Cent’anni, con gli echi di Caporetto e i ricordi della Ruhr

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    Ottavio Cargnelutti nasce a San Giorgio di Nogaro (Udine) il 12 novembre 1910. È l’ottavo di quattordici fratelli, e fin da piccolo deve convivere con la tragica realtà della guerra. A quei tempi il paese di San Giorgio, nel basso Friuli, confinava ad est col grande impero austro ungarico. Oggi Ottavio è uno dei pochi testimoni rimasti a parlarci con lucidità di quel tragico periodo e di come il suo piccolo paese, per una serie di circostanze, diventò capitale di guerra . Ricorda infatti il rombo dei cannoni quando nel vicino fronte infuriavano le battaglie e i numerosi soldati feriti, bendati e zoppicanti che il giorno dopo arrivavano a San Giorgio trasportati con ogni mezzo.

    Richiama alla memoria il monumentale Municipio del paese, da poco costruito e trasformato per l’occasione in ospedale da campo nonché sede staccata della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Padova. Ottavio è in grado di descrivere minuziosamente le camerate, i refettori prefabbricati, le sale di anatomia, i vari baraccamenti dislocati sul territorio, le polveriere con munizioni leggere e quelle con binari per il trasporto di bombe di grosso calibro alla periferia est del paese lontane dall’abitato. Presenti nella sua memoria sono i lamenti dei soldati feriti quando invocavano la mamma .

    Ricorda i ricorrenti funerali dei soldati che, caricati su una carretta militare a due ruote trainata da un mulo e seguita da un frate, venivano avviati al cimitero riempitosi in poco tempo di tante croci con nomi spesso impronunciabili in tedesco, ungherese e slavo. Ha presente le urla e le grida durante le fucilazioni di soldati italiani disertori presso il cimitero di Porpetto, gli svenimenti e la disperazione delle donne presenti. Ripensa alle infinite teorie di soldati che attraversavano il paese a piedi, dirette a quel fronte che loro stessi definivano il macello .

    Ottavio Cargnelutti ha vissuto, poi, i disagi del grande esodo di Caporetto, percorrendo in una settimana un centinaio di chilometri fino a Treviso su un piccolo carro trainato da un asino assieme alla mamma, alla nonna e a tutti i fratelli. Poi in treno fino a Napoli e lì ospitati in un convento di frati, a Torre del Greco. Il papà era al fronte. La febbre spagnola si accanì anche su quella povera famiglia, causando lutti e dolore A vent’anni Ottavio Cargnelutti compie il servizio militare nella zona di Caporetto e Tolmino, (oggi Slovenia) inquadrato nel 9º Alpini, battaglione Bassano. Va precisato che in quei tempi fare l’alpino significava passare una intera stagione a scalare montagne dalla Slovenia al Cadore. Tutto a piedi, ovviamente, con i muli!

    Il secondo conflitto lo richiama alle armi nelle stesse caserme conosciute qualche anno prima. Il clima era però cambiato e i precedenti buoni rapporti con gli sloveni si erano irrimediabilmente deteriorati per l’italianizzazione forzata voluta dal Fascismo. In seguito Ottavio viene spedito in Albania, con truppe destinate a creare una testa di ponte in vista delle imminenti ostilità con la Grecia, ostilità alle quali però non partecipa perché viene dapprima richiamato in patria e poi inviato in Francia, a Tolone. Dopo l’8 settembre ’43 viene fatto prigioniero dai tedeschi e spedito in Germania, al lavoro coatto in una fonderia nella zona della Ruhr. A causa della fame e dei disagi la debilitazione fisica lo aveva segnato profondamente.

    Si era ormai rassegnato al peggio quando uno dei tanti bombardamenti degli alleati distrugge la fonderia. Non potendo più essere impegnati nell’industria bellica i prigionieri militari vengono aggregati a famiglie desiderose di manodopera gratuita. Ottavio per fortuna viene scelto come collaboratore da una famiglia cattolica praticante che non condivide gli estremismi nazisti. È trattato con molta umanità, tanto che al termine della guerra gli viene chiesto di rimanere (ci sarà una bella corrispondenza, in seguito, con questi suoi amici tedeschi).

    Ottavio si consegna alle truppe americane e dopo un periodo trascorso in uno dei centri di accoglienza dei prigionieri allestiti per l’occasione, avviene finalmente il rientro in Italia attraverso il Brennero. Raggiunge Udine, poi Cervignano. Da lì un tratto di strada verso San Giorgio con un carro agricolo e gli ultimi chilometri a piedi, assieme a un altro reduce, Marcello Collavin, di Chiarisacco. A San Giorgio, in Vicolo del Sale, dopo tanti anni avviene finalmente il felice incontro con la famiglia che ormai lo aveva dato per disperso.

    A cento anni di età, l’alpino Ottavio Cargnelutti è oggi una pagina di storia vivente, un pezzo di tradizione e un faro luminoso che non perde mai l’occasione per indicare a tutti il grande inestimabile valore della pace: quella pace che secondo lui va costruita giorno dopo giorno, e soprattutto difesa. Venerdì 12 novembre 2010, in occasione dei festeggiamenti del suo compleanno, i soci del gruppo di San Giorgio di Nogaro hanno voluto festeggiare il loro vecio . Si sono presentati in massa, con il presidente della sezione di Palmanova Luigi Ronutti e il capogruppo Davide De Piante. In questa occasione un giovane alpino di stanza a Venzone, Nicolas Matzuzzi, ha consegnato ad Ottavio un cappello alpino nuovo. Alla cerimonia erano presenti anche i tre fratelli di Ottavio: Adelio, 98 anni; Orfa, 97 anni; e Duilio, 96 anni.

    Roberto Cargnelutti

    Pubblicato sul numero di marzo 2011 de L’Alpino.