In Iran, fra macerie e desolazione

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    Questo è il resoconto di due volontari delle Unità cinofile da soccorso della sezione ANA di Verona, Fiorenzo Fasoli e Mauro Poggiani, al loro rientro dalla missione in Iran, dove sono stati inviati con una colonna di soccorso del Dipartimento di Protezione civile a Bam, una delle città maggiormente colpite. Hanno operato in un settore della città le cui case erano composte da argilla mista a paglia e che sono crollate seppellendo gli abitanti, senza, purtroppo, lasciare superstiti.
    Pubblichiamo interamente il resoconto, scritto da Fiorenzo Fasoli, che è responsabile delle Unità cinofile della Sezione veronese, per non intaccarne lo spirito e la genuinità che descrivono molto bene quanto hanno trovato e visto.


    In seguito alla chiamata d’intervento del coordinatore nazionale delle Unità Cinofile da Soccorso della Protezione civile A.N.A. Giovanni Martinelli, il 26 dicembre Mauro Poggiani con il pastore tedesco Iron ed io, Fiorenzo Fasoli con il golden retriever Arno, siamo partiti alla volta dell’aeroporto di Pisa con zaini, tenda, sacco a pelo e provviste acquistate presso un autogrill lungo In Iran, fra macerie e desolazione la strada, per un’autonomia di tre giorni. Avevamo anche circa venti litri d’acqua, ovviamente di primaria importanza sia per noi sia per i cani.
    Quattro ore dopo l’allertamento abbiamo raggiunto l’aeroporto militare. Dopo le procedure d’imbarco con cinque vigili del fuoco di Pisa siamo partiti per Roma, dove, svolte le pratiche burocratiche con l’ambasciata iraniana, siamo partiti alla volta dell’Iran con alcuni responsabili del Dipartimento di Protezione civile, tre cinofili di Roma, un medico, due Sorelle della Croce Rossa Italiana e materiale da campo.
    Iniziava così un viaggio lungo e monotono. Per noi ed i nostri cani era la prima esperienza d’imbarco su un aereo militare, un C130. I cani erano nelle loro gabbie, bloccate come tutti i materiali ed i mezzi imbarcati. Il frastuono era molto intenso: i militari comunicavano tra loro per mezzo delle cuffie mentre a noi erano stati offerti tappi per le orecchie, rivelatisi molto utili. Eravamo preoccupati per i cani, speravamo che sopportassero senza troppo stress questa situazione. Dopo circa otto ore l’aereo ha fatto un breve scalo a Takram, per rifornirsi di carburante e dopo altre due ore di volo siamo arrivati al piccolo aeroporto di Bam. Finalmente, dopo tante ore abbiamo potuto parlare tra noi senza urlare.
    Gli avieri hanno iniziato a scaricare materiale e cani, che grazie al cielo, nonostante il lungo viaggio erano molto vivaci. L’aeroporto di Bam è formato da una pista, in pratica una striscia d’asfalto nel deserto.

    Le vetrate del piccolo stabile e della torre di controllo erano in frantumi, alcune tende erano state allestite ai lati della pista ed arrivavano continuamente auto e furgoni carichi di feriti, che venivano trasportati su qualsiasi cosa non c’erano barelle! e dalle tende venivano imbarcati su elicotteri o aerei: l’arrivo e il decollo di essi facevano alzare nuvole di sabbia che travolgevano tutto e tutti.
    Dopo i contatti con le autorità locali siamo stati trasportati alla prima base, all’interno di un albergo di recente costruzione, che mostrava evidenti segni del sisma, ma era in parte agibile. All’esterno c’era la possibilità di piantare le tende e la cucina da campo, il cui arrivo era previsto con il prossimo aereo, in serata. Il responsabile del Dipartimento, Miozzo, si era recato subito a Bam, per prendere i contatti con le autorità locali ed organizzare il nostro intervento, alle prime luci del mattino seguente.




    All’Italia viene destinata una zona alla periferia di Bam, Baravat, dove viene installata la base operativa, con tenda e posto medico, all’interno di una recinzione presidiata dall’esercito locale, formato da giovanissimi ragazzi di leva il cui equipaggiamento era costituito da una piccola pala che portavano legata in cintura con un pezzo di spago e che non abbandonavano mai. La nostra squadra, oltre a noi due cinofili, era composta da tre vigili del fuoco, una guida locale che conosceva bene la zona e la popolazione e che si faceva accompagnare da un amico che parlava un po’ d’inglese e fungeva da interprete. Al nostro seguito avevamo anche una trentina di militari, adibiti ai lavori di scavo.
    Nella zona regnava la disperazione; arrivavano solo ora i primi camion, con viveri, acqua e coperte e che, se si fermavano, venivano letteralmente assaliti dalla gente. Per questo capitava che i camion passassero rallentando soltanto la corsa mentre i militari a bordo lanciavano bottiglie d’acqua, cibo ed anche piccole stufe per scaldarsi, il tutto preso al volo dai disperati di turno.
    L’Italia era stata la prima missione ad arrivare in quel posto e nelle piccole vie avevamo trovato solo macerie. La polvere si alzava da ogni parte, anche camminando. Indossavamo le mascherine, ma a volte era difficile vederci. I nostri cani sopportavano bene la situazione e circa ogni mezz’ora ci fermavamo per farli bere, ributtando nella tanica l’acqua avanzata della ciotola, per evitare ogni spreco in quel luogo desertico.
    Nei punti segnalati dai cani, con la supervisione dei vigili del fuoco, si dava inizio ai lavori di scavo ed allora una parte dei militari al nostro seguito veniva lasciata sul posto con le loro piccole pale mentre gli altri proseguivano le ricerche.
    Dopo molte segnalazioni, era evidente che sotto alle macerie non poteva esserci possibilità di vita, perché i mattoni delle case, formati da blocchi d’argilla e paglia, si erano sgretolati, trasformandosi in polvere. In alcuni casi abbiamo assistito allo scavo ed atteso il ritrovamento delle vittime, per avere una conferma dell’operato dei nostri cani addestrati anche per sentirne soltanto la presenza. I militari iraniani non erano dotati di mascherine e guanti ed i pochi che li usavano li avevano ricevuti dai volontari.
    I recuperi dei corpi erano strazianti. Dopo l’estrazione, tutti si fermavano per una preghiera comunitaria.
    In serata, con l’aiuto delle fotoelettriche dei vigili del fuoco, sono stati recuperati anche i corpi di due bambini; sono stati avvolti in coperte e stesi nel baule di una macchina, per essere portati con gli altri nelle fosse comuni, in periferia.
    La temperatura, durante il giorno, oscillava intorno ai 25 gradi e di notte si abbassava anche a zero. I momenti più belli, per il rapporto con la popolazione, li ho vissuti durante le pause. La gente manteneva sempre una certa distanza dai nostri cani, ma quando ci vedeva fermi in un posto, lentamente si avvicinava, soprattutto i bambini, ed una volta superata la paura iniziale, i piccoli accarezzavano i cani. Altri venivano per farsi fotografare vicino a noi. In quei momenti vedevamo i sorrisi sui loro volti e penso che per loro significasse, per un breve istante, smettere di pensare alla tragedia che li aveva colpiti così duramente. Alcuni bambini volevano sapere il nome dei cani e noi mostravamo loro come si scriveva, indicandolo sulla targhetta.
    Scrivevano allora con una penna, sulla mano, il loro nome, con un bellissimo disegno. Altre persone ci offrivano pistacchi e datteri, o arance appena raccolte ma senza una goccia di succo all’interno, a causa della siccità.
    Dopo tre giorni di lavoro con i nostri cani, durante i quali continuavano le scosse d’assestamento che di notte non ci facevano dormire, siamo partiti alla volta dell’aeroporto di Bam, per fare ritorno in Italia. È stata un’esperienza importante, che abbiamo affrontato con forte motivazione e professionalità. Proviamo amarezza per non aver trovato alcuna persona viva sotto le macerie, purtroppo la situazione particolare ha consentito la sopravvivenza di pochissime persone.




    La città di Bam prima del sisma.