Giuseppe De Candia, eroe dimenticato e ritrovato

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    Chi s’interessa alle tante vicende della Grande Guerra, ai suoi infiniti meandri umani e personali, sa come ancor oggi, a 90 anni di distanza, resti ampio spazio per la scoperta di qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di commovente, capace magari di collegare d’incanto terre lontane e di superare d’un balzo quasi un secolo di storia nazionale. Basta talvolta un caso fortuito, una strana coincidenza, a riannodare fili che si credeva esizialmente spezzati.

    A portare le Dolomiti accanto al Gennargentu, a ridare a due figlie ottuagenarie la verità sulla morte del padre, è stata solo qualche anno fa la scoperta della vera identità di un soldato dato per disperso negli scontri del dopo Caporetto, nel novembre 1917: Giuseppe De Candia originario di San Teodoro, provincia di Olbia e Tempio Pausania (allora, nel 1917, Sassari), del cui vero destino i familiari nulla sapevano. La vicenda ruota attorno ai drammatici frangenti dell’ultima resistenza tentata dai battaglioni Monte Nero e Monte Assietta sulle pendici di Monte Piduel, presso Domegge di Cadore, l’8 novembre 1917, per salvare la ritirata di molti reparti della IV Armata.

    Gli austriaci, provenienti da Lorenzago, erano già arrivati alle rovine del ponte Cidolo, sotto Domegge, e tentavano di passare il torrente Talagona per raggiungere la frazione di Vallesella. Gli alpini, con i 40 bersaglieri del col. Foglia reduci dai combattimenti del passo Mauria e con alcuni cannoni resistettero fino alle ore 16 circa, allorché si ritirarono verso Longarone. Solo molti giorni dopo, decantatosi anche il bailamme della prima invasione nemica, qualcuno ripercorse quei boschi e scoprì i sacrifici versati alle rispettive Patrie: il 20 novembre fu trovato Giuseppe De Candia, il 25 Karl Stanfner. Altri corpi, come quello del volontario alpino Osvaldo Marchetti, dovettero attendere più a lungo, anni addirittura.

    Il nostro De Candia era rimasto ferito e fu abbandonato dai compagni al momento della definitiva ritirata: probabilmente venne meno a poco a poco, giacché ritrovarono vicino a lui una matita e un foglio di carta su cui aveva scritto qualcosa, forse il suo testamento, nelle lente ore dell’agonia. Forse sperava nell’aiuto del nemico, forse sognava un ospedaletto da campo, ma nessuno si ricordò di lui, nessuno ebbe l’idea o il coraggio di andare a curiosare nel bosco… Vincenzo Palmieri, che nel lontano 1935 scrisse un libro sulla ritirata dalla Carnia e dal Cadore (‘Non mi arrendo, no, per Dio!’), con la tipica enfasi di quegli anni, lo ricorda come stoico guerriero che attende la morte senza maledizioni, con il pensiero rivolto alla sua lontana Sardegna .

    Noi non sappiamo se sulla sua bocca fiorirono parole belle o brutte, lo immaginiamo solo vittima di un destino strano e perverso: nel momento in cui molti reparti si sfaldavano e per i nostri paesi trascorrevano lunghe teorie di soldati avviliti ed esausti, c’era chi, come lui, portava fino in fondo la consegna ricevuta, quella di resistere per poche ore per aiutare gli altri. Nel 1998, mossi da curiosità avevamo effettuato una piccola indagine e, trovato sul Registro dei Morti di Domegge il luogo di nascita di De Candia, ci eravamo messi in contatto con il Municipio di Posada, in Sardegna, appurando che il De Candia era effettivamente nato nella frazione di San Teodoro, a nord est di Nuoro, il 16 gennaio 1876. Nel 1917 era dunque quasi quarantenne e lasciava 4 figli in tenera età, avuti dalla seconda moglie Giovanna Antonia Meloni, dopo che la prima, Salvatorica Pittorra, era morta di parto dopo soli 10 mesi di matrimonio.

    Familiari e compaesani sapevano solo che il De Candia era stato dato per disperso, cosicché l’intero paese si era sentito di dover tributare, nonostante i tanti anni ormai passati, il giusto ringraziamento a questo suo figlio valoroso riaffiorato miracolosamente dalla nebbia. Inoltre due nipoti del De Candia, Salvatore e Francesco Bassi, erano venuti in Cadore e nell’Ampezzano, rendendo omaggio alla salma del nonno nel cimitero ossario di Pocol, presso Cortina, dove il corpo del Caduto fu traslato negli anni ’20 dal cimitero di Domegge, visitando le trincee del Passo Mauria, dove il nonno combatté il 6 e 7 novembre con i bersaglieri del capitano Foglia ed infine il luogo ove cadde il giorno 8 novembre, alle pendici di Piduel, sui prati di Cologna di fronte a Vallesella.

    Oggi dei quattro figli dell’alpino sardo rimane in vita Emilia Elvira di 91 anni, che da San Teodoro ha voluto mandarci una vecchia foto del loro padre in divisa, immortalato ad Auronzo di Cadore. Non c’è che dire: la memoria storica ha attraversato davvero il Tirreno per due volte, andata e ritorno. Quasi fuori tempo massimo, ma sempre per servire conoscenza e coscienza, sia dei sardi, sia dei cadorini. Così i gruppi alpini di Domegge, guidato da Giovanni De Bernardo, e di Vigo di Cadore guidato da Giuseppe Vecellio, assieme ai Comuni di Domegge e San Teodoro, all’Associazione Nazionale Bersaglieri di Belluno, hanno messo a punto il programma per la celebrazione del 90º anniversario degli scontri del dopo Caporetto in Cadore, al fine di onorare la memoria dei Caduti italiani ed austriaci.

    Domenica 15 luglio a Casera Doana (mt. 1900), presso Col Pioi, la commovente cerimonia aperta con l’alza bandiera e l’inno nazionale. Alle note del silenzio vengono letti, per la prima volta dopo 90 anni, i nomi dei Caduti italiani ed austriaci. Un corteo ha accompagnato la croce fin sul Col Pioi, dove è stata posizionata. Vi si legge: Chiamati qui al sacrificio il 7 novembre 1917 per dar respiro alla ritirata della IV Armata dal Cadore 4 ignoti bersaglieri a chi passa chiedono una preghiera che vinca l’oblio .

    Walter Musizza e Giovanni De Donà