“Non si vince da soli”

    0
    57

    «Quando una persona capisce che può essere utile agli altri, ecco questa è la cosa più bella della vita. Al confronto una medaglia olimpica è davvero poca cosa». Basta questa frase per dare la dimensione dell’uomo. Che è anche atleta, dirigente sportivo (presidente provinciale dell’ASSI, l’associazione sociale sportiva invalidi di Belluno) e alpino. È Oscar De Pellegrin, monumento del tiro con l’arco internazionale. Bellunese di Sopracroda (paesino alle pendici del monte Serva e a pochi chilometri dal capoluogo), classe 1963.

     

    Oscar ha vent’anni quando un incidente, mentre sta lavorando vicino casa a bordo di un trattore, lo costringe su una carrozzina. La vita gli cambia di colpo. «Dopo un incontro del genere con il destino, come lo chiamo io – dice – ti rafforzi molto e riesci a trasmettere molto di più agli altri».

    De Pellegrin inizia così, anche per impulso di Renzo Colle (uno dei fondatori dell’ASSI), a fare sport. E vince. Tanto. Fino alle Paralimpiadi di Londra 2012, i suoi sesti Giochi, dove è stato il portabandiera della spedizione azzurra e dove si è “regalato”, proprio all’ultima gara della carriera, un’altra medaglia, quella più bella, quella d’oro. Si tratta dell’ultimo tassello di un percorso favoloso che, nelle cinque Paralimpiadi cui aveva partecipato prima di Londra, gli aveva regalato, tra tiro a segno e tiro con l’arco, cinque medaglie. Nel tiro a segno aveva ottenuto un oro ai Giochi di Barcellona nel 1992 e un bronzo ad Atlanta nel 1996, mentre nel tiro con l’arco aveva vinto una medaglia d’oro a squadre, un bronzo individuale a Sydney 2000 e una medaglia di bronzo a Pechino 2008. Senza dimenticare 58 titoli italiani conquistati nelle due diverse discipline, 11 record nazionali e 2 record mondiali.

    A questi risultati Oscar ha aggiunto l’oro di Londra. Un oro splendido, ottenuto all’ultima freccia di un duello emozionante con il malese Hasihin Sanawi. «Sono partito per Londra con la coscienza in pace, consapevole di avere fatto tutto quello che dovevo – racconta De Pellegrin – Sei mesi di allenamenti quotidiani, 4-5 ore al giorno tra tiro, palestra e training autogeno perché nell’arco il 70- 80 per cento della performance è saper gestirsi. Sono stati sei mesi di concentrazione assoluta, la mia mente era sempre al campo di tiro. L’ultima freccia? Quella sapevo di non sbagliarla, l’avevo provata e riprovata centinaia di volte».

    A chi vuole dire grazie? «Grazie a Edda, mia moglie, e a Marcel, mio figlio. Il mio successo è anche il successo della mia famiglia che in venticinque anni di attività mi ha sempre supportato, sopportato, spronato. Grazie ai tecnici Renato De Min e Aldo Andriolo, agli Arcieri del Piave, alla Fitarco e al Comitato paralimpico italiano. E al mondo dell’associazionismo bellunese che mi ha sempre spronato. Grazie, insomma, a tutti coloro che mi hanno aiutato e che hanno fatto il tifo per me: nessun risultato arriva per merito solo tuo».

    Emozione indescrivibile, l’oro di Londra. Così come indescrivibile l’emozione di essere il portabandiera. «È stata una cosa fantastica, un onore senza pari. E poi sentivo il calore di tutti gli azzurri, sentivo che era una scelta Premiazione alle paralimpiadi di Londra: sul podio Oscar De Pellegrin (oro) tra il malese Hasihin Sanawi (argento) e il cinese di Taipei Lung Hui Tseng (bronzo). condivisa. Un riconoscimento che sarà di ulteriore stimolo per continuare a impegnarmi e a dare tanto a questo movimento e per proseguire in quell’opera di diffusione dei valori veri della pratica sportiva».

    Già, il futuro. Che cosa farà da grande?«Innanzitutto voglio dare più tempo alla mia famiglia. Per il resto vedremo. Mi sono arrivate tante proposte: la cosa, senza dubbio, mi gratifica ma voglio decidere con tranquillità e lucidità. Di sicuro, come faccio da venticinque anni, voglio continuare a promuovere l’attività sportiva, un ottimo mezzo di inserimento sociale per chi ha delle disabilità. E voglio anche continuare a contribuire a far sì che il gesto atletico venga apprezzato in sé e non in base alla diversità fisica».

    Negli occhi di tutti c’è l’oro di Londra, ma ritorna vivida un’immagine del 2006. Era una sera di febbraio e Oscar De Pellegrin, con il cappello alpino, in Piazza dei martiri a Belluno accese il tripode della tappa dolomitica della fiaccola olimpica di Torino… «È stato, anche quello, un onore grandissimo. Da sempre sono iscritto al gruppo Cavarzano Oltrardo, sezione di Belluno. Gli alpini mi hanno costantemente spronato e mi hanno dato tanto. Così come tantissimo mi ha dato la naja (De Pellegrin ha svolto il servizio militare nella Cadore, 7° Alpini, 4/’82, n.d.r.): per me è stato un periodo che ti permetteva tante possibilità di apertura al mondo, di amicizia, di rapporti umani non improntati solo all’ambito, per così dire, economico della vita».

    «La scelta di Oscar De Pellegrin a portabandiera della squadra azzurra a Londra 2012 è stata il giusto riconoscimento ad un grandissimo uomo di sport, che tanto ha dato e tanto continuerà a dare al movimento degli sport paralimpici – ha affermato il presidente del Comitato Paralimpico Italiano, Luca Pancalli – È la scelta di un uomo che è esempio dentro e fuori dai campi di gara. In tanti anni e in tante partecipazioni ai Giochi Paralimpici, De Pellegrin ha ottenuto tanti risultati prestigiosi – ha concluso Pancalli – contribuendo, in ogni occasione in cui è stato chiamato a prender parte, a tenere alto il nome dell’Italia».

    Ilario Tancon