Fratelli d'Italia

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    Costalovara, ore otto del mattino di una giornata qualsiasi d’agosto. Sul piazzale antistante la bella costruzione del Soggiorno Alpino due bambinetti, tra i quaranta lì in vacanza da qualche settimana, arrivati ai piedi dei pennoni che dominano l’ampio tappeto erboso con uno scatto da centometristi, attendono le note dell’inno nazionale per l’alzabandiera, il cielo d’un azzurro smagliante dà una sottolineatura particolare ai simboli dell’Italia e dell’Europa. Sull’altipiano del Renon sventolano ormai solo grandi striscioni bianco rossi a marcare l’identità del Sud Tirolo.

    L’inno di Mameli cantato con slancio dai veci alpini presenti e dai ragazzi, in crescendo, e un sì! finale da stadio, si perde nei boschi di larici, lasciando nei pensieri un tormentato quesito: quale Italia chiamò?Quella dei fratelli Bandiera, delle Repubbliche di Roma o di Venezia, di Cesare Battisti?Sicuramente no. È ben vero che sono passati duecento anni dal primo tricolore della Repubblica Cisalpina, quasi centocinquanta dall’Unità d’Italia, oltre sessanta dall’avvento della Repubblica e nel nostro Stivale, nel frattempo, è successo di tutto.

    Cambiamenti epocali nel campo dell’economia, della gestione dello Stato, nel modo di concepire i rapporti con l’autorità costituita e le relazioni internazionali. Abbiamo sicuramente ripulito la nostra cultura da ambizioni avventuristiche e bellicose, ci siamo però subito impantanati sul terreno della contrapposizione ideologica, per finire nell’egoismo consumistico e nell’indifferenza.

    Sessant’anni di pace, progresso economico, grandi conquiste nella qualità della vita hanno fatto dimenticare il faticoso processo di crescita di un Paese che ha saputo risollevarsi dal momento più buio della sua Storia, l’8 settembre 1943, e ha trovato le energie, la determinazione, la concordia per darsi una Costituzione di alto profilo civile e democratico, collocandosi tra i primi paesi del mondo.

    Ora, purtroppo, dobbiamo riconoscere che alcuni principi fondamentali dettati dai Costituenti sono minati da una decadenza morale che indebolisce l’autorità dello Stato, già di per sè fragile, e investe settori chiave della vita del Paese. L’economia, con colossali truffe ai danni soprattutto di cittadini onesti. La malavita, sempre presente in alcune regioni, condiziona l’amministrazione pubblica, provoca incendi, gestisce o impedisce lo smaltimento dei rifiuti, manovra gigantesche quantità di denaro, costringe magistrati e scrittori a vivere in luoghi segreti. Ma una volta non erano solo i malfattori a doversi nascondere?

    La politica, per sua vocazione interprete e garante dei diritti dei cittadini, s’è incancrenita in una spirale perversa di delegittimazione degli avversari e di ricerca del consenso ad ogni costo, con un uso scandaloso delle risorse pubbliche, o ancora peggio, con la sudditanza ferrea alle lobby di partito. Perfino in Parlamento.

    Nessuno ritiene che tutto questo accada solo per responsabilità degli altri. I parlamentari li abbiamo votati noi. Anche se non scelti. Il diffuso sistema truffaldino che si allarga senza ritegno, più che provocare sdegno, incontra spesso simpatia e viene anche ostentato come segno di successo. Eppure l’Italia vera è un’altra: lavora, produce, inventa, compete, rispetta le leggi, paga le tasse e dedica parte del suo tempo al volontariato. Non meno di altri paesi evoluti nel mondo.

    C’è qualcosa che non quadra e dobbiamo, in nome della nostra indipendenza dalla politica, cominciare a porre domande ed esigere risposte. Diverse da quelle date a giornali e televisioni. Il presidente Ciampi ha tentato di recuperare dignità al tricolore, all’inno nazionale, nel nome dell’unità e della continuità di una tradizione radicata nella parte migliore della nostra storia. Un’iniezione di sano, orgoglioso patriottismo. Ma si ha la sensazione di una risposta di facciata. Si continua a litigare e a dividersi su tutto.

    Se l’Italia è ancora desta, ha appeso a un salice l’elmo di Scipio.

    Vittorio Brunello