Grazie con tutto il cuore

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    “Ce l’ho dentro” Cesare Lavizzari e non posso non esternarlo a lei, pur sapendo che, tra le mille lettere, anche la mia non possa essere letta… ma lo faccio ugualmente. Il “mio” alpino è Antonio Cason da un po’ di anni Presidente della Sezione Cadore e in Cdn con Cesare; io sono sua moglie da 56 anni, grazie a Dio. Il 10 febbraio abbiamo festeggiato i 60 anni dal nostro primo incontro; tutti sempre all’insegna del cappello alpino che ha dato un’impronta indelebile alla nostra grande famiglia. Ero amica di Cesare, un’amica un po’ mamma, vista l’età; mi sentivo tale perché dentro quel grande alpino che si distingueva sugli altri, vedevo e sentivo tutto ciò che lei don Bruno ha sentito, capito ed espresso sull’editoriale di febbraio: in tre righe c’è tutto Cesare nella sua interiorità. Lo leggo e lo rileggo. Ho conosciuto Cesare camminando insieme sulle montagne di numerosi pellegrinaggi dell’Ana, l’ho incontrato in tante manifestazioni nazionali. Fu proprio nel 2018 a Faedis, per il Premio Fedeltà alla Montagna che ci intrattenemmo a lungo, più di sempre, sotto un tendone con Antonio e Beppe e lui non finiva più di raccontare, era piacevolissimo. Avessi dovuto descriverlo, avrei toccato tutti gli aspetti visti ed espressi nel suo editoriale. Sono pienamente d’accordo anche nella seconda parte: Cesare doveva essere un battitore libero, troppo carismatico per essere “ingabbiato” e, meno male che ha potuto esserlo fino in fondo, senza nulla togliere ai suoi grandi pregi, almeno per chi ben lo conosceva. Voglio aggiungere un particolare: a Milano, dopo la Messa di Natale mi disse: “Non avrò mai il coraggio di prendere in mano l’Eucarestia, non mi sento degno”. Cesare Lavizzari era un gigante buono, un alpino dal cuore ardente, un bambinone che sapeva vedere le piccole cose nelle grandi montagne. Ha dato molto a tanti e molto ci mancherà, ma noi, vivendo e pregando, non lo dimenticheremo. Caro don Bruno lei ha il dono grande di cogliere l’umanità delle persone, di capire l’animo dell’uomo attraverso qualsiasi manifestazione, sa leggere con gli occhi del cuore, della fede e dell’esperienza, sa tradurre sentimenti in parole raggiungibili a tutti i lettori: grazie con tutto il cuore.

    Marisa De Lazzer, Tai di Cadore (Belluno)

    Gentile signora Marisa, innanzitutto mi lasci dire che non credo all’anagrafe che dichiara tra le righe. La prima cosa che mi ha colpito, infatti, del suo scritto è l’aspetto grafico: il tratto sicuro e giovanile, la vivacità intellettuale fatta di passione e argomentare incalzante, dicono uno stile cadorino e alpino a tutto tondo. Pubblico volentieri il suo scritto, di cui la ringrazio, per due ragioni. Primo perché fa sintesi di quanto mi hanno riferito, personalmente, telefonicamente e per lettera, tanti amici di Cesare e lettori de L’Alpino. Un suo amico speciale mi ha detto testualmente: «tu non hai descritto Cesare, la tua è una Tac». Il secondo motivo è per compensare l’amarezza che mi è venuta dall’attacco che mi è stato fatto dalla Sezione di Milano, con un editoriale del suo Presidente, dove mi si accusa di aver violato la privacy di Cesare e di averlo definito inadeguato a governare. Né più né meno. Non sapendo se tutto questo sia amore per Cesare, malafede o qualcos’altro, lascio alla grande famiglia alpina l’onestà di giudizio. Da parte mia so solo che quell’editoriale veniva dal cuore ed era un atto di grande stima e rispetto verso di lui.