La capitale della tavola servita

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    Spesso a Torino sentirete ripetere che ‘nella città della Mole sono nati il cinema, la televisione, la moda, ma che tutto è stato portato via, finendo quasi sempre a Roma’. Una recriminazione che, per fortuna, non vale per la gastronomia di cui l’antica capitale sabauda continua a mantenere un primato indiscusso. E dire che i nipoti di Gianduja a tavola sono per loro natura generalmente sobri, buongustai ma non ghiottoni. Gran parte della notorietà della cucina piemontese deriva dalla bontà e genuinità dei prodotti locali, che negli ultimi anni hanno conosciuto una straordinaria rivalutazione attraverso progetti mirati: pensiamo ad esempio ai prodotti del ‘Paniere della Provincia di Torino’, un catalogo di autentiche prelibatezze, a volte, purtroppo, ignorate o scarsamente valorizzate.

    Una caratteristica della cucina piemontese sono gli antipasti che mettono a dura prova i commensali con decine di portate: dalla carne cruda, al vitello tonnato, alle acciughe al verde, per non parlare dei salumi, che costituiscono una straordinaria ‘ouverture’ per pranzi e cene.

    Dagli antipasti agli agnolotti, piatto classico della cucina popolare piemontese: è infatti consuetudine utilizzare per il ripieno gli avanzi di arrosto dei giorni precedenti, triturati e mescolati fra loro. Pur potendo essere cucinati in diversi modi, sono essenzialmente quattro le ricette tradizionali: con sugo di carne arrosto, con burro, salvia e parmigiano, con ragù di carne alla piemontese e in brodo di carne.

    Un posto di particolare rilievo occupa la bagna càuda (letteralmente salsa calda), piatto a base di aglio, burro, olio d’oliva ed acciughe salate. Per tradizione è una specialità tipica del periodo della vendemmia, da consumare prevalentemente in autunno ed in inverno. Una delle leggende sulla sua nascita vuole proprio che venisse preparata per togliere ai vendemmiatori il dolce, spesso quasi nauseante, dell’uva pigiata. La bagna càuda si consuma intingendovi vari tipi di verdure di stagione cotte e crude (specialmente cardi, cipolle, peperoni, finocchi, foglie di cavolo crude, topinambur, patate e tante altre). Veniva servita in maniera conviviale, con un unico contenitore (pèila) posto al centro del tavolo.

    Oggi sono diventati tradizionali appositi contenitori in terracotta (fojòt) costituiti da una ciotola a cui è sottoposto un fornellino per mantenere calda la salsa. La bagna càuda può essere accompagnata da un vino rosso corposo (possiamo usare il Barbera, il Nebbiolo, il Barbaresco, o il Dolcetto e in particolare la Freisa di Chieri). Altro classico della cucina torinese è il fritto misto, ‘inventato’ con il rito della macellazione del maiale, e di altri animali, per la necessità di non sprecare nulla. In origine il fritto misto annoverava i sanguinacci, il polmone (fricassà bianca), il fegato (fricassà neira). Col tempo si è arricchito di nuovi ingredienti e numerose sono le versioni: tipici del Monferrato sono i fiori di zucca e gli amaretti.

    Da non perdere il bollito misto, piatto più semplice e monumentale della cucina piemontese. La carne lessata in acqua e sale con un bouquet di verdure e nient’altro: niente condimenti elaborati, niente intingoli. La carne da gustare semplicemente bagnando i bocconi nel sale oppure con la classica sfilata di salse: il bagnetto verde (a base di prezzemolo, acciughe e aglio), il bagnetto rosso (a base di pomodoro), la cognà (mele cotogne e pere cotte nel mosto) la saussa d’avijie (una salsa rinascimentale con miele, noci e senape). Nelle ‘piole’ (le vecchie trattorie) il bollito arriva fumante su grandi patti di porcellana sistemati su un carrello e lo chef si trasformava in sacerdote, officiando un vero e proprio rito con coltellaccio e forchettone a due punte: prima vi servirà la testina (il taglio più grasso) poi la scaramella e i muscoli.

    Dopo la triade principale, gli altri quattro pezzi canonici: lingua, coda, cappone e cotechino. Il rito conviviale del bollito vuole dosi consistenti. Tutti i gusti in tavola in Piemonte possono essere soddisfatti con prodotti tipici della regione. Dagli aperitivi ai famosi grissini torinesi (les petites baton de Turin, di cui era ghiotto Napoleone), ai saporiti formaggi, senza dimenticare i dolci prodotti da maestri pasticceri: dal bonèt (berretto) con cioccolato e amaretti, alle piccole bignole, alla panna e pasticcini vari, dalle torte, soprattutto alle nocciole e al cioccolato Gianduja, allo zabaglione, dal panettone basso (tipo Galup ossia goloso) al torrone alle nocciole. Il tutto annaffiato da straordinari vini rossi e bianchi (44 D.O.C. e D.O.C.G.) e spumanti dolci e secchi, per i quali il Piemonte è famoso in tutto il mondo.

    Guido Novaria

    Pubblicato sul numero di aprile 2011 de L’Alpino.