Un fiore per Uberto Uberotti, alpino

    0
    35

    Nascere senza un padre è già una grande sfortuna e se anche la madre ti abbandona, quando sei ancora in fasce, la faccenda si fa ancora più drammatica. Ad Uberto Uberotti capitarono entrambe le cose: infatti si trovò abbandonato, in un orfanotrofio di Livorno, senza né padre né madre. Da Livorno alla Val di Vara il passo fu breve ma, se possibile, ancora più doloroso: sì, perché a tirarlo fuori dall’orfanotrofio non fu la benevolenza di buoni genitori ma l’avido interesse, a disporre di braccia da lavoro nei campi, di una famiglia della Rocchetta, in Val di Vara appunto, che di bambini ne prendeva parecchi, perché si spezzassero le ossa, a suon di fatiche e di lavoro, da mattino a sera, tutti i giorni nelle dure terre da coltivare.

    Ecco perché quando Uberto divenne giovanotto e si fece una famiglia, una vera famiglia tutta sua, si sentì come un re. Adesso aveva una brava moglie ed una bella bimba, appena nata, le quali gli sembravano un dono del cielo e il cielo, ora che non si considerava più un trovatello, gli pareva di toccarlo con le dita, tanto era felice. Purtroppo il destino, è risaputo, si accanisce particolarmente proprio contro coloro che di guai ne hanno già avuti abbastanza e così Uberto ricevette la chiamata alle armi. Non una assegnazione qualunque ma una di quelle destinazioni militari che facevano tremare i polsi e le gambe: ‘Battaglione alpini Pieve di Teco, Ortigara, Prima Linea, Zona di Guerra Trincea’.

    Nel 1917, dei suoi amici che erano andati a finire lì, non era tornato a casa nessuno. A casa, dai parenti di quelli andati al fronte, tornavano solo i carabinieri per darne la notizia della morte. Così, quando gli toccò partire, Uberto vide già scritta l’ultima pagina della sua storia. Baciò la figlia e abbracciò la moglie, facendosi promettere di provvedere al bene della piccola. Arrivò al fronte, quando era il mese di marzo dell’anno 1917. Sull’Ortigara, a 2.105 metri, in trincea, erano combattimenti continui e freddo e fame e dolori e paura e morti, tanti morti. L’alpino Uberotti resisteva, avanzava, ubbidiva agli ordini e combatteva con onore. Era buono e generoso, lo dicevano anche a casa, al paese e, se si presentava la paura, sotto tutte quelle cannonate e fra tutti quei morti, lui cercava di vincerla quella maledetta paura e andava avanti.

    Per questo gli fecero pure una menzione d’onore: Per avere servito la Patria con fedeltà e onore’. Malauguratamente, dopo tre mesi di aspri combattimenti in prima linea, nel giugno del 1917, una granata centrò in pieno la sua postazione e Uberto saltò in aria con altri commilitoni: nella tremenda esplosione fu fatto a brandelli e, a stento, si poterono raccogliere solo pochi resti. Dopo qualche tempo, i carabinieri del suo paese bussarono alla porta anche della sua abitazione per dare ai parenti la notizia della fine: non avevano nulla da riconsegnare perché, nella deflagrazione, nulla era rimasto; né poterono precisare il luogo esatto della sepoltura perché, in quei frangenti, non si andava tanto per il sottile: si piantava, se si poteva, una croce dove capitava di morire.

    E tanto bastava. Così terminò la breve esistenza di Uberto che nacque a Livorno, figlio di padre e di madre ignoti, trovatello in orfanotrofio, bracciante agricolo adottato, marito e padre felice solo per una breve stagione, soldato alpino eroicamente caduto, all’età di venticinque anni, sul fronte della Grande Guerra. EPILOGO La moglie di Uberto rimase sempre devota al suo ricordo, non si riaccompagnò mai ad alcun altro e tenne fede alla promessa di adempiere bene e fedelmente al suo dovere di madre. Riposa nel cimitero di Marinasco, sulle alture di La Spezia, da dove, nelle giornate di cielo terso, è possibile vedere la costa di Livorno. La figlia, Maria Uberotti, é tuttora in vita, a La Spezia; ha novantasei anni, una vita semplice e serena, ma con il grande rammarico di non aver mai potuto posare un fiore sulla tomba di quel padre, buono e generoso, che dal cielo, ne è certa, le ha voluto assicurare tanto bene e tanta protezione.

    Finalmente il destino, oggi non più ostile, ha permesso di scoprire, per una serie di circostanze casuali, che i resti dell’alpino Uberto Uberotti non sono più ignoti. Essi riposano sull’Altipiano di Asiago, nel monumentale Sacrario dedicato ai Caduti della prima guerra mondiale. Lì, in quel luogo sacro, tutti possono rendergli onore ed anche la figlia potrà deporvi, prima di morire, un fiore ed una lacrima per il suo amato papà alpino. Restano, a sfondo tanto reale quanto terribile di questa vicenda di vita, le montagne: esse stanno sempre lì come gigantesche dita, le dita di Dio, a volerci indicare a volgere lo sguardo in alto, verso grandi sacrifici ma anche verso grandi speranze e grandi ideali.

    Un ringraziamento particolare va a tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito al ritrovamento di Uberto Uberotti e, specialmente, agli alpini Sergio Leonardi e Ivan Martinelli del gruppo ANA di Arco (Trento). Alla sezione ANA di La Spezia, presieduta da Alfredo Ponticelli, all’alpino Roberto Giannoni e al gruppo alpini di Vezzano Ligure, nelle persone di Giuseppe Ricci e di Giovanni Ravenna. La signora Maria Uberotti, figlia del Caduto ritrovato, esprime a tutti ed a ciascuno, a quanti hanno collaborato la sua più profonda e commossa gratitudine. A nostra volta, siamo grati alla signora Uberotti perché consentendoci di accedere ai suoi personali ricordi ci ha donato molto più di quanto non ci abbia richiesto.

    Pubblicato sul numero di aprile 2011 de L’Alpino.