Montagne, tsunami, calotte polari e deriva delle terre emerse

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    di Umberto Pelazza

    Pronosticabili, lente e durature le o­nde litiche che creano montagne; impreviste, effimere e catastrofiche le ‘onde di porto’ degli tsunami; casuali e transitorie le calotte glaciali dei poli: madre comune é la deriva dei continenti, la cui formulazione, nei primi del Novecento, venne a sfatare l'immagine di una terraferma rigida e immobile. Fu lo studio dell'orogenesi alpina che portò alla concezione di una crosta terrestre mobile, quando ancora la nascita delle montagne era attribuita al raffreddamento originario della corteccia continentale, che si sarebbe raggrinzita come la buccia di una mela cotta.

    Ma sulla terra mela i rilievi si sarebbero sparsi a caso e non localizzati ai margini delle terre emerse. Era noto da tempo che, accostando certi profili costieri, come quelli atlantici di Africa e Sudamerica, si sarebbero incastrati con sorprendente precisione. Fu il tedesco Alfred Wegener, studioso eclettico e geniale, alpinista, esploratore, sciatore e accanito fumatore di pipa, a porsi la domanda: ‘E se la terraferma fosse stata un tempo concentrata in un unico supercontinente, frantumatosi poi in varie zattere andate alla deriva?Ma con quale meccanismo?

    Le sue spiegazioni non furono convincenti perchè non aveva indagato appieno sulla vera natura delle zattere. A imprimere una svolta fu lo studio delle dorsali oceaniche, catene sottomarine che corrono per gli oceani tra un continente e l'altro per oltre sessantamila chilometri, incise da profonde spaccature dalle quali sgorgano, come da bocche vulcaniche, lenti e ininterrotti flussi di magma proveniente dal caldo e fluido mantello sottostante (alcune sommità son salite a prendere aria in superficie, come l'Islanda, le Azzorre e la napoleonica Sant'Elena).

    Il materiale basaltico fuoriuscito si raffredda e sgomita in direzioni opposte alla velocità di pochi centimetri l'anno, ripavimentando i fondali oceanici; poi, in corrispondenza di fosse abissali, accompagnato da terremoti ed eruzioni vulcaniche, ritorna nel rovente mantello dove, riciclato, sarà pronto per una nuova avventura. La forza motrice è fornita da correnti convettive, analoghe a quelle che si formano nell'acqua di una pentola posta sul fuoco: si dilata col calore, si alleggerisce e sale in superficie dove si raffredda e torna sul fondo. Fu questa la prova più convincente dell'esistenza di una tettonica a placche, che sta alla base della deriva dei continenti: una crosta terrestre spessa fino a un centinaio di chilometri, suddivisa in piattaforme che si muovono in varie direzioni alla velocità da 1,5 a 15 centimetri l'anno, galleggiando sul vischioso mantello come biscotti sulla marmellata.

    Sette sono le più estese, di cui una sola, la ‘Pacifica’, ospita un fondale oceanico; le altre si portano in groppa i continenti che, essendo più leggeri, quando s'incontrano non sprofondano, ma subiscono deformazioni e corrugamenti che generano catene montuose. Così si formarono le nostre Alpi, quando la placca africana entrò ripetutamente in collisione con l'europea, lasciandovi una robusta scheggia ‘made in Africa’ inglobata nel Cervino e combinando, scontro durante, un ben riuscito scherzo allo stretto di Gibilterra, dove, nel tardo Miocene, innalzò una soglia rocciosa che chiuse il collegamento fra Atlantico e Mediterraneo. In un migliaio di anni evaporarono nel nostro mare 40 milioni di chilometri cubi d'acqua, non compensati dall'apporto dei fiumi, creando un'enorme fossa profonda tre chilometri, punteggiata di laghi salmastri e cosparsa di depositi salmi.

    L'istmo si riaprì cinque milioni di anni fa e per oltre un secolo una fragorosa cascata precipitò nella voragine fino a riempirla: il livello degli oceani scese di 12 metri. Responsabile della spettacolare orogenesi himalayana fu la zolla indiana, staccatasi dalla placca antartica: dopo un viaggio di novemila chilometri andò a cozzare contro il basso ventre dell'Asia, sollevando la più imponente catena montana del globo che, attualmente, oltre alle orme dello yeti, propone un ricco campionario di fossili marini. Montagne innalzate, continenti spostati: azione lenta e inavvertita se non nei momenti in cui si accompagna a eruzioni vulcaniche e terremoti: ‘E Poseidone si mise a scuotere la terra sconfinata e le elevate cime dei monti: perfino Ade, signore dei morti, temette che la terra gli si aprisse sopra la testa’ (Omero, Iliade).

    Oggi il tridente del dio del mare sembra accanirsi sulla zona circumpacifica e tra l'arcipelago indonesiano, dove collidono tre placche, l'indoaustraliana, l'asiatica e la pacifica, le più prodighe di eruzioni vulcaniche, frane e scosse sismiche sottomarine, cause scatenanti di terribili maremoti: gli tsunami. Le o­nde che si producono non oltrepassano all'origine il metro d'altezza, ma viaggiano in convoglio a velocità pazzesche, toccando perfino gli 800 chilometri all’ora. Giunte nei pressi della costa, dove i fondali s'innalzano, la velocità diminuisce, ma la pendenza della cresta o­ndosa aumenta rapidamente impennandosi fino a una sessantina di metri: le o­nde innocue si sono trasformate in uno dei più violenti fenomeni della natura, una muraglia d'acqua che tutto travolge e distrugge.

    Ultimo segnale d'allarme un'anomala ed estesa bassa marea: le barche rimangono in secca e i pesci si dimenano all'asciutto: subdolo e mortale invito per gli ignari che si inoltrano incuriositi sull'inconsueta spiaggia (come gli egiziani del Faraone al passaggio del Mar Rosso, sorpresi, ha azzardato qualche storico, dal flusso e riflusso provocati dall'esplosione dell'egea Atlantide). L'Atlantico non ne è rimasto immune. Lo tsunami da terremoto che investì Lisbona nel 1755 distrusse la città e causò cinquantamila vittime. Il miscredente Voltaire si chiese come una tale catastrofe potesse conciliarsi con l'esistenza di un ‘dio d'amore’, consolandosi con la scomparsa di un buon numero di gesuiti e di edifici religiosi (fra le poche costruzioni rimaste in piedi, i bordelli di legno).

    Tsunami anche per un'Italia ai margini fra le placche africana ed euroasiatica, che nel 1908, favorito dalla forma a imbuto del vicino stretto, rase al suolo la città di Messina, provocando la morte di centomila abitanti. Nulla di stabile quindi sulla superficie terrestre, nemmeno tra i freddi silenzi dei poli, se si pensa che nella storia geologica del pianeta anche la presenza di una sola calotta glaciale è un evento eccezionale: le correnti tropicali han sempre fornito calore sufficiente a evitare la formazione dei ghiacci. Ma la deriva dei continenti è impietosa e mentre il montagnoso continente antartico è attualmente posizionato sul polo sud, bloccando le correnti marine, nella zona artica la tiepida corrente del golfo si è trovata la strada sbarrata dalla Groenlandia e dall'Islanda: una combinazione mai verificatasi nella storia della nostra Terra.


    P.S. riservato ai posteri.

    La capricciosa danza dei continenti non subisce interruzioni. Sopra la loro placca Europa e Asia si sposteranno a est, mentre le due Americhe si allontaneranno verso occidente. Un Atlantico ampliato consentirà all'acqua più temperata di eliminare la banchisa e farà lievitare i prezzi sulle linee aeree New York Parigi. L'Australia muoverà verso nord per saldarsi alla zolla euroasiatica nella regione indonesiana. La zolla antartica porterà i suoi ghiacciai a fondere in più confortevoli lidi. L'Africa entrerà nuovamente in collisione con l'Europa restringendo il Mediterraneo e cancellando l'Adriatico: l'Italia si salderà alla Iugoslavia. Fra cinquanta milioni di anni, uno più uno meno.