lecito sperare nel nuovo anno

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    L’anno che se n’è andato non è stato entusiasmante. Un anno di crisi che ha condizionato la vita sociale ininterrottamente da gennaio a dicembre, ha colpito l’economia, il lavoro e modificato il modello di vita delle famiglie. Si chiude con proteste di piazza di tale virulenza da riportarci agli anni di piombo. Manca il lavoro, soprattutto ai giovani che pensano smarriti al loro futuro. Ma c’è una crisi più preoccupante e profonda: morale e soprattutto di identità. Tanto più assurda e divergente nei confronti dello spirito che dovrebbe pervaderci nell’anno in cui dovremmo festeggiare il 150º dell’Unità d’Italia. Il condizionale è d’obbligo, visto il tiepido entusiasmo per le celebrazioni della classe politica erede di quella che 150 anni fa pensava solo al bene dello Stato.

    La crisi di identità, avviata da tempo, si è manifestata nelle piccole cose: presunte opere d’arte con la rana in croce; lo scroscio del water al suono dell’Inno di Mameli, la rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche, il vilipendio della bandiera, il Natale trasformato in festa bianca , o festa della luce , nelle scuole materne ed elementari in tante province da Nord a Sud, il misconoscimento dei simboli e degli archetipi collettivi che fanno di noi ciò che siamo. E poi l’abbandono dei nostri costumi legati a un diritto certo e umano, alla solidarietà sociale, all’accoglienza, all’attenzione verso i giovani.

    Gli ultimi episodi, pur diversi fra loro, s’inquadrano in questa strategia dell’appiattimento dei valori. Uno è dato da una trovata pubblicitaria che fa parlare in dialetto locale i protagonisti. Fermo restando che i dialetti, spesso vere e proprie lingue, sono patrimonio da difendere, marcare la differenza linguistica nell’anno dell’Unità appare quantomeno poco opportuno. Il secondo caso è più sintomatico e si inquadra in quel malinteso senso dell’accoglienza che privilegia l’altrui cultura mortificando la propria e negando ai ragazzi il diritto di conoscersi e di rispettarsi in una società che sarà sempre più multietnica, multireligiosa e multirazziale. È successo nel Varesotto, dove al parroco è stato negato l’accesso al complesso scolastico formato da scuola materna, elementare e media per la tradizionale benedizione di Natale.

    Un genitore aveva protestato per questa consuetudine, difendendo la laicità della scuola e il consiglio scolastico gli ha dato ragione. Così il parroco ha fatto sapere che avrebbe benedetto i ragazzi all’uscita, dal piazzale esterno. Si dirà, un caso estremo, così come sono casi estremi certi episodi di razzismo dei quali i giornali si occupano spesso. Viene da pensare se siamo davvero un Paese che è stato la culla del diritto, rispettoso della legge e di codici morali che guidino e siano di esempio ai giovani. Eppure, il rovescio della medaglia pesa dall’altra parte, anche se non si vede, non fa rumore, non scende in piazza. È fatto da chi lavora seriamente, chi studia con impegno, chi si sacrifica per gli altri, rispetta la legge, non dileggia i simboli, fa onore alla nostra tradizione di rispetto per gli altri.

    C’è un esercito di giovani che chiedono di poter crescere. Lo abbiamo sperimentato con i ragazzi e ragazze della mininaja: quel breve periodo li ha fatti rinascere, ha permesso loro di comprendere che le conquiste sono frutto di sacrificio e di impegno. E ci sono tante, tantissime famiglie cellula base del vivere comune che costituiscono quella piccola patria suggerita da Benedetto Croce, da far confluire nella Patria nazionale e infine in una Patria ancora più grande che si chiama Europa. Ora che siamo all’inizio dell’anno, è lecito fare revisioni, sperare in un anno migliore. Gli alpini hanno le carte in regola: lavorano in silenzio e fanno, lavorano per gli altri e diventano un punto di riferimento; nelle cerimonie in cui sono protagonisti vengono definiti da tanti rappresentanti pubblici testimoni dei valori dell’Italia migliore . È troppo chiedere coerenza a quanti, a parole, riconoscono tutto questo?

    Pubblicato sul numero di gennaio 2011 de L’Alpino.