La Costituzione, l'Italia e l'Europa

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    Dopo la lettura ininterrotta della Bibbia in televisione iniziata da Papa Ratzinger e continuata giorno e notte per una settimana ad opera di personalità civili e religiose di alto rilievo nonché da illustri esponenti di altre religioni e semplici fedeli, il ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini ha proposto una analoga lettura della Costituzione italiana.

    Non si è certo trattato di una provocazione, quanto del desiderio di far conoscere agli italiani una Carta spesso più invocata che conosciuta, frutto della saggezza e del senso dello Stato dei nostri Padri costituenti. Una Carta che, sessant’anni dopo è entrata in vigore il 1º gennaio 1948 sta dimostrando in alcune parti profonde inadeguatezze con lo sviluppo sociale dell’Italia, anche nel contesto europeo. Giovanni Spadolini diceva che prima di cambiare la Costituzione sarebbe necessario applicarla interamente , ma lo diceva qualche decennio fa, quando non erano ancora emerse contraddizioni antiche e necessità nuove.

    Non è in discussione la prima parte della nostra Carta costituzionale. Anzi, è più attuale che mai ed è un esempio di come dev’essere uno Stato moderno. È la parte che, dopo l’illuminato e forte preambolo iniziale dei Principi fondamentali , stabilisce diritti e doveri dei cittadini.

    L’esigenza di un cambiamento, per certi versi radicale, riguarda la seconda parte, quella relativa all’ordinamento della Repubblica: la formazione e le attribuzioni del Parlamento, la formulazione delle leggi, l’elezione e le competenze delle alte cariche, la pubblica amministrazione, la magistratura, le garanzie costituzionali e soprattutto i rapporti dello Stato con Regioni, Province e Comuni così come furono fissati nell’ormai famoso Titolo V della Costituzione.

    In pratica, viene ridisegnato l’assetto istituzionale e la composizione dello stesso Parlamento con l’eliminazione del bicameralismo perfetto, dei rapporti fra Stato ed enti locali, riformulata l’organizzazione pubblica sul tipo federalista nella quale il governo nazionale ha soltanto compiti essenziali e competenze su materie che gli sono proprie, quali la politica estera, la difesa, l’istruzione e la giustizia, delegando a Regioni, Province e Comuni le competenze territoriali.

    Sono anni che se ne discute con un dibattito non sempre privo di preconcetti ideologici e politici. Come talvolta avviene, è stata la stessa storia a dare la spinta decisiva per passare il guado. La recente crisi economica ha dimostrato che ci sono tigri di carta, che i singoli Stati, da soli, non sono in grado di risolvere problemi globali, che la soluzione delle emergenze, ma anche il buon governo, vengono dall’unione, dalla rappresentatività politica, da capacità economiche e forza impositiva: tutto ciò che una sola nazione per quanto forte non è più in grado di garantire.

    Il futuro del pianeta, secondo gli analisti più accreditati, contempla non più solo due superpotenze (che si controllavano l’un l’altra, rispettandosi ma soprattutto temendosi), ma diverse superpotenze (anche se questo viene considerato un fattore negativo per i rischi di inaspettate aggregazioni e spinte prevaricatrici).

    E l’Italia?Sembra abbia dimenticato il buon senso dei Padri costituenti che posero le basi della Repubblica rifacendosi alla nostra millenaria cultura e ai princîpi del diritto romano, scrivendo regole indelebili ed esemplari a garanzia della dignità del lavoro e del cittadino. Essi erano appena usciti da una guerra che li aveva visti divisi e perfino nemici, ma riuscirono a mettere da parte ideologie, rancori, vendette e desiderio di potere per pensare solo al bene del Paese che doveva rinascere nel nuovo assetto europeo e mondiale.

    Da anni a questa parte, tuttavia, costituzionalisti prima e illuminati politici poi, affermano la necessità di rielaborare e adeguare in chiave moderna l’ordinamento della Repubblica. Contrapposte ideologie e difesa egoistica dello status quo stanno tenendo il nostro Paese lontano dall’Europa, con parametri economici, sociali e culturali che ci pongono inesorabilmente in coda ad ogni statistica.

    Sarà dunque bene che i nostri politici, riscoprendo il Senso dello Stato smarrito, sull’esempio dei Padri costituenti trovino soluzioni condivise. E le trovino in fretta. Abbiamo il diritto di sapere qual è il nostro futuro, mentre l’Europa ci viene addosso. (ggb)

    Pubblicato sul numero di novembre 2008 de L’Alpino.