Adesso come allora

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    Il 2009 è un anno di grandi anniversari. Appena chiuse le cerimonie per il novantesimo dell’ANA, è d’obbligo ricordare che il 24 agosto 1919, ad Udine, uscì il primo numero de L’Alpino. Si trattava allora di un settimanale messo in piedi da tre intraprendenti ufficiali alpini che, in attesa di smobilitazione, osservavano con preoccupazione una situazione politica ed economica disastrosa, che rischiava di vanificare i sacrifici loro e dei 600 mila Caduti dall’Adamello al Carso.

    Erano tempi difficili. Reinserire milioni di combattenti nella vita civile dopo oltre tre anni di una guerra che allo Stato italiano era costata cinque volte più di tutte le risorse investite dall’unità d’Italia al 1915, non era semplice. E a complicare tutto erano anche le turbolenze politiche alimentate da una spinta anarcoide che vedeva nei combattenti una minaccia per il paese. Nasceva così il bisogno di contrastare una deriva pericolosa che finiva per irridere ai sacrifici di chi aveva passato gli anni migliori della propria vita nelle trincee e soprattutto non rendeva merito a chi aveva pagato con la vita l’adempimento di quello che, fino allora, era considerato un dovere di cittadino.

    I fondatori, con tante idee, poche risorse e una situazione di precari in grigioverde, mai avrebbero pensato che la loro iniziativa, quasi una goliardata, sarebbe cresciuta fino a toccare poco meno di 400 mila copie al mese, diffuse in cinque continenti. Un’idea geniale che trovò subito un riscontro entusiasta da parte degli alpini. Pochi mesi dopo l’uscita del primo numero, l’Associazione Nazionale Alpini ne fa il suo organo di stampa ufficiale. Felici coincidenze?Forse, ma non tanto.

    Il bisogno della memoria’ era diffuso, come la necessità di dare voce a tanti giovani che sentivano ancora la voglia d’impegnarsi per la salvaguardia dei loro ideali. Vittorio Feltri, in polemica con un parlamentare del Sud, scrive su Libero del 23 luglio: del sentimento nazionale mi sfugge l’espressione che non sia pura retorica

    Quello di Patria è un concetto astratto che non trova applicazione dalle mie parti. Almeno tra noi non diciamoci bugie penose . Forse non sarà corretto estrapolare frasi da un contesto particolare come quello che contrappone gli interessi del Nord e del Sud d’Italia, ma che sia diffusa l’assenza di sensibilità per il concetto di Patria è innegabile. Per certi versi siamo tornati al 1919, quando in maniera violenta gruppi di facinorosi si scagliavano contro lo Stato e suoi simboli.

    La differenza è solo nelle modalità. Anche oggi si considera retorico sostenere l’esistenza di una identità nazionale, vista come una reminiscenza di una ottocentesca concezione romantica di comunità. Ma ci chiediamo: poiché condizionamenti storici e povertà di uomini politici di talento non ci hanno consentito di mettere in moto un’efficiente macchina statale, come in altri paesi europei, dobbiamo demolire quel poco che resta del senso di appartenenza?

    Noi siamo convinti invece che sia necessario coltivarlo, quasi come il sentimento religioso. Poi liberissimi di crederci o no. Ma non guardiamo con sufficienza un bene che finora non è stato sostituito da un altro migliore. La realtà del nostro tempo è anarcoide, come e forse più di quella che hanno trovato i padri fondatori al ritorno dalla guerra. C’è, a partire da chi ricopre alte responsabilità politiche, mancanza di rispetto verso le istituzioni, diffusa indifferenza per l’interesse comune, individualismo esasperato che finiscono per premiare chi intende liberarsi dalle regole, dalla necessità di assumersi l’onere dei doveri e si finisce per considerare illusi quelli che credono ancora in qualcosa che somigli ad una bandiera.

    Ebbene, noi alpini non siamo della schiera dei disincantati. Non c’interessa far parte del coro. La nostra storia, per quanto monotona possa essere, è coerente con quella dei fondatori e dei loro eredi, che per l’Italia hanno fatto sacrifici estremi e ci hanno consegnato un paese ricco di risorse umane e di storia, rispettato e libero. Su questa linea ci sentiamo di portare avanti il nostro impegno e L’Alpino continuerà quindi ad occuparsi di montagne, di soldati, di canzoni, di baite e di Patria.

    Vittorio Brunello