AUSTRALIA Alpini in Australia, ovvero quando l'alpinit una magnifica malattia

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    Visita di una delegazione guidata dal vice presidente vicario alle penne nere del continente.

    La città di Canberra sembra non esistere, disseminata com’è tra parchi, laghi e verde a perdita d’occhio. L’assenza di strutture imponenti come nelle altre città australiane dà la sensazione di essere smarriti in una foresta incantata, dove di tanto in tanto esce un edificio ultramoderno o un animale selvatico poco interessato alla presenza dell’uomo. Pensata e progettata in funzione di capitale, meno a dimensione d’uomo, rischia di perdere il connotato più significativo di ogni agglomerato urbano: l’anima. È bella e perfetta nel verde smeraldo dei suoi tappeti erbosi simili a litografie, con gli alberi sapientemente distribuiti secondo i canoni della raffinata tradizione dei giardini all’inglese e nelle strade, dove anche nelle ore di punta il traffico somiglia a quello delle nostre la domenica mattina allo spuntar del sole. Ma è una bellezza costruita ad arte, che colpisce l’occhio senza arrivare al cuore.

    In questo contesto, presso il Centro Culturale Italiano, si è tenuta l’assemblea annuale delle sezioni A.N.A. d’Australia. I presidenti con i loro collaboratori sono arrivati da Sydney, Rigon; Brisbane,Tognini; Melbourne, Zanatta vice di Tomada; Adelaide, Innamorati; North Queensland, Pellizzer; Griffit, con il vice di Vardanega, città che distano tra loro migliaia di miglia.
    Hanno discusso dei problemi che una realtà così diffusa impone nella gestione dei gruppi, spesso lontani anche cinquecento chilometri. Hanno parlato di organizzazione di manifestazioni, di contatti con la Sede Nazionale, del neonato giornale intersezionale, autentica finestra della vita alpina nel paese dei canguri.
    A sentirli discutere non si ha la sensazione che siano portatori di esperienze molto diverse dalle nostre e che rappresentino una realtà complessa com’è quella australiana. Eppure quegli uomini sotto il cappello alpino nascondono un’infinità di storie straordinarie vissute al loro paesello con la spavalderia e i sogni della giovinezza troppo presto finita con la chiamata alle armi, spesso con l’esperienza della guerra, campagna di Russia compresa e poi con la seconda naja, dura, faticosa e non priva di sofferenze.

    A dar loro un’impennata di orgoglio, a prescindere dagli anni che ormai sono tanti quasi per tutti, c’è l’appartenenza alla grande famiglia alpina. Se essere Italiani per anni, decenni, poteva costituire un elemento discriminante oggi è diverso e la qualifica di alpino aggiunge rispetto e considerazione non solo nella comunità italiana. È un modo di riappropriarsi di un’identità mai perduta ma spesso tenuta nel cassetto come un bene prezioso.
    Così, la mattina del 4 ottobre, puntuali e tirati a nuovo nelle loro divise, gli alpini in Australia erano davanti al Centro culturale con i loro vessilli tra questi c’erano anche quelli di Bassano del Grappa e di Marostica i gagliardetti, assieme alla vivace delegazione italiana, 25 tra alpini e famigliari, venuti dal Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli. Non è stata una marcia con la fanfara che scandisce il Trentatré in 92 battute al minuto che avrebbe escluso una parte dei presenti che riescono a malapena a camminare, ma una dignitosa sfilata con la fierezza stampata nei volti che sentivano ancora forte il senso di appartenenza ad un corpo speciale. Poi c’erano lì le straordinarie donne australiane italiane a fare il tifo e ad osservare ancora con ammirazione, impossibile dire se incantata o disincantata, i loro uomini ringiovaniti di dieci anni, più eretti del solito e con un piglio da energici soldati.

    L’ordinario militare australiano, arcivescovo mons. David, ha concelebrato con il cappellano italiano don Canova da Possagno (TV) una messa all’insegna della semplicità alpina, sottolineando nell’omelia, rigorosamente in inglese per cui se non corre presto ai ripari si pregiudica il soglio pontificio, i tanti interventi dell’A.N.A. in favore di chi si trova in stato di necessità. Ammirato, ricordò che l’ospedale da campo inviato con tempestività a Beslan dalla Protezione civile italiana portava il logo degli alpini. Gli italiani presenti hanno appreso quindi in Australia che l’aiuto del nostro Paese nell’orribile tragedia di Ossezia era targato A.N.A. Nessuno in Italia ha sentito il dovere di dirlo.

    La sera prima, in un salone con oltre 400 persone gran galà in o­nore degli ospiti italiani. Presenti l’addetto militare a Canberra, col. Dordoni, altre autorità civili e per l’ANA il vice presidente nazionale vicario Vittorio Brunello. Nei loro interventi hanno tutti sottolineato che la presenza degli alpini nel mondo costituisce una speciale carta d’identità di un Paese che, con tutti i difetti che possiamo riconoscergli, ha saputo esportare nel mondo laboriosità, o­nestà, senso del dovere e tanti piccoli aspetti di una civiltà che passa dalla buona cucina, all’eleganza, fino alla cultura, all’arte e alla capacità creativa, disseminando ovunque voglia di vivere e senso di fratellanza. In quest’opera gli alpini non sono mai stati secondi.

    Il Presidente della sezione di Canberra, Ciuffetelli, aplomb inglese, tenacia abruzzese, sentimenti italianissimi ha fatto gli o­nori di casa con modestia e discrezione, mettendo tutti a proprio agio e creando un’atmosfera priva di formalità sia nella conduzione dell’assemblea dei presidenti, sia durante la serata di gala, sia nel corso della cerimonia del 4 ottobre.
    La delegazione italiana si è poi dispersa tra gli spettacolari scenari di Ayers Roch, alla ricerca dei luoghi mitici degli aborigeni, le colonie di pinguini nani a Phillip Island, la fantastica barriera corallina, la foresta tropicale con i suoi concerti di uccelli esotici, i koala, i coccodrilli, oppure ospiti di parenti nelle più lontane località australiane.

    Molti degli alpini che per varie ragioni non hanno potuto partecipare all’adunata di Canberra hanno avuto modo d’incontrare il responsabile delle sezioni all’estero Brunello, a Sydney, Melbourne, Adelaide, Perth, affrontando problemi di vita associativa, programmi, inziative e partecipazione alle manifestazioni patriottiche. Non sono mancati gli argomenti seri di riflessione: l’anagrafe che non perdona e la presenza delle penne nere che s’impoverisce per mancanze di energie nuove.
    Ci sono state anche rievocazioni di un passato più o meno recente, con ricordi divertenti di rivalità tra gruppi di diverse regioni dovute ad un insanabile pregiudizio sulla cottura delle salsicce. Secondo la dottrina elaborata dall’area valtellinese non possono che essere lesse. Nel Veneto e Friuli invece esigono rigorosamente l’ arrosticciatura alla griglia o la padella per poter gustare il delizioso tocio.

    Non parliamo poi della polenta che deve avere la consistenza di un macigno per i primi, tenera e morbida per gran parte dei secondi. E su queste inconciliabili diatribe, anzi problemi esistenziali, sono nati scismi e club a josa, ora languenti in un malinconico abbandono. Se non ci fosse stato il pragmatismo delle donne che riuscirono a superare questi aspri conflitti con uno spezzatino che inebria solo col profumo facendo ingurgitare ogni tipo di polenta, complici le proprietà taumaturgiche degli ottimi vini, con in testa il prosecco e il cabernet, non si sarebbero ancora ristabiliti la pace e il clima di fraterna concordia che la passione alpina avrebbe dovuto invece preservare da sola. Valli a capire, gli Alpini!

    Nel riprendere l’aereo, che apre l’orizzonte su una terra sconfinata e quasi sempre arida, non si può non ricordare i volti di Giovanni, Dino, Luigi, Giuseppe, Aldo, Artemio e tanti altri, ognuno con una storia di sofferenze, speranze, nostalgie, successi. Fremantle, splendida cittadina a poche decine di chilometri da Perth, con le belle case stile vittoriano e le vie che sembrano ferme alla fine dell’Ottocento, conserva ancora intatto il molo d
    ove, ai tempi delle grandi migrazioni, sono sbarcate decine, centinaia di migliaia di uomini e donne di ogni età e di ogni continente.

    Molti di loro hanno bruciato in pochi anni la loro esistenza per le micidiali polveri vetrose delle miniere d’oro o di amianto, nell’euforia di un eldorado che, come sempre, ha arricchito pochi. Lì oggi c’è un monumento di una commovente semplicità: a raso terra, su un tappeto verde e ben curato un uomo cammina curvo per il peso di una valigia e, qualche metro più avanti, un cane lo osserva con indifferenza. Viene spontaneo togliersi il cappello e portarlo al petto. Non si ha più voglia di scherzare. (v.b.)