Per l’Italia, con la gente

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    Storia davvero singolare e affascinante, quella degli alpini. Il Corpo indubbiamente più amato e rispettato al Mondo, 140 anni fa ebbe un’origine quasi clandestina grazie ad alcuni articoli inseriti in quel Regio Decreto con i quali il generale Ricotti Magnani, ministro della Guerra, su suggerimento del capitano Perrucchetti – che, a sua volta, aveva mutuato l’idea da uno studio del col. Ricci – diede vita alle prime compagnie territoriali sulle Alpi. L’idea semplice e geniale era quella di affidare la difesa dei settori alpini ai valligiani che li abitavano, che li conoscevano palmo a palmo e che li avrebbero difesi con la tenacia di chi protegge la propria casa.

     

    Nonostante l’origine quasi clandestina gli Alpini, che erano il solo corpo militare ad affondare le proprie radici direttamente nella nuova Nazione, furono quasi subito oggetto di attenzione da parte della stampa che proprio su questi nuovi soldati d’Italia puntò per la creazione di una sorta di mito e per sollecitare l’orgoglio nazionale. Ma, come tutti sappiamo, in seguito gli alpini quel mito lo costruirono davvero, fino a stupire il mondo intero.

    Questi soldati o, meglio, questi semplici montanari prestati all’Esercito, non si sono solamente rivelati militari eccellenti, ma sono riusciti nell’impresa di mantenere per generazioni un legame talmente forte con le loro valli e contrade che le storie si sono intrecciate e le tradizioni confuse in una quotidianità condivisa. Un legame reso evidente anche dal nome dei battaglioni che, a differenza degli altri reparti dell’Esercito, non avevano progressione numerica, ma l’indicazione di paesi e valli di provenienza e dai motti di questi reparti che al latino avevano preferito il dialetto.

    Per comprendere davvero il legame che gli alpini hanno con il loro territorio, basterebbe pensare che gli abruzzesi si identificano con il 9° Reggimento, i piemontesi con il 1° il 2° ed il 3°, i lombardi con il 5° e il 6°e così via. Tutti fratelli, gli alpini, intendiamoci, ma tutti profondamente legati al loro pezzetto di una grande tradizione comune. Non c’è città, paese o frazione che non abbia una via intitolata agli alpini o al reggimento di riferimento. Non c’è città paese o frazione dove non esista un monumento alle penne nere. Se questo, tuttavia, era facilmente comprensibile quando un rigido reclutamento territoriale dava corpo e sostanza ai nostri battaglioni, oggi assistiamo ad un vero e proprio miracolo visto che la provenienza geografica dei nostri ragazzi in armi è la più varia e le cose non sono cambiate. Un fenomeno, quello degli alpini, che meriterebbe di essere studiato da qualche università perché sembra sovvertire le regole del tempo.

    In questa Italia che sembra mutare velocemente e senza meta, gli alpini sono stati capaci di non perdere le loro migliori virtù pur adeguandosi ai tempi. In questa società dove tutti pretendono che altri risolvano i loro problemi, gli alpini hanno continuato e continuano a fare il loro dovere con serenità. In questa Italia sempre più vittima dell’approssimazione, gli alpini continuano ostinatamente a costituire una vera e propria eccellenza. In questo miracolo una parte importante la si deve anche a questa Associazione per la costante opera di custodia di valori e tradizioni che sono certamente il fondamento del segreto degli alpini. Truppe Alpine e Associazione Nazionale Alpini sono riuscite, negli anni, a fondersi, anche nell’immaginario collettivo, in una sola grande famiglia tanto che i più faticano a distinguerne i percorsi.

    Un miracolo o, se preferite, una bella favola… vera! Questo si è voluto raccontare e celebrare nell’ultimo fine settimana di ottobre a Milano. L’usuale manifestazione a Cassano d’Adda nella mattina di domenica, resa solenne dalla presenza del Labaro, dal comandante del Corpo d’Armata NATO di Reazione Rapida di Solbiate Olona, gen. C.A. (alpino) Giorgio Battisti e da una nutrita partecipazione del Comando Truppe Alpine guidata dal gen. D. Fausto Macor, è stata preceduta da un convegno sulla storia degli alpini tenutosi sabato pomeriggio nella prestigiosa sala congressi della Provincia di Milano presso la quale era stata allestita una esposizione di quadri tematici ad opera dei pittori del “Gruppo Artistico Forlanini Monluè”, una mostra di copertine della “Domenica del Corriere” e una esposizione di pannelli storici.

    Un programma, sobrio ma egualmente significativo impreziosito, per pura casualità, dall’inaugurazione del nuovo Museo dedicato al Beato Don Carlo Gnocchi presso il Centro di Via Capecelatro a Milano, avvenuta sabato mattina (del quale museo scriviamo in queste pagine). Insomma un fine settimana all’insegna dei valori degli alpini. Il convegno del sabato si era prefissato l’obiettivo di sottolineare che nonostante 140 anni di storia gli alpini sono riusciti a mantenere le stesse caratteristiche, i medesimi valori e virtù. Dopo un minuto di silenzio per un doveroso omaggio dedicato al caporale Tiziano Chierotti recentemente caduto in Afghanistan, diretti dal presidente della Sezione di Milano Luigi Boffi i lavori hanno preso le mosse da un preciso inquadramento storico del fenomeno alpini dalle sue origini sino al secondo conflitto mondiale ad opera del professor Belli, seguito dalla brillante commossa e appassionata esposizione del past president Beppe Parazzini che ha tratteggiato la nascita della nostra Associazione e la sua evoluzione nel tempo.

    Il comandante delle Truppe Alpine, gen. C.A. Alberto Primicerj, ha infine presentato le Truppe Alpine di oggi, la loro consistenza, la loro dislocazione, l’addestramento e le principali missioni sottolineando, tuttavia, come la professionalizzazione del soldato italiano non abbia inciso in alcun modo sul cuore, sulla mentalità e sulla umanità dell’alpino che continua a trarre le sue virtù dal faticoso addestramento in montagna e che caparbiamente vive e opera per servire l’Italia sia in Patria che all’estero, pagando ancora oggi un tributo pesante al senso dovere. I lavori sono stati chiusi dal vice presidente nazionale vicario Adriano Crugnola che, non senza emozione, ha rivendicato con forza l’unità di questa bella famiglia alpina, la sua importanza e attualità quale esempio di una Italia davvero eccellente. I medesimi concetti sono risuonati l’indomani mattina nella piazza di Cassano d’Adda al termine della sfilata, dell’onore ai Caduti e dell’omaggio alla tomba del gen. Perrucchetti.

    Concetti che possono sintetizzarsi nelle parole del vice presidente nazionale Fabrizio Balleri, che parafrasando Don Carlo Gnocchi ha concluso il suo intervento affermando che “per rifar bella l’Italia… ci vogliono gli alpini!”. Quella mattina, però, a Cassano d’Adda pioveva disperatamente, segno che anche il Cielo piangeva la scomparsa del giovane caporale Tiziano Chierotti, alpino del “Doi”.

    Cesare Lavizzari


    Gli uomini che ebbero l’idea

    Dal seme piantato 140 anni fa è cresciuta una pianta sana e rigogliosa. Piace pensare che così fu per la nascita delle Truppe alpine. Nell’Italia di quell’epoca il clima era favorevole, il momento propizio e gli attori di prim’ordine, tutti pluridecorati sui campi di battaglia: sono gli uomini che ebbero l’idea di costituire una specialità di soldati di montagna.

    CESARE RICOTTI MAGNANI

    Cesare Ricotti Magnani (Borgolavezzaro, 30 gennaio 1822; Novara, 4 agosto 1917) terminò nel 1840 gli studi all’Accademia militare di Torino. Nel 1848 partecipò all’assedio di Peschiera dove fu ferito e venne promosso capitano per meriti di guerra; nel 1852 si guadagnò una medaglia al merito per aver soccorso, con i suoi uomini, i feriti nell’esplosione della polveriera a Borgo Dora (Torino). Negli anni seguenti partecipò a diverse Campagne dove si distinse tanto da meritarsi medaglie e conseguenti avanzamenti di grado nella carriera militare. Nel 1855 combatté nella guerra di Crimea, partecipò alla seconda guerra d’indipendenza italiana e in particolare nel 1859 alla battaglia di San Martino. L’anno successivo fu nominato direttore generale delle armi speciali per conto del ministero della Guerra e iniziò la carriera politica. Fu parlamentare, senatore e ministro della Guerra in numerosi Governi. Nel 1873 fece approvare un nuovo ordinamento dell’esercito che vide l’introduzione di truppe di seconda linea e l’istituzione di quindici Compagnie alpine di cui divenne anche comandante generale.

    AGOSTINO RICCI

    Agostino Ricci (Savona, 24 gennaio 1832 – Torino, 26 ottobre 1896) partecipò giovanissimo con i volontari lombardi ai moti del 1848. Nel 1849 era al 3° reggimento dell’esercito sardo a Biella. Richiamato nel 1851 partì per la Crimea con il Corpo di spedizione e di nuovo dal 1857 al 1859 per la 2a guerra d’indipendenza, dove si meritò la Medaglia d’Argento al V.M. Promosso colonnello, nel 1870 fu nominato comandante in seconda della Scuola di Guerra. Fu qui che sviluppò e trasfuse le sue dottrine nell’arte militare che divennero molto apprezzate. Quando un paio d’anni più tardi il ministro della guerra Cesare Ricotti Magnani promosse la ristrutturazione delle Forze Armate si parlò anche della difesa dei valichi alpini e dell’importanza strategica che questi avrebbero avuto. Non sembra quindi improbabile che le dottrine di Ricci, eccezionale conoscitore delle Alpi e comandante della Scuola di Guerra, avessero lasciato qualche traccia nella struttura delle 15 Compagnie alpine create dal ministro.

    GIUSEPPE DOMENICO PERRUCCHETTI

    Giuseppe Domenico Perrucchetti (Cassano d’Adda, 13 luglio 1839; Cuorgnè, 5 ottobre 1916) si arruolò volontario e combatté nel 1859 con il Regno di Sardegna nella seconda guerra di indipendenza. Nel 1861 fu nominato sottotenente dei bersaglieri alla Regia Militare Accademia di Ivrea e nel 1866 si guadagnò la Medaglia d’Argento nella battaglia di Custoza e la promozione al grado di capitano. Nel dicembre 1871 il cap. Perrucchetti sottopose al proprio diretto superiore, il generale Giuseppe Salvatore Pianell, uno studio su “La difesa di alcuni valichi alpini e l’ordinamento militare territoriale della zona di frontiera”. Il lavoro fu visionato in un secondo tempo dal comandante del Corpo di Stato Maggiore, generale Parodi, e fu pubblicato sulla “Rivista Militare” nel maggio 1872, pochi mesi prima del 15 ottobre, giorno in cui il Re d’Italia Vittorio Emanuele II firmava a Napoli il decreto di costituzione del Corpo degli alpini. Il lavoro di Perrucchetti si aggiunse e diede decisivo impulso ad un articolato dibattito sulla difesa delle Alpi e sull’esigenza di costituire unità speciali per la guerra in montagna, a reclutamento locale, che durava dal 1866.