Con le mani nel fango

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    Ottobre e novembre sono stati mesi difficili. Fiumi ingrossati e valanghe di fango hanno ferito città e paesi in tutto il Nord Italia. Ai cittadini che hanno perso tutto rimane l’amara sensazione di impotenza e la considerazione dell’approssimazione, senza scusanti, nella cura del territorio. «Intervenire dopo è molto più difficile, occorrerebbe fare una seria e mirata prevenzione…», un’ovvietà che in molti declamano, soprattutto i politici, aggiungendo che manca la copertura finanziaria. E una programmazione seria, sarebbe da aggiungere.

    L’inefficienza inizia ad evidenziarsi già con il malcostume del rimpallo delle responsabilità: lo Stato guarda alle Regioni, queste riversano sulle Provincie che puntano il dito verso i Comuni. Un’applicazione del principio della sussidiarietà dell’inefficienza in cui, alla fine, è il cittadino a rimanere con il cerino in mano. Davanti alla telecamera un sindaco di un comune montano, ammette imbarazzato: «La pulizia del torrente tocca alla Provincia e al Comune ad anni alterni: purtroppo è da tre anni che non si interviene per ripulire l’alveo». Intanto l’acqua, come la lama di un rasoio, ha tagliato in due il paese. E il morto, lì, non c’è stato per un soffio.

    Quando il fango arriva, ci sono i volontari e l’Esercito che danno una mano. Gli uomini e le donne della Protezione Civile ANA partecipano ogni anno a numerose esercitazioni su tutto il territorio nazionale, completate dai corsi di formazione promossi dal Dipartimento nazionale. È un modo per tenersi pronti ma che, al contempo, permette di mettere in sicurezza una infinitesimale parte delle zone dissestate, disboscando gli infestanti su alcuni torrenti, sistemando qualche argine o simulando situazioni critiche. Lezioni di pratica e teoria che purtroppo sempre più spesso trovano applicazione nel soccorso alla popolazione.

    La notte di giovedì 9 ottobre è arrivato il messaggio che il torrente Bisagno stava per esondare; erano le 23 e 22 minuti. Noi genovesi conosciamo bene cosa può voler dire quest’allerta. Quando i nostri rivi escono dagli alvei, così impetuosi e imprevedibili, così attigui all’abitato, vuol dire che i danni saranno enormi.

    È per questo che ci siamo mossi subito. Un veloce giro di telefonate, tutti i capisquadra sono pronti. Incrociamo le dita ma non serve. Il Bisagno esce dagli argini, anche il Fereggiano. Pioggia a dirotto, talmente fitta che sembra nebbia. Le strade sono un fiume. Ovunque. La squadra di pronto impiego è già costituita nelle prime ore della notte. Ma per gli interventi dobbiamo aspettare le sette della mattina e l’ok formale delle autorità. Pronti gli uomini, accesi i motori dei mezzi. Tre automezzi, motopompe, pale, attrezzature e volontari sono a disposizione delle autorità alle ore 8 della mattina seguente.

    Siamo già confluiti al punto di raccolta concordato con il Comune. E continua a piovere a dirotto. La nostra Protezione Civile mette in campo fra i trenta e i quaranta uomini nei primi giorni, impegnati a Genova (quartieri di Marassi, Centro, Foce) e nell’entroterra flagellato: Savignone, Montoggio, Campoligure. Sul territorio comunale permane ad oggi una aliquota di almeno 10 uomini giorno, da mattina a sera. Spalano nel fango tutti insieme: i volontari delle squadre territoriali, quelli della squadra cinofila, mentre l’alpinistica abbandona per un attimo il lavoro in vallata per calarsi con noi, ma nelle intercapedini dei palazzi. Sono con noi quelli della squadra Sanità e gli specialisti delle telecomunicazioni.

    Le nostre motopompe lavorano a ritmo continuo. Incontriamo gli amici del nucleo di Protezione Civile ANA di Imperia e lavoriamo tutti insieme. Si attiva la nostra squadra vettovagliamento: è grazie a loro se ci siamo concessi un pasto caldo e un caffè. Unico vezzo in una giornata nel fango.

    Massimo Rossi
    nucleo di P.C. della sezione di Genova

    ***

    Ore 7,30 del 13 ottobre 2014: ancora acqua, fango e tanta disperazione. Sono passati vent’anni dalla disastrosa alluvione del ’94 che colpì il Piemonte e che causò molti danni e tante vittime. La Provincia e la città di Alessandria furono le più disastrate per la vastità di territorio e per il numero degli abitanti. Il preallarme c’è stato il venerdì, l’allarme il sabato.

    Lunedì non siamo stati colti impreparati perché avere le squadre pronte per partire ci ha permesso di intervenire con tempestività sul vicino territorio ligure, nel paese di Montoggio, facendo base logistica a Casella, mentre era ancora in corso l’evento calamitoso. La colonna mobile regionale, partita la domenica per la Liguria, è rientrata nella notte tra lunedì e martedì: le squadre lasciate di riserva al presidio territoriale di Alessandria si sono mosse per i centri urbani più importanti della provincia (Novi Ligure, Tortona, Viguzzolo).

    L’unità di P.C. della sezione di Alessandria, già in movimento lunedì mattina, su segnalazione del C.O.M. di Arquata Scrivia, si è recata nel comune di Vignole Borbera superando parecchi ostacoli alla viabilità causati dalle ondate di pioggia veramente impressionanti e dalle folate di vento che hanno abbattuto alberi di notevole grandezza. Gli interventi di svuotamento con motopompe sono stati portati a termine in una industria metallurgica; il posizionamento di sacchetti di sabbia ha permesso poi di tamponare l’ingresso all’acqua che da monte entrava nello stabilimento, il prosciugamento del magazzino comunale, le scuole, la Croce Rossa e varie cantine.

    Abbiamo continuato a lavorare facendo riferimento al coordinamento regionale, fornendo volontari per spalare fango e spostare detriti di ogni genere. Le nostre unità hanno montato una cucina da campo nel presidio e hanno fornito la colazione, il pranzo al sacco e la cena calda a tutti i volontari dal 14 al 21 ottobre. Ancora una volta i nostri alpini hanno lavorato senza sosta con grande impegno e fatica, ma soprattutto con modestia e tanta comprensione per tutta la gente colpita da questa calamità.

    La loro sensibilità nei confronti di chi ha perso tutto è stata grande. Uomini dall’aspetto rude che hanno spalato incessantemente il fango, in cui hanno trovato anche una piccola lucertola impantanata, destinata ad una brutta fine; l’hanno raccolta, lavata con dell’acqua pulita e adagiata delicatamente nell’erba, perché potesse riprendere la sua strada. Piccoli gesti di gente semplice. Sono questi, da sempre, i nostri alpini.

    Bruno Pavese
    Coordinatore P.C. del 1º raggruppamento