La cura di Paolo Tormen

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    Il talento è sempre nascosto. Poi, a tempo debito come tutti i frutti, viene a maturazione ed esce allo scoperto. Qualche volta proponendosi, qualche volta imponendosi. Qualche altra ancora, sussurrando, quasi a chiedere scusa per una visibilità non cercata. Se volete, è un po’ l’indole contadina che rifugge dal clamore. La terra ha i tempi della meditazione e del silenzio. Se poi questa terra è accovacciata tra le cime dei monti, la discrezione si fa ancora più profonda, quasi impenetrabile.

     

    I contadini sono un po’ come i frutti del deserto: duri di scorza e dolcissimi dentro. Fu all’esame di maturità che all’alpino Paolo Tormen, classe ’64, di Belluno, gruppo di Salce, entrò una pulce, che lo fece riflettere sulle proprie possibilità. Era successo che il commissario d’esame, che veniva da fuori Belluno, era rimasto colpito dal tema di quel maturando, che aspettava di portare a casa un diploma da perito agrario. Non gli disse né bene, né bravo. Semplicemente volle sapere quale famiglia avesse alle spalle il giovane studente.

    La domanda lasciava intendere che appariva a tutti evidente che si trattava di un figlio d’arte. Magari figlio di insegnanti di lettere, di papà giornalista o docente universitario. I figli di queste famiglie di solito, col latte, hanno succhiato classici e latinorum. Magari non hanno molta voglia di studiare, ma intanto il DNA culturale ha lasciato il segno. Paolo, in un sussulto di orgoglio rispose con la risposta più nobile e semplice che un ragazzo di diciotto anni potesse dare: sono figlio di contadini. Fu in quel momento che pensò a suo padre e sua madre con gratitudine. Vide suo padre intento alla mungitura nella stalla. Vide le stanchezze sul volto di sua madre. Soprattutto pensò alla terra non solo come uno spazio fisico dove si consumano fatiche per garantirsi un pezzo di pane, ma come luogo dove si sedimenta la cultura, fatta di tradizioni, di competenze, di spiritualità.

    Una cultura che subisce oggi una grande sfida, alterando equilibri consolidati nei secoli, a tutto vantaggio di una cultura che punta ai guadagni da fare subito e velocemente. E tutto questo ha finito per snaturare secoli di sapienza. Come ci dice lui stesso: «Oggi siamo dipendenti dalle macchine, per cui si bada più alle macchine che alle persone. Il telefonino di ultimo grido diventa così un imperativo, mentre temiamo di più la mancanza di banda larga, che non la mancanza di cibo o di lavoro». Una alienazione che finisce per privarci di valori irrinunciabili. Al primo posto Paolo Tormen mette «la certezza che non siamo i protagonisti assoluti, i soli responsabili di ciò che accade intorno a noi.

    C’è qualcosa di più grande che sta sopra di noi. Un Creatore, per chi ha il dono della fede. La natura per chi volesse fermarsi prima. E questo ci dà la certezza che i cicli della vita ci mettono dentro ad una logica di cui non siamo padroni. Siamo protagonisti, senza la pretesa d’essere determinanti». Giusto per dire che a spadroneggiare sulla natura e sulla cultura in cui siamo cresciuti, finiremo per diventare tutti più poveri. Paolo Tormen, oggi apprezzato tecnico del settore agricolo, ha pensato così di restituire al nostro tempo quella sapienza antica che è cresciuta col lavoro della terra. Lo ha fatto proponendosi sul giornale alpino del gruppo di Salce, Col Maor.

    Brevi racconti, così come esige lo spazio giornalistico, nati dall’ascolto della gente: i genitori, gli anziani, e poi l’esperienza diretta del lavoro nei campi, la lettura di tanti studi sulle tradizioni contadine. Pagine, messe lì come pennellate d’artista, con la fermezza di mano di chi è padrone del proprio talento e intrecciate dalla sapienza di un’intelligenza vivida e ancorata nel proprio tempo. Queste pennellate sono finite in un libro, La cura. Basta scorrerlo velocemente, per capire che l’alpino Paolo Tormen, è un caso letterario.

    La gente si era accorta da tempo della sua bravura, aspettando Col Maor per leggere l’ultimo quadretto. Ora sono le scuole a cercarlo, insieme a quella parte di società che avverte il pericolo di perdere le proprie radici. L’alpino Paolo Tormen, che dei contadini ha la saggezza e i piedi per terra, si schernisce un po’ e si defila dalle luci. Una sola cosa ci tiene a precisare, il valore della famiglia. «È fondamentale – sottolinea con convinzione – però il concetto di famiglia e lo stile che in essa si vive andrebbe allargato oltre i legami parentali. Con chi lavora con noi, chi gioisce con noi, chi soffre accanto a noi, sentendo che siamo portatori di diritti, ma prima ancora di doveri verso tutti». Così pensa e vive Paolo Tormen. Contadino, alpino, cristiano.

    Bruno Fasani