’Italia festeggiava la pace. Di lì a poco, il generale Guglielmo Pecori Giraldi salutava il mare di folla dal piedistallo del monumento a Dante, la cui statua indica, col braccio teso a Nord, il confine del Brennero.

    Novant’anni dopo gli alpini sono tornati nel capoluogo trentino per rendere omaggio ai Caduti, sono saliti in tanti al Mausoleo di Cesare Battisti e hanno acceso la fiamma del tripode davanti al busto dell’eroe, simbolo dell’irredentismo, con il fuoco della fiaccola portata da Caporetto dai giovani che in un mese hanno attraversato ben quattromila paesi.

    Alla stessa ora, erano le 19,30, una analoga cerimonia avveniva nei cimiteri militari e davanti ai monumenti ai Caduti in tutta Italia e all’estero, dovunque c’è un gruppo o una sezione alpini, e un fuoco veniva acceso dagli alpini di Marostica sulla cima innevata dell’Ortigara, accanto alla Colonna Mozza. È stato, questo, un momento di unione ideale di tutti gli alpini, in armi e in congedo, una ricostituzione di quell’unità degli italiani per la quale nei quattro anni d’una guerra tanto terribile da essere chiamata Grande Guerra fu pagato un prezzo altissimo in vite di soldati e di civili, in distruzioni e sofferenze inaudite.

    In tanti, con il Labaro scortato dal presidente nazionale Corrado Perona e il Consiglio direttivo al completo, hanno sfilato da piazza Piedicastello lungo la Strada degli Alpini fino alla sommità del Doss Trento. La città che splendeva di luci nella vallata sottostante sembrava partecipare alla celebrazione. É stata una cerimonia silenziosa, di un silenzio rotto soltanto dalle parole del presidente Perona, che ha riassunto nel suo messaggio i tanti perché della celebrazione della pace e del pellegrinaggio degli alpini. Iniziato a Cima Grappa, nei giorni dell’Adunata a Bassano, e continuato alle Cappelle del Pal Piccolo e del Pal Grande, e poi al rifugio Contrin distrutto e ricostruito e poi al passo Falzarego, sull’Ortigara, in Adamello, al Bosco delle Penne Mozze e sul Pasubio.

    Nove tappe sui luoghi più significativi del sacrificio di tanti soldati, di tanti alpini. Scarna la cronaca di questa solenne conclusione del lungo viaggio della memoria, in una sera inclemente di maltempo. Alle 17,30 Perona e il Consiglio nazionale hanno visitato la bella mostra allestita nelle gallerie di Piedicastello. A guidare la visita della mostra, dal titolo 1914 1918: i Trentini e la Grande Guerra. Un popolo scomparso e la sua storia ritrovata, è stato il direttore del Museo storico di Trento Giuseppe Ferrandi.

    Quindi, fiaccola in testa portata a turno dei giovani tedofori che seguivano con una grande bandiera e che rappresentavano i quattro raggruppamenti, si è rifatto il corteo. Ad accogliere il CDN a metà di una galleria, il coro della Sezione di Trento, con alcune cante rese particolarmente significative dalla simbolicità del luogo e dalla solennità del momento. Davanti al Museo storico delle Truppe alpine sono stati resi gli onori al Labaro scortato dal presidente Perona, presenti anche il comandante delle Truppe alpine gen. D. Bruno Petti e il generale di brigata Carlo Frigo, comandante militare territoriale e il sindaco di Trento Alessandro Andreatta.

    Poi in marcia, fino al mausoleo di Cesare Battisti, la resa degli onori al martire trentino, la breve cerimonia nella cripta, dove riposano i resti di Battisti, la deposizione di un grande mazzo di fiori e la lettura da parte del consigliere nazionale Paolo Frizzi del messaggio del presidente Perona: un messaggio forte, essenziale. Come essenziale è stata tutta la manifestazione conclusa con la Preghiera dell’Alpino, in un’atmosfera che aveva dell’irreale, con le torce che lasciavano intravedere la montagna che incombeva, in un silenzio quasi assoluto che neppure il brusìo della città e la pioggia che ha continuato a sferzare la montagna hanno compromesso. È seguita la visita al museo degli Alpini, con gli onori di casa fatti dal direttore, col. Stefano Basset.

    È stato davvero un ritorno alle memoria, nello spirito alpino più genuino, lungo un percorso durato un anno, con alpini e cittadini, tanti cittadini, che sono saliti sulle montagne, ci sono stati vicini a significare la comunione di sentimenti e di valori. Cittadini che hanno capito che gli alpini, rendendo onore a chi l’aveva combattuta sui diversi fronti, non stavano celebrando la guerra, ma celebravano la pace.


    La sera del 3 novembre al mausoleo di Cesare Battisti.

    Pubblicato sul numero di novembre 2008 de L’Alpino.