L'è finitaaa!!!

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    di Vittorio Brunello

    Una tranquilla sera di fine agosto, alla caserma Degol a Strigno e giù per i valloni della Valsugana si erano appena spente le note del silenzio fuori ordinanza delle trombe delle batterie da montagna quando da tutte le finestre del grande edificio esplose un possente l’è finitaaa!!! . Settecento najoni avevano messo in quell’ urlo tutta la forza che avevano in corpo e tutta la speranza che presto anche per loro sarebbe arrivata una serata così. I giorni all’alba venivano contabilizzati con più rigore dei pochi soldi che tintinnavano in tasca, eppure… i cinque sottotenenti destinatari di tanto entusiasmo se ne stavano seduti, come si conviene ai vecchi stanchi, sulla gradinata dell’ingresso principale a lasciare in libertà una valanga di emozioni e sentimenti contrastanti al pensiero di mettere in naftalina la divisa.

    I sudori sulle sabbie arse dal sole di Torre Veneri, in quel di Lecce, i patimenti nel fango e nevischio di Colfiorito, in Umbria, i campi sulle splendide mulattiere delle Dolomiti con le lunghe file di muli, ma anche il gelo delle trune o delle valli dell’Isarco in OP (ordine pubblico) che strappava la pelle dalle mani se appena si sfiorava la canna della carabina e tanti volti di amici, di rompiscatole, di ragazze conosciute appena il tempo di una sosta andavano ad intrigare un momento atteso diciotto mesi ed oltre.

    Ci si sentiva più uomini, più responsabili e attenti nei confronti degli altri, formati da una disciplina a volte non capita ma che obbligava a fare squadra, a rinunciare ad essere protagonisti per concentrare le energie sull’obiettivo da raggiungere. Nessuno era migliore di un altro, ma il pezzo, la batteria, il gruppo dovevano per definizione essere i migliori. Bastava un centrato! per vedere esultare anche il conducente Benvegnuo, incapace di contare perfino i giorni di licenza.

    L’alzabandiera trovava tutti sull’attenti alle prime luci dell’alba e l’inno di Mameli faceva riflettere sulla valanga di carri armati, aerei, missili puntati verso il nostro Paese a poche centinaia di chilometri.
    Nove dicembre 2004, altro scenario. Con la cartolina di precetto parte l’ultima recluta e verrebbe da dire che ora sì l’è finita per tutti. Eppure l’entusiasmo contagia solo il ministro Martino, tanti segretari di partito e non poche mamme. A ostinarsi a considerare sbagliata la scelta del Parlamento, pur nel pieno rispetto delle prerogative del legislatore, restano gli Alpini; ma sono tanti anche quelli che pur riconoscendo l’esigenza di un cambiamento nell’organizzazione e nell’impiego dell’Esercito, hanno dei dubbi che la strada scelta sia quella giusta.

    La stampa ha dato ampio spazio all’evento e il settimanale Famiglia Cristiana ha perfino riservato la copertina alla fine della naja. Tutti ne parlano bene come si conviene ad un funerale civile. Nessuno mette in discussione la funzione educativa del servizio militare e il valore dei giovani che hanno portato le stellette nei 143 anni di storia del nostro Esercito.

    Ai tempi della nostalgia alpina, è vero che la nostra operatività non avrebbe consentito di arrestare il nemico più di qualche settimana o forse meno, ma c’era la volontà, la determinazione ad opporsi a chi minacciava la Patria, intesa in senso lato, compresi i valori della Costituzione e anche la millenaria civiltà cristiana . Oggi abbiamo la sensazione di scivolare verso un Paese devitalizzato, che non conosce il termine dovere e deresponsabilizza i giovani azzerando gli ideali che alimentano l’orgoglio di sentirsi Italiani. Le residue sacralità, passate indenni all’iconoclastia delle ideologie, restano in vita grazie all’entusiasmo del Presidente della Repubblica.

    Ai nostri giovani, che di problemi ne hanno già per conto loro insicurezza nel lavoro, instabilità nei rapporti familiari, ricerca edonistica di un effimero e talvolta tragico benessere si offre con baldanzosa sicurezza l’ abolizione di una tassa sulla gioventù . Un’espressione che continua a suonare bestemmia agli orecchi degli Alpini.