Trasferite ai giovani volontari il vostro spirito di servizio

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    Il generale di Corpo d’Armata Bruno Iob ha lasciato il servizio attivo dopo aver attraversato tutti i comandi fino ai vertici del nostro Esercito. Lo abbiamo raggiunto nella sua residenza per una intervista per la quale lo ringraziamo.

    Generale da pochi mesi ha lasciato il Comando delle Forze Operative dopo un’intera vita spesa al servizio della Patria. Com’è stato il passaggio alla quiete della vita in borghese?

    Ho avuto il tempo necessario per preparami a questo appuntamento e perciò non ho subìto grossi traumi. Certo non è semplice, dall’oggi al domani, cambiare ritmi, punti di riferimento e abitudini, fare a meno di quelle scariche di adrenalina che conseguono dalle responsabilità del comando, ma si può. Ciò che più mi manca, è il rapporto con il personale che ho sempre privilegiato e posto al centro della mia azione di comando e che mi ha arricchito come professionista e come uomo.

    Dall’Esercito ha avuto grandi soddisfazioni: quali ricorda con maggiore intensità?

    È proprio così: dall’Esercito ho avuto moltissimo, verosimilmente più di quanto io ho saputo dare. L’Istituzione mi ha fatto crescere alimentandomi di quei valori che ne costituiscono la forza: il senso dell’onore, del dovere e della responsabilità. Nell’Esercito ho conosciuto ed apprezzato l’amicizia, la solidarietà, la lealtà, che trovano la sintesi nello spirito di Corpo e che, come ben sapete, è fortissimo nei reparti alpini ed è garanzia di solidità e di affidabilità. Soddisfazioni ne ho avute molte, ma devo dire che le più grandi le ho provate al comando dei reparti, ogni volta che ho avuto la percezione che i miei uomini mi riconoscevano come loro comandante.

    Le Truppe Alpine acquistano giorno dopo giorno sempre più prestigio in Italia e all’estero. Quanto incide l’azione del loro Comandante?

    Non solo le Truppe Alpine ma tutte le Forze Armate, grazie alla serietà dell’impegno, all’ammirevole dedizione, alla riconosciuta professionalità dei loro soldati, hanno rafforzato la loro immagine e, con i risultati ottenuti nelle operazioni, hanno visto crescere la stima e la considerazione dei colleghi di tutti quei Paesi con i quali, ormai da oltre quindici anni, operano in perfetta sinergia. Sono persuaso che le Forze Armate costituiscano oggi una risorsa reale e prontamente spendibile per l’Italia e di questo il Paese sta prendendo coscienza. Per quanto concerne il merito di questi risultati, esso è di tutti coloro che hanno partecipato, a qualsiasi titolo e con diverse responsabilità, alla trasformazione dello strumento militare ed alla sua professionalizzazione, mettendo le nostre Unità nelle condizioni di operare con successo anche in contesti multinazionali e in ambienti operativi complessi. È evidente tuttavia che, in questo processo, i comandanti hanno svolto e svolgono un ruolo fondamentale. Essi costituiscono la chiave di volta dell’organizzazione e hanno dimostrato di possedere la preparazione, la capacità e l’autorevolezza necessarie per assolvere il loro compito sia in Patria, nella fase di approntamento, sia nella condotta delle operazioni. Ciò trova pieno riscontro nel fatto che numerosi ufficiali italiani sono stati chiamati ad assumere il comando delle operazioni in tutti i teatri, dal Kosovo, all’Afghanistan, al Libano, ottenendo sempre favorevoli apprezzamenti per il loro carisma, per la loro preparazione e per il loro equilibrio.

    Quale comandante delle Forze Operative Terrestri lei si è trovato in un osservatorio privilegiato per apprezzare lo stato di salute dell’Esercito. La riduzione dei livelli di forza e la costante contrazione delle risorse economiche non rischiano di compromettere la capacità operativa dei reparti?

    La risposta è sì, decisamente sì. Il bilancio della Difesa, a partire dal 2004, è stato costantemente eroso fino a ridursi allo 0,8 del PIL (a differenza dei nostri più importanti partners europei che dedicano alle Forze Armate dal 2 al 3 del loro PIL). Questi tagli hanno inciso in maniera pesante soprattutto sulle spese di esercizio , cioè su tutto ciò che serve per mantenere in vita lo strumento e per metterlo nelle condizioni di vivere e di operare. In altre parole, la carenza di risorse ha provocato inevitabilmente la contrazione delle attività addestrative limitandole all’essenziale, la riduzione della manutenzione dei mezzi e dei sistemi d’arma, con ricadute negative sui livelli di efficienza, ed anche il deperimento del patrimonio infrastrutturale, per il cui mantenimento di fatto non ci sono risorse. Ciò nonostante, con grande senso di responsabilità e con altrettanta determinazione, l’Esercito ha continuato a far fronte a tutti gli impegni assunti, corrispondendo fattivamente alla volontà politica del Paese di recitare un ruolo di primo piano nel contesto internazionale. Non conosco nel dettaglio la situazione attuale ma, se non si avrà nel breve termine una inversione di tendenza, è facile prevedere che si giungerà al collasso e che sarà inevitabile riconsiderare dimensioni, compiti e impiego delle Forze Armate. Non è responsabile infatti, per dirlo all’alpina, continuare a fare le nozze con i fichi secchi .

    Missioni all’estero. I nostri alpini guadagnano sul campo la stima e simpatia dei colleghi stranieri e delle popolazioni dei Paesi dove operano. A cosa si deve questo risultato?

    Non solo gli alpini ma tutti i reparti impiegati fuori dal territorio nazionale nelle operazioni per il mantenimento della pace hanno svolto il loro compito con grande professionalità, interpretando nel modo più giusto lo spirito di queste missioni, nel rispetto scrupoloso del mandato ricevuto dall’autorità politica. Ma a rendere più efficace l’opera dei nostri Soldati è la loro disponibilità, la spontanea solidarietà, la correttezza del comportamento, il rispetto della gente, della sua cultura, dei suoi costumi ed anche la capacità di tenderle la mano e di regalarle un sorriso. Come ho già detto, i nostri soldati sono tra quelli che meglio sanno interpretare il ruolo di garanti della pace; ormai hanno alle spalle l’esperienza di molte missioni e sanno operare con grande professionalità e con la necessaria fermezza, ma senza aggressività ed arroganza.

    Siamo convinti che la presenza dei nostri militari nelle aree calde del mondo sia utile. Non si riesce tuttavia a vedere, nel breve termine, una via d’uscita in Afghanistan e neppure in Kosovo. C’è secondo lei la volontà di affrontare con determinazione i problemi di quei Paesi?

    La situazione nei teatri operativi dove ancora siamo presenti non è obbiettivamente semplice e non è verosimile che i grossi problemi che affliggono l’Afghanistan, il Libano, il Kosovo e l’Iraq possano essere risolti nel breve termine. Fino a quando ciò non avverrà, la presenza di forze militari sarà indispensabile, perché un loro eventuale prematuro ritiro farebbe ripiombare quei Paesi nel caos e estenderebbe, aggravandola, la conflittualità delle rispettive aree. Ciò detto, sono convinto che la comunità internazionale abbia tutto l’interesse a trovare al più presto soluzioni efficaci e risolutive, sia perché le operazioni militari hanno un costo assai elevato che nell’attuale difficile congiuntura economica pesa particolarmente sui bilanci statali sia perché gli incendi se non si spengono subito
    aumentano d’intensità e si allargano.

    Appare evidente che la situazione in Afghanistan sta peggiorando. Non ritiene che, anziché insistere con l’azione militare, si dovrebbe incrementare l’assistenza economica e sociale per produrre benessere ed acquistare maggiore consenso presso la popolazione?

    Come ho già detto rispondendo alla precedente domanda, la presenza di forze militari in Afghanistan è oggi più che mai necessaria se si vuole mantenere viva la speranza per quel popolo di riuscire a vivere in pace e in democrazia. Senza arrischiare valutazioni politico strategiche su quanto è stato sinora fatto, credo di non sbagliare affermando che, se si vuole condurre a termine questa operazione, sarà necessario intensificare le operazioni militari per riacquisire il pieno controllo del territorio, sottraendolo ai talebani. Questa è la condizione necessaria per poter attuare una efficace e duratura politica di aiuti che consenta un reale sviluppo economico e sociale di un popolo prostrato da decenni di guerre e da un’endemica povertà.

    Come Lei ha detto, le finanziarie degli ultimi quattro anni hanno ridotto sensibilmente il bilancio della Difesa. Su questo argomento è calato un silenzio assordante , non si è sentita alcuna voce di chi ha la responsabilità dei nostri reparti, come se i tagli non costituissero un problema per le Forze Armate.

    I vertici delle Forze Armate sono piena mente consapevoli delle gravissime ripercussioni che le insufficienti risorse finanziarie hanno avuto ed avranno sullo strumento militare e sono certo che, sui canali istituzionali, sono stati fatti i passi necessari per rendere edotto il Parlamento ed il Governo della situazione e per ottenere gli indispensabili adeguamenti. È vero tuttavia che su questo argomento non si è aperto alcun dibattito, come se fossero problemi riservati agli addetti ai lavori. E invece non è così. Il problema della Sicurezza e della Difesa riguarda il Paese intero, alla stessa stregua della Sanità e dell’Istruzione, e richiede un dibattito aperto ed approfondito, per giungere finalmente ad una politica di Difesa adeguata al ruolo che l’Italia vuole ricoprire nel contesto internazionale, ma anche compatibile con le risorse disponibili. Poiché, tuttavia, la situazione è tale da compromettere in modo irreversibile l’efficienza e l’operatività dei Reparti e nella considerazione che la riduzione delle attività addestrative comporta inevitabilmente un abbassamento del livello di sicurezza del personale, ritengo che i comandanti di ogni livello, per le responsabilità oggettive che hanno sull’efficienza dei loro reparti e sulla sicurezza dei loro uomini, debbano loro farsi carico di stimolare, innescare e sollecitare il dibattito, utilizzando ogni utile occasione, in pubblico ed in privato, anche fuori degli stretti ambiti istituzionali.

    In questo contesto, l’Esercito è stato ed è impiegato in attività non strettamente istituzionali come l’emergenza rifiuti ed in concorso alle Forze di Polizia nel controllo del territorio. Non Le sembra una contraddizione?

    Non è esattamente così. L’impiego dell’Esercito nelle emergenze ed in concorso alle Forze di Polizia rientra pienamente nelle missioni assegnate alle Forze Armate. Anche in queste occasioni peraltro, a conferma che le Forze Armate costituiscono una risorsa prontamente impiegabile ed affidabile per il Paese, i reparti dell’Esercito hanno fornito l’ennesima prova di efficienza, svolgendo senza clamori, con grande efficacia ed equilibrio, compiti non usuali in contesti ambientali e sociali difficili. Posto che gli oneri finanziari di queste missioni sono normalmente a carico del Ministero dell’Interno, l’unico aspetto da sottolineare riguarda l’usura dei mezzi impiegati normalmente mezzi speciali del Genio e mezzi ruotati che aumenta facendo crescere il tasso delle inefficienze in assenza di risorse per gli interventi manutentivi e correttivi.

    Torniamo in casa ANA. Tutti Le riconoscono il merito di aver dato una svolta decisiva ai rapporti fra il Comando Truppe Alpine e la nostra Associazione. C’è una sintonia ritrovata e gli Alpini in servizio continuano ad esserci vicini partecipando alle nostre manifestazioni. Cosa possiamo fare di più e meglio per loro?

    Sono felice che mi venga attribuito questo merito anche se ritengo di aver solo contribuito, facendo il primo passo, ad un riavvicinamento che era inevitabile. Infatti, sono sempre stato convinto che gli Alpini in armi e gli Alpini in congedo siano due facce della stessa medaglia, accomunati dall’amore per la montagna, nutriti degli stessi valori e degli stessi principi, attaccati ed orgogliosi del loro comune passato ma anche immersi attivamente nel presente e per niente rassegnati a non avere futuro. Sono stato e sono grato al vecchio presidente, Beppe Parazzini, e all’attuale, Corrado Perona, per due motivi. Innanzitutto per aver sostenuto con forza la necessità di mantenere in vita le Truppe Alpine, non solo per la loro storia ma anche e soprattutto per la solidità, per l’affidabilità e per la versatilità dei loro reparti. In secondo luogo, per aver promosso numerose iniziative per aiutare i giovani Volontari ad inserirsi nelle sedi di servizio, spesso disagiate, e per favorirne l’ inserimento nel mondo del lavoro al termine della ferma. Cosa si può fare ancora per loro?Siate loro vicini e contagiateli col vostro entusiasmo, col vostro spirito di servizio, col vostro senso del dovere e della disciplina e trasferite loro l’orgoglio di indossare il cappello alpino perchè per un Alpino il suo cappello è tutto .

    Pubblicato sul numero di dicembre 2008 de L’Alpino.