Punto e a capo

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    Queste settimane di fine anno portano ad alcuni giovani, che difficilmente ne saranno entusiasti, le ultime cartoline di precetto. Pochi indosseranno la divisa con le mostrine verdi e ancora meno lo faranno convinti che servire la Patria sia un obbligo sacrosanto. Tutto quello che hanno imparato in famiglia, a scuola, e purtroppo anche in altre istituzioni formative, non è andato oltre l’attenzione alla propria crescita personale, al proprio futuro. Al massimo si sono accalorati in discussioni teoriche sugli avvenimenti che stanno cambiando la vita in Italia e nel mondo. Difficile capire che tocchi a loro prendere un fucile per garantire la sicurezza al Paese, di cui sono cittadini, quando nessuno gli ha fatto comprendere che l’appartenenza ad uno Stato non è un semplice atto da ufficio anagrafe. Anche la scuola dei partiti, che dovrebbe rendersi interprete delle esigenze della collettività, si immiserisce in una nevrotica contesa politicoideologica, sempre più lontana dagli interessi dei giovani: impegnata com’è nei giochi di potere finisce per disorientare chi invece è alla ricerca di valori e di certezze.

    Prendiamo atto che questi ragazzi di leva hanno qualche ragione a masticare amaro, non avendo nemmeno lontanamente la consapevolezza di essere gli ultimi protagonisti di una grande esperienza umana, civile e militare, con radici profonde nella storia del nostro Paese: la naja. Per noi alpini un patrimonio irrinunciabile.
    Punto e a capo.
    La relazione del presidente nazionale Corrado Perona al teatro Dal Verme, il 14 novembre, davanti ai presidenti di sezione, è stata quindi una riflessione sul nuovo capitolo che la nostra Associazione è chiamata a scrivere, tenendo conto che la natura e l’impiego dell’Esercito sono cambiati, che il flusso naturale dei soci è destinato ad assottigliarsi, e che mai come in questo momento la società civile considera l’ alpinità un fattore positivo da conservare.

    Il credo alpino, tenuto saldo nei momenti difficili da uomini forti: dare senza chiedere; fare senza esibire; sentirsi al servizio della comunità senza essere servi di nessuno, ha capitalizzato un credito di fiducia e di credibilità che, come sottolineato dal presidente nazionale, deve essere mantenuto ed incrementato coinvolgendo i giovani nelle iniziative che sono loro congeniali. Bisogna operare sulla scia delle cose che sappiamo fare e avere coraggio d’intraprendere grandi iniziative, con concretezza e senso della misura, consapevoli di avere a disposizione un’enorme potenzialità di risorse.
    Anche l’esercito degli amici degli alpini , ormai arrivato a livelli di Corpo d’Armata, può essere considerato una ricchezza morale e operativa, da valorizzare senza dogmatismi e senza pregiudizi, nel più autentico spirito alpino. Un pieno coinvolgimento nei nostri programmi non mette in discussione né la nostra naja, né il nostro cappello.

    Le sezioni all’estero accusano i segni dell’età. Da oltre mezzo secolo costituiscono una presenza virtuosa e visibile dell’italianità. Dev’essere fatto ogni sforzo, spesa ogni energia per far sì che fintanto che c’è un alpino in un paese estero il vessillo sezionale non torni in Sede Nazionale. Non siamo interessati ad un Vittoriano alpino.
    Le Forze Armate, ed in particolare le brigate alpine, restano il punto di riferimento privilegiato delle nostre attenzioni perché, come Associazione d’arma, vediamo in loro la continuità di un lungo processo di maturazione dell’identità nazionale. I nostri ufficiali sono i continuatori di quell’opera formativa che ognuno di noi si è portato a casa col congedo e che col passare degli anni ha riscoperto ed apprezzato: amore per la montagna, abitudine al sacrificio, rettitudine.

    Perona ha concluso il suo intervento constatando che mai come in questi anni sono state costruite tante sedi di gruppo, di sezione e mai si è vista una mole di iniziative così imponente andare a buon fine. Anche a livello nazionale ci sono in cantiere progetti importanti: il Contrin, il rifugio Caduti dell’Adamello, la casa per gli anziani colpiti dal terremoto del Molise. Inoltre si pensa di realizzare una scuola in Mozambico, dove oltre 4.000 alpini di leva, una decina d’anni fa, sono andati volontari nell’operazione Albatros.
    Il futuro dell’A.N.A. è quindi affidato alla nostra capacità di fare. Solo così saremo in grado di scrivere altri capitoli esaltanti della nostra storia. Non sarà eroica come quella dei padri, ma sempre prestigiosa e tale da suscitare nei nostri figli l’orgoglio di sentirsi, in qualche modo, parte della grande famiglia alpina.

    Vittorio Brunello