Cheren, una durissima battaglia. Dimenticata

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    È il 2 febbraio 1941. L’eco delle prime scariche di fucileria risuona tra le ambe poco distanti dalla cittadina eritrea di Cheren, a nord ovest di Asmara. Inizia così la tenace resistenza italiana in un grande scontro oggi in parte dimenticato, la prima vera decisiva battaglia della seconda guerra mondiale, che avrà grande importanza in tutto lo sviluppo futuro del conflitto limitando e concretamente ritardando l’intervento di altre forze britanniche in Africa settentrionale.

     

    Da una parte erano schierati gli italiani ed i loro soldati coloniali eritrei, somali ed etiopi; dall’altra vi erano inglesi, indiani, francesi, senegalesi, sudanesi, egiziani, ciprioti e palestinesi. Nel 1940, in Eritrea gli italiani avevano preso l’iniziativa attaccando gli inglesi in Sudan e bloccando loro l’accesso ai porti del Mar Rosso, ma poi si erano dovuti fermare. L’Africa Orientale Italiana ha grandi difficoltà di approvvigionamento, è considerata teatro di secondo piano e ormai è completamente isolata dall’Italia; il vicerè d’Etiopia, il duca Amedeo d’Aosta, in vista di un attacco inglese, lamenta le enormi carenze di materiali, armamento, equipaggiamento e la mancanza di un’adeguata preparazione. L’offensiva nemica in Eritrea inizia nel gennaio 1941, dopo la stagione delle piogge e a fine mese gli inglesi sono già giunti ad Agordat, 170 chilometri dalla capitale Asmara.

    A metà strada si trova Cheren, piccola cittadina capoluogo del Senait, posta tra un semicerchio di montagne con un solo punto di ingresso: la gola del fiume Dongolass, attraverso la quale passano la strada e la ferrovia per Asmara e per l’importante porto di Massaua. È uno stretto passaggio attraverso una bastionata rocciosa sovrastata da undici cime ed è su queste posizioni naturali che, in fretta e furia, nell’estremo tentativo di sbarrare il passo al nemico, vengono fatti affluire tutti i reparti italiani disponibili. Qui, al comando del generale Carmineo, granatieri, bersaglieri, alpini, artiglieri, camicie nere ed ascari dei nostri reparti indigeni trasformeranno ogni cima ed ogni anfratto in altrettante ridotte difensive.

    Gli Inglesi vi arrivano in forze tra il 2 ed il Postazione tra le ambe del settore di Cheren. Alpini del battaglione Uork Amba . 21 1 2011 3 febbraio. Sono i 51.000 uomini della 4ª e 5ª divisione anglo indiana al comando del generale Platt contro i circa 30.000 italiani; hanno cingolati, carri armati e appoggio aereo, ma non passano: gli scontri sono durissimi, episodici, spesso all’arma bianca. Tra le truppe italiane ci sono anche le penne nere del battaglione Uork Amba (che ha preso il nome da un’Amba etiopica conquistata nel 1936), unico reparto alpino presente in Africa Orientale Italiana (A.O.I.), formato da richiamati di tutte le classi e provenienti un po’ da tutti i battaglioni alpini. Giunto su automezzi da Addis Abeba e poi a marce forzate dalla zona di Asmara, il battaglione si attesta sulle ambe di Cheren; si batterà accanitamente sulla Cima Forcuta, al Monte Amba, al Samanna, al Dologorodoc e nell’estrema difesa perderà 343 uomini, quasi il 60 degli effettivi.

    Due saranno le Medaglie d’Oro al Valor Militare assegnate agli alpini (più una al generale Lorenzini, alpino e comandante di brigata coloniale, anch’egli caduto nella battaglia) ed innumerevoli quelle d’argento (tra cui quella all’intero Battaglione) e bronzo. L’offensiva britannica è fermata ed a metà febbraio gli inglesi, sfiniti ed impotenti, ripiegano; ma dopo un periodo di stasi in cui si possono riorganizzare, riattaccano con rinnovato vigore. Ormai nelle nostre linee manca tutto, dalle munizioni al cibo, all’acqua per resistere alla calura degli oltre 50º all’ombra; i soldati sono sottoposti a bombardamenti incessanti, ma nuovamente la resistenza è tenace, accanita, al di là del pensabile.

    Ovunque in Europa arriva sulla stampa l’eco della battaglia. Gli stessi britannici dopo la guerra diranno: Cheren è stata una delle più dure battaglie di fanteria mai combattute in questa guerra e ciò per l’efficace ostinazione mostrata dai battaglioni italiani ( ) . Ed ancora: Quelli che erano lì sono unanimi sull’estrema durezza di quella lotta e alcuni sostengono che i combattimenti a Cheren furono più selvaggi di quelli di Monte Cassino . Attacchi, contrattacchi, scaramucce, pattuglie: i battaglioni sono ridotti a sole compagnie, manca tutto e le posizioni sono ormai indifendibili; si resiste ancora fino al 27 marzo, ma dopo 56 giorni di sacrifici arriva l’ordine di ripiegare.

    Gli italiani non sono battuti sul campo, ma la sanguinosa lotta, con circa 6.500 tra morti, feriti e dispersi da parte italiana contro i 3.700 britannici, cessa a causa dell’esaurimento numerico dei suoi difensori. Qualche tentativo di resistenza in Eritrea ci sarà ancora a Massaua, ma in pochi giorni i britannici saranno padroni del Mar Rosso e delle vie di rifornimento. L’ estrema difesa in Etiopia, l’Amba Alagi, cadrà il 19 maggio e, di fatto, i nostri territori dell’A.O.I di quell’ Impero trionfalmente proclamato da Mussolini solo cinque anni prima al concludersi della vittoriosa guerra italo etiopica saranno definitivamente perduti.

    Stefano Rossi

    Pubblicato sul numero di gennaio 2011 de L’Alpino.