I 60 anni della Costituzione

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    Il primo gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione. Non sono state poche le difficoltà incontrate dai Padri Costituenti a formulare e ad approvare un testo che fosse garante dei diritti e doveri del cittadino nei confronti di uno Stato democratico. Dalle macerie di una guerra disastrosa e nonostante una forte contrapposizione ideologica, seppero trovare slancio e concordia per ridare fiducia al Paese.

    Dopo sessant’anni è legittimo fare dei bilanci e porci la domanda: è tempo di cambiare qualche cosa o addirittura molto? In fatto di longevità gli esempi che ci vengono dai paesi di più antica democrazia sono contrastanti. L’Inghilterra e gli Stati Uniti hanno da secoli lo stesso testo e considerano una bestemmia il cambiamento di una sola virgola. La Francia, culla del pensiero politico occidentale, è arrivata invece alla Quinta Repubblica in 160 anni.

    Nessuno scandalo quindi se, tenendo conto dell’aspirazione degli italiani ad essere governati meglio e non dalle interessate alchimie elettorali dei partiti, si arrivasse a delle correzioni per far funzionare le Istituzioni e per restituire al cittadino un po’ di fiducia nello Stato. Senza pretese di fare bilanci, diamo uno sguardo ad alcuni traguardi raggiunti dall’Italia repubblicana. La crescita economica è stata costante e il modo di vivere è cambiato radicalmente.

    Il nostro Paese, terra di emigranti fino pochi decenni fa, è diventato miraggio di benessere per tanti diseredati di tutto il mondo. Il livello culturale dei nostri giovani, sensibilmente cresciuto, consente a non pochi di occupare posti di prestigio nelle università e nelle aziende più qualificate in ogni parte del mondo. Se è innegabile che la nostra scuola soffre le difficoltà denunciate dalla stampa, è altrettanto vero che essa consente, a chi ha talenti e volontà, a prescindere o quasi dal reddito, di istruirsi.

    L’assistenza sanitaria, senza nascondere disfunzioni e squilibri tra regione e regione, garantisce a tutti una sufficiente tutela, che in altri Paesi, molto più ricchi del nostro, non c’è. La sicurezza è un tasto dolente. Alla criminalità organizzata di stampo mafioso, che ha raggiunto dimensioni da azienda planetaria, si aggiunge il fenomeno preoccupante dell’inserimento di ulteriori soggetti pericolosi derivante dai movimenti migratori.

    Le Forze dell’Ordine però operano con grande professionalità, nonostante una legislazione complicata che sembra pensata e voluta per tutelare i malfattori. Piccoli e soprattutto grandi. In tanti campi si registra una crescita che si traduce in qualità di vita. E in questo non siamo secondi a nessuno. Obiezione: allora, come vanno lette le classifiche dei più qualificati giornali internazionali che ci collocano tra i più ‘depressi’ del mondo?

    Spostiamo l’obiettivo su quello che non funziona. La gestione della ‘macchina Stato’, con un andamento in costante degrado, è stata, e continua ad essere, per essere generosi, inadeguata. Debito pubblico, ingovernabilità, costo della politica, mancanza di senso dello Stato, scarso rispetto dei principi etici creano sfiducia e diffuso malessere.

    Aggiungiamo, da parte nostra, propensione ad autoflagellarci, allergia al rispetto delle regole, congenita incapacità a selezionare la classe politica e il quadro diventa davvero deprimente. Ma fortunatamente il Paese Italia non è quello della politica, dei giornali, delle statistiche. Oltre vent’anni fa, il più quotato quotidiano francese titolava a caratteri cubitali: l’Italia in agonia.

    Ora abbiamo superato l’Inghilterra nelle esportazioni. La Costituzione, approvata dall’Assemblea con 463 voti favorevoli e poco più di 60 contrari, porta la firma di De Nicola, De Gasperi, Terracini, rispettivamente presidente della Repubblica, del Consiglio dei Ministri e dell’Assemblea Costituente. Tre uomini lontani per carattere, formazione politica e storie personali, ma animati da una sola volontà: restituire all’Italia dignità e rispetto. Proprio quello che manca oggi.

    Vittorio Brunello