Diversità di vedute

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    Ho letto con sconcerto la risposta data alla lettera di Giuseppe Bertoldi dal titolo “invasori o difensori”, pubblicata nel numero di marzo. Una tale risposta denota la classica volontà ideologica di nascondere la realtà, realtà che, ovviamente, all’ideologia non piace e fa male. Ridurre la verità a “semplificazione banalizzante” è una mancanza di rispetto per la stessa verità e per tutte le persone che sono morte a causa di quelle guerre. I soldati italiani non sono mai stati “chiamati” a difendere i “sacri confini della Patria”, ma “obbligati” a combattere guerre di aggressione e di invasione, a morire per le brame espansionistiche dei Savoia prima e dei fascisti poi. Ricordo che nella Prima guerra mondiale i soldati che venivano mandati all’assalto (macello) uscivano dalle trincee gridando “Savoia” e non “Italia”. Da quando l’Italia è nata nel 1861 tutte le guerre combattute sono state guerre di invasione. Venti guerre dichiarate, venti guerre perse. “L’oggettiva ragione dei fatti” è la realtà e non l’ideologia o la propaganda. Le chiedo, pertanto, di portare rispetto per la verità e per i morti.

    Michele Ferraro, Padova

    Caro lettore, a costo di indignarla ulteriormente ribadisco che ridurre la storia a bianco e nero, santi e peccatori, vittime e carnefici è ideologico e manicheo. La storia è di tale complessità che andrebbe interpretata sempre nel contesto in cui si è sviluppata, evitando i moralismi a posteriori. Pensi alle campagne napoleoniche, alle invasioni islamiche, all’espansionismo austro-ungarico. Pensi al colonialismo. Oggi ci fa indignare, ma allora era prassi pacificamente accettata e condivisa. Quanto alla Prima guerra mondiale, mi limito a suggerirle di andare a leggersi qualche serio libro di storia per capire la complessità delle ragioni, e non solo politiche, che portarono l’Italia a scendere in guerra. Scoprirebbe che non ci furono solo degli “obbligati”, come li chiama lei e non ci furono soltanto mire espansionistiche. Questo non vuol dire giustificare le guerre e neppure beatificarle in nome degli ideali e degli esempi di alpini eroici. Vuol dire rendersi semplicemente conto che furono i nazionalismi e le mire espansionistiche degli Stati più potenti d’Europa a creare le premesse perché scoppiasse il conflitto, nel quale fummo protagonisti ma anche vittime dell’espansionismo altrui.


    Riguardo alla lettera “Invasori e vinti” mi trovo perfettamente d’accordo sulla seconda parte, dichiarata come “invasione” da parte nostra dell’Etiopia, Albania, Grecia e Russia. Erano le ambizioni pazzesche del fascismo che pensava di ricreare l’Impero Romano a spese della sovranità altrui. Non sono invece d’accordo sulla prima parte che classifica allo stesso modo la Prima guerra mondiale. Il Trentino-Alto Adige e la Venezia Giulia non erano territori stranieri, ma italiani come posizione geografica, come popolazione, storia, cultura e lingua (anche se nella sola provincia di Bolzano si parla anche tedesco; in tutte le zone di confine tra gli stati europei succede questo, vedi lo spagnolo parlato a Lourdes e l’italiano parlato in Svizzera nel Canton Ticino). L’Austria aveva invaso le nostre terre nei secoli, occupandole tutte salvo il Piemonte. Noi, iniziando dalla Seconda guerra d’indipendenza del 1848 fino alla Terza del 1866 le abbiamo liberate, creando nuovamente un’Italia libera, proclamando Roma come sua capitale nel 1871, e ponendo la Casa Savoia ai vertici del nuovo Stato. Tutto ciò anche col valido e prezioso ausilio dei nostri alpini. Nel 1914-1915 i governi italiani Giolitti, Salandra e Nitti fecero di tutto per cercare di convocare l’Austria a una conferenza per risolvere pacificamente la questione. L’Austria rispose sempre picche, con la scusa che aveva subito l’attentato di Sarajevo. E allora non restò che dichiararle la guerra, anche se la cosa non era affatto gradita ai succitati governi italiani. Grazie per l’accoglienza ed evviva sempre i nostri alpini!

    Cesare Parigi, Monza

    Con questa lettera che bilancia la precedente vorrei dare voce ai tanti che hanno scritto sullo stesso argomento. Come risulta evidente i punti di vista sono legittimamente diversi, giusto per dire che la verità è sempre sinfonica, ben più grande dei punti di vista soggettivi. Il ché ci invita ad approfondire senza che la diversità di vedute diventi occasione per dividerci o polemizzare.