Riflessioni sulla leva

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    Navigando tra le pagine di internet mi sono imbattuto in una fotografia. Rappresenta un momento della sfilata del 2 giugno a Roma per la festa della Repubblica. Anno 1968, sullo sfondo il Colosseo, in primo piano un reparto sciatori del 5º Alpini, brigata Orobica. Una foto come tante se non fosse per un piccolo particolare: fra quei soldati vestiti di bianco ci sono anch’io. Un ricordo sepolto in fondo alla memoria è tornato vivo grazie a questa immagine scolorita.

    Un momento di grande emozione; a volte la vecchiaia ti regala anche questo, specie quando si torna indietro nel tempo. Ma anche un’improvvisa riflessione sulla mia giovinezza e su quella dei ragazzi d’oggi e una domanda: il servizio di leva serviva a qualcosa? Se penso alla mia esperienza la risposta è sì. Quindici mesi di naja mi hanno mostrato una realtà che non conoscevo. Partii che ero uno studentello viziato, superficiale e ignorante e tornai a casa profondamente cambiato. Valori mai conosciuti prima, la vita in comune con altri coetanei, le esperienze talvolta negative, le difficoltà da affrontare, le insicurezze e le paure dei ventenni. Ma anche la consapevolezza di non essere soli, la scoperta dell’amicizia e della solidarietà, la forza dello stare insieme per affrontare con coraggio le avversità. Finii il servizio militare giusto in tempo per gettarmi dentro il “famigerato 68” scoppiato pochi mesi prima. In America, in Francia, in Germania, in Italia e in altri stati ancora. Studenti e operai stavano buttando all’aria un mondo troppo vecchio, pieno di egoismi e ingiustizie nella speranza di creare una società migliore. Per un attimo il potere politico ebbe paura di quella rabbia giovanile. Poi il 12 dicembre 1969 tutto finì. Una bomba vigliacca a Milano spense persone, sogni e speranze. Quella che seguì dopo è un’altra storia. In quegli anni e in quelli successivi ci fu un ampio dibattito sul valore del servizio di leva fino a cancellarlo. Si diceva: è tempo perso. Guardando la disoccupazione giovanile attuale verrebbe da sorridere (amaro) su quel “tempo perso”. Oggi molti ragazzi il tempo lo “perdono” aspettando un lavoro che non arriva mai così molti giovani cercano una raccomandazione per arruolarsi volontari. Amor di patria o necessità di uno stipendio sicuro? Mi tornano alla mente gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso quando i ragazzi del sud si arruolavano nella polizia e nei carabinieri per sfuggire alla povertà dei loro paesi. Non mi sembra che sia cambiato molto se non il fatto che i nuovi disoccupati del Nord e del Sud spesso hanno in tasca un diploma di scuola superiore quando non una laurea. Eliminare il servizio di leva è stato probabilmente un errore, per molti giovani è stata una scuola di vita. Ripristinarlo può essere utile ai ragazzi (e alle ragazze) e alla società. Non per creare altri soldati da mandare a fare guerre lontane ma per imparare di nuovo la differenza tra diritti e doveri. Potrebbe essere il punto di partenza per recuperare il senso civico e, perché no, l’orgoglio di appartenere ad una grande nazione.

    Leo Spanu – Sorso (Sassari)

    Caro Leo, è composto ma terribilmente lucido il quadro che tu dipingi. Io credo che in questi anni quella che è mancata è stata una politica maiuscola. Anche nei recenti episodi passati alla cronaca come la “mafia di Roma”, abbiamo sentito tanti proclami in cui si distingueva la responsabilità penale da quella politica. È vero che in galera ci deve andare chi ha rubato effettivamente, ma tutti, a parte il presidente della Repubblica che ha parlato di “antipolitica e di patologia eversiva”, tutti, dico, si sono messi in vetrina per dichiarare innocenza a buon mercato. Nessuno che abbia messo il dito nella piaga per denunciare una politica degli affari o, bene che vada, una politica che da anni si interessa solo di bilanci, senza dimostrare alcun interesse per la qualità di vita di una Nazione. Una dittatura del relativismo, dove si parla di soldi e si dimentica tutto il resto. Senza dimenticare il vuoto di competenza con cui spesso si amministra il Paese. Non me ne vorrà la mia intelligente amica Mara Venier se le dico che sono assolutamente contrario alla sua candidatura a sindaco di Venezia. Se ho bisogno di un medico, cerco la sua competenza. Non basta essere noti per essere competenti. Tutto questo per dire il vuoto politico e la crisi della giustizia in cui siamo immersi, in cui a rimetterci è sempre e solo la gente.