Al Sacrario, nell’abbraccio di vessilli e gagliardetti

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    Appena il cielo si rischiara e rivela la conca di Asiago, la montagna sacra è ancora avvolta da una cappa di scure nuvole che sembrano proteggerla. Due le colonne di alpini in marcia di primo mattino, mentre la nebbia si dirada e le nuvole prendono colore: una dalla parte austriaca , che percorre il sentiero che porta in quota e una dalla spianata del Lozze, lasciandosi alle spalle la statua della Madonnina custode di tanto dolore e sacrificio che guarda verso la montagna.

     

    L’anfiteatro che si presenta, sullo sfondo dell’Ortigara, è quello del campo di battaglia di novantadue anni fa. Anche i sassi sembrano parlare: il terreno sempre più brullo con le buche delle artiglierie che il tempo non ha ancora livellato, gli avvallamenti innaturali sui quali si cammina in un silenzio spontaneo, pesante quanto la memoria. A ridosso della montagna, scomparse le macchie dei mughi punteggiate dal rosso dei rododendri, il prato spoglio rivela quelli che un tempo furono i pochi ripari naturali, dopo i quali quanti, a migliaia, salivano per conquistare le trincee sulla vetta erano esposti al tiro delle mitragliatrici, dei mortai e dei cecchini appostati nelle caverne scavate nel ventre della montagna, collegate da gallerie che partono dalla cima, lungo la prima linea di trincee.

    E a migliaia, da una parte e dall’altra, i soldati rimasero per sempre quassù, in quel terribile giugno del ’17, perdendo e riconquistando posizioni, in un inferno di fuoco e di morte. Vengono in mente le parole di un reduce, secondo il quale, per rispettare la sacralità del luogo, sull’Ortigara bisognerebbe salire scalzi. Guido Azzolini, classe 1921, reduce della seconda guerra combattuta eroicamente, e storico della Montagna sacra, salendo al Lozze informa con pazienza sui luoghi: lassù c’era l’osservatorio dell’artiglieria italiana, là macellavano il bestiame vicino alle cucine, qui c’era l’infermeria, per quel che si poteva fare

    Impossibile dimenticare, impossibile non essere travolti da sentimenti forti: pietà e stupore, da mille domande senza risposta. Perché non si sale impunemente sull’Ortigara. In questa città di giganti , cui nulla è possibile togliere, nulla è possibile aggiungere , tutto parla del sacrificio dei nostri soldati.

    Alla spianata del Lozze, domenica mattina, si è radunata una folla di alpini e non, ancor più numerosa rispetto ai precedenti pellegrinaggi. Giunge in elicottero il comandante delle Truppe alpine, generale D. Alberto Primicerj. Dopo l’alzabandiera e la deposizione di una corona alla cappella dei Caduti è proprio Primicerj a prendere la parola accanto al Labaro con Perona e il CDN. Ringrazia il presidente nazionale e la sezione di Verona organizzatrice quest’anno del pellegrinaggio e quella di Marostica per il recupero delle trincee, dei ricoveri e dei camminamenti, testimonianze della Grande Guerra trasformate in museo all’aperto.

    Poi ricorda i tanti che qui combatterono per ideali e valori per i quali val la pena di morire’. Rende infine onore ai militari europei che oggi sono al nostro fianco nella lotta contro il terrorismo, con i nostri alpini, accomunati dagli stessi valori di solidarietà nei confronti di chi soffre’. Termina elogiando l’impegno dell’Associazione nel sostegno ai reparti alpini in missione all’estero. ‘Grazie ANA, viva gli alpini’. Il presidente inizia salutando la rappresentanza dei Gebirgsjäger presente. È uno dei fatti positivi che si ripete ogni anno dice avversari un tempo, amici oggi, uniti nel ricordo dei nostri e dei loro Caduti. Se a questa commemorazione fossimo soli, non sarebbe così bella . Poi: Saluto il Labaro .

    Perona si ferma, la voce denuncia una profonda commozione e gli muore in gola mentre sale un applauso fortissimo di partecipazione e sostegno. saluto i vessilli e i gagliardetti della nostra Associazione che compie novant’anni! Un saluto particolare al generale Primicerj e agli alpini in armi che sono un tutt’uno con noi, per quelle stellette che portavamo con orgoglio a vent’anni e che ora conserviamo nel cuore . Si rifà all’omelia pronunciata sull’Ortigara da don Rino, dicendo che quassù dobbiamo parlare poco, restare in silenzio perché conta solo la parola di Dio. Ma anche aggiunge perché dobbiamo ascoltare il silenzio dei Caduti. E ora noi ci chiediamo se quel silenzio è anche un assenso, se in questi novant’anni abbiamo dimenticato qualcosa.

    Ebbene ha rimarcato scandendo le parole noi siamo rimasti fedeli ai loro ideali, a quello che abbiamo inciso sulla Colonna Mozza: per non dimenticare. Abbiamo avuto la forza di fare diga quando è stato necessario, di non venire mai meno ai nostri doveri, di salvaguardare i nostri valori, di continuare ad essere solidali . Ha quindi ricordato l’impegno dei nostri volontari in Abruzzo e quello degli alpini in armi nelle missioni di pace: Sono valori convergenti , ha detto ed ha esortato a rimanere quello che siamo, a volerci bene, a guardare alle nostre radici e restare uniti . L’ultimo pensiero è stato per le nostre sezioni all’estero, e ha concluso con un Buon compleanno Associazione, buon compleanno alpini.

    Guardiamo al traguardo dei cent’anni! Viva gli alpini, viva l’Italia . Quindi la celebrazione della Messa in suffragio dei Caduti, celebrata da don Rino Massella con tre cappuccini, conclusa con la Preghiera dell’Alpino, pronunciata da Guido Azzolini. Si riprende quindi il sentiero che porta, in una ventina di minuti, al piazzale del parcheggio; tutt’intorno un unico bivacco fra le tende e accampamenti di gruppi, con tavolini da campo e furieri in grande attività. Non è una contraddizione, né una dissacrazione del pellegrinaggio. È solo l’altro aspetto degli alpini, solenni e compresi durante il ricordo, sanno fare festa quando sono insieme.

    Il pomeriggio precedente, ad Asiago, era stato reso omaggio ai Caduti che riposano nel sacrario del Leiten. Gli alpini erano saliti partendo dal centro della città e poi risalendo il Viale degli Eroi. Sembrava ripetersi la sfilata dell’adunata nazionale di due anni prima. In testa al corteo la banda musicale di Cesuna, seguita da un gruppetto di Gebirgsjäger austriaci con bandiere, poi il Labaro scortato dal presidente nazionale Corrado Perona e dal CDN al completo.

    La Messa è stata officiata nella cripta dell’Ossario da monsignor Pierantonio Gios, del seminario diocesano di Padova, che ogni domenica celebra la Messa al Sacrario. All’altare facevano maestosa corona oltre cinquanta vessilli e centinaia di gagliardetti. Nelle navate, le lapidi delle Medaglie d’Oro, per lo più sottotenenti, alpini semplici, caporali: Medaglia d’Oro, Medaglia d’Oro e Medaglia d’Argento, Medaglia d’Oro e Medaglia di Bronzo, Medaglia d’Oro e due Medaglie d’Argento

    Giovani di vent’anni che non si tirarono indietro e che non finiranno mai di suscitarci pietà, ammirazione, riconoscenza. Al vangelo, monsignor Gios, commentando la parabola di Gesù che mandò i Dodici in missione a convertire le genti, annunciatori di pace e di fratellanza, con un naturale parallelismo ha affermato che anche gli alpini sono annunciatori di pace e portatori di valori. ‘Ecco ha concluso questo compito che gli alpini si sono assunti, anche se la leva non c’è più, ci auguriamo che continui per sempre’.

    Giangaspare Basile

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    Alla Colonna Mozza, con l’impegno di fedeltà al nostro essere alpini

    I grandi eventi sono sempre legati a storie importanti, a personaggi famosi, a ricorrenze forti. Tutti questi ingredienti c’erano a quota 2105 dell’Ortigara la mattina del 12 luglio. Solo che bisognava coglierli con sensibilità alpina. Nulla da spartire con gli stereotipi che quotidianamente ci vengono esibiti dai mezzi di comunicazione e da una cultura decadente. Alle otto del mattino, con un cielo leggermente imbronciato, sono lassù a rendere omaggio ai Caduti parecchie centinaia di perso
    ne, quasi tutte con cappello alpino, vessilli sezionali, gagliardetti.

    Il Labaro, scortato dal presidente Corrado Perona e dal Consiglio Direttivo Nazionale pressoché al completo, è accanto alla colonna mozza. Numerose anche le rappresentanze di associazioni combattentistiche italiane ed austriache. Una cerimonia che dal lontano 1920 si ripete ogni anno e quindi può sembrare una consuetudine di assoluta normalità. Non è così, e non tanto per il numero dei presenti, decisamente superiore alle passate edizioni, ma per un diffuso sentimento indefinibile che si percepisce solo assistendo a quel rito.

    Nessuna ufficialità e le formalità ridotte alla deposizione di una corona e alla Preghiera dell’alpino. Nessun discorso. Anche la messa, contenuta nei minimi tempi canonici, ma proprio per questo coinvolgente, si trasforma, oltre che in rito sacro, in un momento di comunità. C’è una commozione diffusa sui volti dei presenti. I novant’anni dell’ANA scorrono nella mente e finiscono inevitabilmente per affondare le radici nel sacrificio dei migliori battaglioni alpini del primo conflitto mondiale. Un’imbarazzante domanda si pone spontanea: quanto siamo ancora eredi di quegli uomini temprati da un senso del dovere che poneva sul prezzo di un ideale anche il rischio estremo della vita?A rendere ancora più ingombrante l’accavallarsi delle riflessioni contribuisce anche il coro Montegalda con una bella interpretazione di Oh montagne mie .

    Nel silenzio mattutino del monte sacro, con i segni affascinanti che la natura mette sotto gli occhi con una frettolosa fioritura, a sottolineare la forza della vita, non si poteva non andare col pensiero all’esperienza militare dei Padri, alla nostra e a quella di quanti sono impegnati in missioni all’estero. Sono lì per contrastare la diffusione del seme della violenza, che muta nelle modalità, ma non muore. Anzi. In alcuni paesi c’è guerra. Anche se non dichiarata, comporta quasi ogni giorno l’uso delle armi e, purtroppo, anche spargimento di sangue. Don Rino Massella nella sua breve, intensa omelia, ci ha dato una risposta: Se seguissimo la parola del Signore non ci sarebbero più guerre, gli uomini si sentirebbero fratelli perché figli dello stesso Padre .

    Ha ragione il nostro cappellano, ma, ci perdoni; bisognerebbe che sparisse quel se , che invece pesa sull’umanità, da sempre, come un macigno. La nostra Associazione torna ogni anno su quella pietraia, insignificante per chi non ne conosce la storia, non ha sentito parlare di quei soldati che hanno affrontato pendii scoscesi, montagne di reticolati, granate, bombe, per non parlare di mitragliatrici piazzate con meticolosa perizia militare, ma quest’anno ha voluto compiere quel pellegrinaggio in modo semplice e solenne: ricordare i Caduti e riflettere sulla sua storia.

    Lì, dove regna il silenzio, stanchi, come ha sottolineato il celebrante, del frastuono di tante parole prive di senso, quando non sono intrise di ipocrisia, che ci vengono da una società estranea ai nostri valori, abbiamo riflettuto sul passato e sul presente. I riti, civile e religioso, hanno voluto essere un impegno a conservare il nostro essere alpini’ coerente con la testimonianza di chi sull’Ortigara ha dimostrato quale sia il significato autentico del valore alpino’.

    Vittorio Brunello

    Pubblicato sul numero di settembre 2009 de L’Alpino.