Da duchi a Chambery a re d'Italia

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    Difficile immaginare la storia d’Italia senza i Savoia: difficile, probabilmente, immaginare l’Italia stessa, senza quella plurisecolare dinastia di origine borgognona (i conti di Moriana, diventati nell’XI secolo conti di Savoia, nel XV sec. duchi e dall’inizio del Settecento re di Sardegna) che tra il 1859 e il 1870 unifica la penisola in un solo Stato. Nel periodo postunitario si riteneva che il destino dei Savoia e quello dell’Italia si fossero incontrati a partire dal 1563, quando il duca Emanuele Filiberto I aveva trasferito la capitale del suo Stato da Chambery a Torino: secondo l’interpretazione celebrativa dell’epoca, da quel momento i Savoia avrebbero pensato all’unificazione della penisola, realizzandola finalmente a metà Ottocento.

    La realtà storica è un po’ diversa: Emanuele Filiberto spostò la capitale al di qua delle Alpi perché in Francia c’era uno Stato nazionale ormai consolidato e non era possibile immaginare espansioni verso nord; in Italia, invece, c’era frammentazione territoriale ed era dunque possibile ingrandire lo stato in direzione della Liguria e della Lombardia. Tutta la politica sabauda dei secoli successivi mirò a Genova e Milano come massimi traguardi della propria ambizione espansionistica.

    Le cose cambiarono radicalmente nella prima metà dell’Ottocento, dopo che l’esperienza napoleonica aveva risvegliato il senso della nazionalità e dopo che il congresso di Vienna all’opposto aveva trasformato la penisola in un territorio controllato direttamente o indirettamente dall’Impero austriaco. La spinta ideale, che attraversava la cultura romantica del tempo, coniugava facilmente il principio di libertà con quello di indipendenza , trasformando il sogno dell’unificazione in una priorità dell’agenda politica.

    Ma era soprattutto la trasformazione economica del Paese a spingere in quella direzione e a fare dei Savoia un punto di riferimento imprescindibile. La borghesia produttiva di Torino, di Milano, di Venezia, di Firenze, ma anche di Napoli, di Palermo e di tanti altri centri piccoli e grandi del Nord e del Sud, aveva bisogno di uno Stato nazionale per potersi sviluppare. I confini dei piccoli Stati preunitari erano troppo angusti per sostenere un’economia che voleva crescere e competere con Paesi in via di rapida industrializzazione come la Francia o l’Inghilterra.

    La borghesia aveva bisogno di uno Stato che sapesse, all’occorrenza, difendere i suoi prodotti applicando misure di protezionismo doganale; aveva bisogno di un mercato esteso dalle Alpi al Mediterraneo, nel quale i prodotti potessero circolare liberamente; aveva bisogno di una scuola pubblica che preparasse i Quadri da inserire nella produzione; aveva bisogno di strade e ferrovie che facilitassero il commercio; aveva bisogno di crediti agevolati.

    Per garantire tutto questo non bastavano realtà come il Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie o il Regno di Sardegna: occorreva di più, occorreva uno Stato Nazionale. In altre parole, occorreva l’Italia. Ma attraverso quale strada realizzare l’Italia unita?Se da un lato era interessata alle garanzie dello Stato nazionale, la borghesia produttiva era, dall’altro, preoccupata di non innescare movimenti insurrezionali che potessero sfuggirle di mano: l’esperienza giacobina del 1793 ’94 era ancora vicina e rimaneva vivo il timore di forze radicali che mettessero in discussione l’ordine sociale costituito.

    Per fare l’Italia senza rischio di derive serviva una monarchia costituzionalista e moderata, che a livello internazionale fosse sufficientemente credibile per guidare il moto risorgimentale e che a livello interno fosse abbastanza solida da contrastare le spinte più radicali. Per questo compito non erano utilizzabili né i Borboni di Napoli (troppo chiusi in una politica di puro conservatorismo), né i Granduchi di Toscana (emanazione del potere austriaco), né il Papa: restavano i Savoia, dall’XI secolo sulla scena della politica europea, capaci di difendere l’integrità del proprio Stato anche in congiunture militari difficili, dotati di un esercito non troppo numeroso ma ben organizzato, saldamente ancorati allo Statuto del 1848.

    Il Risorgimento é nato così: i Savoia hanno prestato alla borghesia italiana la propria corona per costruire lo Stato unitario e, come compenso, hanno regnato su quello stesso Stato. E per sottolineare la continuità della loro storia, non hanno cambiato la numerazione dinastica: Vittorio Emanuele II re di Sardegna è diventato automaticamente Vittorio Emanuele II re d’Italia (facendo del nostro Paese l’unico stato al mondo che ha il primo re che si chiama già secondo !).

    Gianni Oliva
    Giornalista pubblicista e storico

    Pubblicato sul numero di dicembre 2010 de L’Alpino.