Ai piedi del Gran Sasso per ricordare il sacrificio degli alpini a Selenyj Jar

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    La cronaca potrebbe essere quella di sempre, perché da sempre le nostre manifestazioni sono scandite dagli stessi gesti: l’onore ai caduti con la corona di fiori al monumento, l’incontro con l’amministrazione comunale, la grande sfilata della domenica dei circa 10.000 alpini presenti ad Isola del Gran Sasso, la Messa nel santuario di San Gabriele e l’appassionato intervento del vice presidente nazionale Ornello Capannolo. Eppure ogni anno le emozioni si rinnovano anche grazie al momento di riflessione che il gruppo di Isola, guidato dal vulcanico Ciarelli, riesce ad offrire.

    Quest’anno, nel 150º anniversario dell’Unità Nazionale, ripercorrere le tappe del sacrificio dei ragazzi abruzzesi nelle due guerre mondiali assume un significato del tutto particolare. Prima con Gianni Periz si è ricostruita la partecipazione del battaglione Monte Berico (del quale il battaglione L’Aquila erediterà le glorie) in Pasubio; poi con il bel lavoro del regista Fabrizio Franceschelli ‘Gli eroi del Gran Sasso’ che racconta le storie dei reduci abruzzesi della seconda guerra mondiale. Un lavoro che è riuscito ad offrire un quadro particolarmente lucido e reale di questi ragazzi semplici e tenaci che non avevano mai visto il mare e che non avevano mai preso il treno.

    Ragazzi che, strappati dalla loro montagna, si sono ritrovati nella desolante vastità della steppa a combattere per i propri fratelli, per l’Italia e per tornare a casa. La semplicità, l’uso del dialetto e il sorriso di questi uomini ormai novantenni che raccontavano storie terribili come si trattasse di ordinari casi della vita, che narravano di una vita che poi è ripresa dopo la guerra con i ritmi di sempre mi ha fatto pensare a quanto avesse ragione chi ha detto che gli italiani sono stati davvero italiani soltanto con una divisa addosso.

    E oggi, non senza una buona di amarezza, mi verrebbe da aggiungere che gli italiani sono tali solo con un cappello in testa. Ma la tanta gente comune che si è stretta agli alpini in questa due giorni abruzzese, così come capita ad ogni nostro appuntamento, mi porta a concludere che motivi di speranza per questa nostra Italia ce ne sono di più di quello che potrebbe apparire.

    Cesare Lavizzari

    Pubblicato sul numero di marzo 2011 de L’Alpino.