La tenda dell'anima

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    Era da tempo che mi ripromettevo di partecipare alla manifestazione che tutti gli anni la Sezione di Lecco organizza a Pian delle Betulle presso la chiesetta votiva del Morbegno. Mentre mi avvicinavo alla Valsassina pensavo al progettista della cappella, l’arch. Mario Cereghini, ufficiale del Morbegno e padrino di cresima di mio padre.

    E così mi è tornato alla mente l’orologio d’acciaio che il Cereghini aveva donato a mio padre e che mio nonno, al momento di partire per la Russia, aveva indossato, consegnando a mio padre il suo cronografo d’oro, dono degli ufficiali dell’Edolo, con l’intesa che, al suo ritorno, se lo sarebbero scambiati di nuovo. Ma mio nonno da quel fronte non tornò mai e quell’orologio restò sul polso di mio padre, che all’epoca aveva appena dieci anni, acquisendo un valore affettivo incredibilmente alto.

    Pensavo alla gioia che avevo provato quando, eletto consigliere nazionale, mio padre mi aveva donato l’orologio del nonno, quasi fosse lo scrigno dello spirito alpino della famiglia e al dolore immenso che avevo provato quando mi era stato rubato. Pensavo quando, nel gennaio del 1941, tra gli ufficiali del btg. Morbegno, impegnato sul terribile fronte greco albanese, iniziò a prender corpo l’idea della cappella votiva per ricordare i Caduti il cui numero cresceva di giorno in giorno.

    Pensavo al destino che aveva voluto che tra questi ufficiali ci fosse anche Mario Cereghini, uno dei massimi esponenti dell’architettura d’avanguardia italiana, che dedicherà gran parte della sua opera ad armonizzare i principi dell’architettura razionale con l’ambiente montano.

    Pensavo all’idea della chiesetta, sussurrata da alpino ad alpino, che prendeva inesorabilmente piede, alla raccolta di fondi e alla decisione di costruire la chiesetta a Pian delle Betulle. Chissà come il Cereghini avrà affrontato il progetto. Me lo immagino chiuso nel suo studio, in compagnia del solo ricordo dei fratelli Caduti, che si arrovella, quasi con furore, per progettare un manufatto degno della loro memoria. Una tenda, una semplice tenda.

    Un oggetto che al fronte rappresenta il tepore del focolare domestico, il ricordo della casa lontana. Questa volta, però, la tenda avrebbe dovuto proteggere lo spirito di quei ragazzi, la loro memoria dall’ingiuria del tempo. Ecco allora che prende forma quella che oggi è conosciuta coma la tenda dell’anima , una cappella votiva in ricordo dei Caduti del Morbegno in Albania e in Russia, voluta e realizzata da quei pochi che a casa sono riusciti a tornare. Ma quei reduci non si sono limitati a tenere fede a un voto costruendo la chiesetta.

    Hanno continuato a frequentarla contagiando i loro figli, i loro amici a affidando alle giovani generazioni di alpini lecchesi il culto della memoria. Oggi, man mano che un reduce raggiunge il Paradiso di Cantore, una marmetta va ad aggiungersi alle altre e il btg. Morbegno, piano piano, si ricompone per intero su quei muri. Ma non c’è freddo nella cappella, non c’è tristezza.

    Solo dolcezza e nostalgia. E così come il numero delle marmette inesorabilmente aumenta sui muri della cappella, alla stesso modo cresce quello delle persone che ogni anno partecipano alla manifestazione di Pian delle Betulle. Segno che i reduci del battaglione con la bala bianca hanno visto lontano e hanno saputo sconfiggere il tempo trasmettendo ai loro figli i valori e i sentimenti che sono custoditi in quell’edificio. E i loro figli hanno compreso e trasmesso a loro volta. E così il ricordo si è allargato.

    La memoria di pochi è divenuta patrimonio di un intero popolo. Anche quest’anno Pian delle Betulle è stracolmo di alpini e di persone comuni che degli alpini condividono lo spirito. Grazie alla straordinaria determinazione di pochi reduci e alla potenza dell’architettura e dell’amore che ha guidato la mente, il cuore e la mano del grande architetto alpino, anche Pian delle Betulle, con la sua magnifica chiesetta, è divenuto un luogo simbolico dove il tempo si è fermato e le anime dei nostri Caduti possono comunicare con le nostre.

    Lo stesso capita in Ortigara, in Adamello e in Pasubio, ma anche nelle baite dei nostri Gruppi dove passato, presente e futuro si fondono e confondono in totale armonia perché gli alpini si rifiutano di dimenticare e continuano, imperterriti, a trasmettere i valori, i sentimenti e lo stile di vita dei loro Padri.

    Cesare Lavizzari