Ma gli alpini, cosa sono?

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    Sono nato in una famiglia alpina, con zio reduce di Russia ed il papà alpino, prima nel Döi di Cuneo e poi richiamato e combattente in Corsica dal ’40 al ’43 e per tutta l’Italia con il Corpo Militare Italiano di Liberazione. Come rimpiango i suoi ricordi di vita militare raccontati sottovoce, con pudore, e tra tante immagini di sacrifici, polvere e coraggio, anche quella del suo primo colonnello sul cavallo bianco, così simbolico e diverso dalla mia esperienza ma così evocativo di un tempo di grandi ideali e storici personaggi, di forti convinzioni e esemplare stile di vita, di senso istituzionale e sacrale responsabilità. Ricordi di guerra e, a seguire, di una vita di lavoro e impegno per dare un futuro alla famiglia e dignità alla propria vita. Ho respirato alpino sempre, inconsapevolmente prima e convinto poi. Dall’ingresso in Accademia, 150º corso e cinquantenario della Vittoria, quarantadue anni fa, ho vissuto da alpino con alpini che mi sono stati di esempio e stimolo. Oggi nella grande famiglia degli alpini in congedo sento l’orgoglio dell’appartenenza e l’impegno del servizio, cui mi ha ulteriormente richiamato un fatto curioso recente.

    Domenica mattina 21 novembre la fanfara Montenero della Veja di Torino ha celebrato la sua Patrona Santa Cecilia alla Gran Madre di Dio, animando alpinamente la Messa. All’uscita alcuni bambini della parrocchia, che proprio quel mattino con la musica alpina avevano iniziato il loro percorso di preparazione alla prima Comunione, curiosi per quelle divise e i tanti cappelli con la penna, hanno chiesto cosa fossero gli alpini. Mi hanno detto: Rispondi tu . È stato bello dire qualcosa e mi hanno anche ringraziato col sorriso loro e dei familiari. Ma una domanda mi è entrata dentro ed è diventata pian piano la mia domanda. Si costituiva, 150 anni fa, lo Stato Italiano, consolidato qualche anno dopo con Roma capitale.

    Fu allora che per la custodia dei suoi nuovi confini montani macongranpenalerecagiù (come ho imparato a conoscerli ai bei tempi della scuola) nacquero gli alpini che, in deroga alle norme della leva dell’epoca, erano reclutati e impiegati nelle proprie valli alpine, dove la conoscenza diretta dei luoghi e l’attaccamento al proprio focolare potevano favorire l’efficacia della difesa. Idealmente si può immaginare che i bersaglieri siano nati prima per dare slancio al Risorgimento e gli alpini poi per difenderne le conquiste. Delle prime 15 compagnie, 10 hanno avuto sede in Piemonte che può rivendicare a buon diritto di essere stato la prima culla di una nuova militarità. E con i battaglioni dai nomi dei monti e delle valli da cui provenivano i loro coscritti gli alpini crebbero maturando i valori della montagna come maestra di professione e di vita.

    Tra i tanti, i più caratterizzanti sono stati la condivisione della fatica, la solidarietà e lo spirito di Corpo, la specializzazione e l’amore per la propria terra. Contribuirono a renderli più saldi i legami familiari, il testimone e l’insegnamento da padre in figlio, i tanti Caduti per la propria terra. Senza alcuna intenzione di idealizzare la vita militare alpina e l’Associazione che ne esprime la tradizione da più di novant’anni, non si può non riconoscere che sono un legame di amicizia e unione che sa ancora superare gli anni e la lontananza e che non cessa di stupire per le seguite adunate, per la solidarietà nelle emergenze, per l’impegno sociale. Molti degli originali riferimenti sono cambiati con la sospensione della leva e con il processo di completa professionalizzazione.

    Peraltro, benché sia ancora presto per dirlo, non sembrano essersi diluiti i valori più intimi e significativi del Corpo anche se oggi più difficili da proteggere e da interiorizzare per il reclutamento aperto, l’impiego operativo meno differenziato nelle missioni all’estero e sul territorio, la minore frequentazione della montagna, primo e non sostituibile riferimento. Un uomo e, oggi, anche una donna con il cappello alpino in testa rappresentano qualcosa di speciale per se stessi come persone e per il Paese come organizzazione.

    Il cappello alpino è diventato nel tempo esempio di un impegno preso che non si esaurisce con il servizio attivo e insieme il simbolo identificativo di professionalità, coesione, onore, allegria, cuore, ordine e di tutti quei valori che ben si armonizzano con l’amore della propria Patria. Indossare il cappello alpino significa portare un segno distintivo che coinvolge e responsabilizza, vuol dire riconoscere un dovere e rinnovare un giuramento. Non fa diventare più bravi ma più consapevoli di una appartenenza che richiede disciplina e impegno nei comportamenti e nel servizio. Disciplina e impegno, a mio giudizio, sono le virtù che rappresentano il cuore della vitalità alpina e la continuazione tra il periodo di servizio attivo e il dopo nella vita alpina di ogni giorno.

    Doti naturali nel militare sono speciali in altri contesti, ma per l’Associazione Nazionale Alpini distintive e vissute dall’interno come regole di efficienza ed efficacia del comportamento di tutti gli appartenenti, nel pieno rispetto della funzione assolta nell’organizzazione. I sorprendenti risultati sono elencati ogni anno nel Libro Verde che ricorda le principali attività di solidarietà sociale svolte in forma organizzata e che solo per il nostro martoriato Abruzzo racconta di 8.500 volontari impiegati e 700.000 ore lavorate nel periodo dell’emergenza tanto da meritare la concessione straordinaria dell’attestato di pubblica benemerenza di 1ª classe del dipartimento di Protezione civile alla Associazione (unica premiata non appartenente a istituzioni pubbliche). Ma fuori da ogni elenco è significativa la presenza capillare degli alpini e del loro contributo solidale e positivo in ogni contesto sociale in cui vivono e operano in Italia 4.337 Gruppi nelle 81 Sezioni e, all’estero, migliaia di altri alpini nelle 31 sezioni e nei 7 gruppi autonomi.

    Chiederci chi siamo e cosa rappresentiamo non è un esercizio banale e sicuramente non è superfluo, perché ci consente ancora di più di appropriarci di un tesoro di tradizioni e di valori che ci appartengono e ci coinvolgono quanto più sono interiorizzati e vissuti come la continuazione di un impegno di servizio e come la condivisione di un modo speciale di essere che trascende la rappresentazione dello stereotipo goliardico alpino per identificarsi nei più profondi comportamenti di responsabilità sociale impersonati dalla Associazione Nazionale e da ciascun alpino che si ricordi di esserlo. La domanda di un bambino curioso può essere occasione per guardarci dentro con disincantata simpatia e smaliziata considerazione per quanto di positivo viene fatto ogni giorno dai bravi alpini in servizio e dai tanti operosi alpini nella società, per continuare ad essere orgogliosi del nostro passato, degnamente impegnati nel presente e non da meno nel futuro, risorsa preziosa della Patria. Una vita da alpino non è mai una vita banale.

    Appena entrati nel 2011, anno che deve essere significativo e simbolico per tutta la collettività nazionale per ricordare la propria storia unitaria e il cammino di democrazia percorso, non posso che augurare che lo sia ancora di più per ciascuno di noi alpini in servizio e in congedo per riflettere sul nostro impegno personale e lo sia anche per tutta la nostra grande e impegnata Famiglia Alpina, per fare memoria della sua speciale tradizione militare e trovare ulteriori e rinnovati motivi di impegno professionale e sociale da ribadire solennemente nella prossima e, sono certo, straordinaria Adunata nazionale a Torino. Una vita da Alpino, all’altezza delle aspettative collettive e personali di ciascuno di noi.

    Franco Cravarezza
    generale di Corpo d’Armata

    Pubblicato sul numero di gennaio 2011 de L’Alpino.